Sabato, 18 Marzo 2017 10:39

Ancora su Claudia Ruggeri. Lettura di «a la fiamma della forma ha incendiato»

Scritto da Annalucia Cudazzo

                                                                                            a la fiamma della forma ha incendiato
                                                                                            la forma della rosa

(e quindi e quasi quasi mi misi
in viaggio e col baleno che salva
l'odore mi chiusi nella pelle                            5

del traghettatore: e volli
il 'folle volo' cieca sicura tuta
volli la fine dell'era delle streghe volli

il chiarore di chi ha gettato gli arnesi
di memoria di chi sfilò il suo manto            10
poggiò per sempre il libro

ed ha disimparato il trucco
per fare il suono mago nel giardino
dell'idem che è perduto dove rifece

e fece ancora incanti fino che mise               15
tutte le sue dita in una riga
d'Aria e del padre regale

del nostro padre fisso m'indicò
il fato cantico che n'accende
le storie in leggenda scrittura:20

“sul mio letto lungo la notte ho cercato l’amato

del mio cuore, l’ho cercato ma non l’ho trovato

mi alzerò e farò il giro della città


                                                                                           -viaggio, pagana, libano
                                                                                          in tasca e intanto penso un singolo        25
pensiero principiante. così
son fatta immune. Sicura
nella vena che m'indulge e mi serena

(mi han trovato le guardie che perlustrano la città.

Mi hanno percosso, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello                                              30

le guardie delle mura

(i firmamenti lasciati in mano ai pazzi non sempre
negli ospedali e presso i critici i documenti
della follia dei pazzi

“il poeta ostinato ad essere felice chiama gli unni a distruggerli                                              35

la casa

 

 

 

A la fiamma della forma ha incendiato fa parte di Pagine del Travaso, raccolta cui Claudia Ruggeri stava lavorando nel periodo poco precedente la sua morte, quando le sue condizioni di salute si erano notevolmente aggravate. Il testo fu l’ultimo a essere interpretato pubblicamente dalla poetessa in occasione di uno spettacolo di SalentoPoesia, tenutosi a Monteroni nel 1995, ed era apparso per la prima volta sulle pagine de «l’incantiere» nel numero 35-36, con l’esergo a Prospero[1] in una versione molto differente da quella pubblicata nell’edizione a cura di Mario Desiati[2], accolta anche nella più recente curata da Anna Maria Farabbi[3]. Questa poesia ha attratto molti lettori, perché è stata interpretata come il preannuncio del suo suicidio, per il riferimento al «folle volo» inteso come atto del lanciarsi nel vuoto, evidenziato soprattutto da Walter Vergallo[4], e perché la madre Maria Teresa Del Zingaro, in un’intervista rilasciata a Telerama, una televisione locale, ha dichiarato di aver trovato nella camera della figlia, subito dopo il ritrovamento del suo cadavere, la stessa scena descritta in versi alla quarta strofe[5].

Le poesie di Pagine del Travaso hanno una delicatezza maggiore rispetto a quelle di Inferno minore e hanno ugualmente un clima di mistero che, tuttavia, è più sereno e mite. Siamo ancora in una dimensione onirica, ma gli incubi della raccolta precedente sembrano lasciare spazio a visioni psichedeliche, sogni sublimi, suggeriti anche dalla musicalità sempre perseguita dalla Ruggeri, che incantano e lasciano scioccati allo stesso tempo. Gli spostamenti grafici dei versi sono presenti in quasi tutte le poesie e la punteggiatura è anomala: numerosi sono i puntini di sospensione, i trattini, le virgolette, ecc. Il linguaggio utilizzato è davvero molto ricco: termini della tradizione poetica, lessico biblico, formule matematiche, termini del gergo economico, forestierismi, nomi che rimandano a competenze geografiche, latinismi, citazioni inglesi, elementi tipici del mondo medievale, date, nomi di località e addirittura proverbi. La poetessa ha dato prova di non aver affatto accettato e seguito i consigli di Franco Fortini che le suggerì di cambiare completamente stile poetico, abbandonando i riferimenti ai modelli[6]: numerosi sono i richiami ad altri autori come altrettanto numerose sono le citazioni riprese addirittura dalla sua precedente opera.

Il componimento, come quasi tutti quelli della Ruggeri, è denso di significati nascosti e di riferimenti ad altri autori. Spostata graficamente sulla destra, la prima strofe inizia rappresentando un fuoco che ha bruciato la «forma della rosa». Questa immagine richiama subito alla mente le fiamme dell’inferno: secondo la dottrina cattolica, i dannati soffrono una doppia pena, quella del danno che consiste nella perdita di Dio come fine ultimo e quella del senso, cioè una punizione corporale che si crede sia la tortura inflitta col fuoco. Non bisogna dimenticare che il tema dell’inferno aveva attirato più di una volta l’attenzione della giovane poetessa che lo aveva suggerito come argomento su cui lavorare nell’anno 1989/1990 durante il Laboratorio di poesia istituito da Vergallo e Colombo e che aveva intitolato la sua prima raccolta proprio Inferno minore. Le fiamme hanno, però, vari valori, come, ad esempio, quello della conoscenza, come si evince da alcuni brani delle Sacre Scritture, che per la Ruggeri costituivano una fonte fondamentale di ispirazione: si veda la descrizione, riportata negli Atti 2:3 di ciò che accadde nel giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo, sottoforma di lingue di fuoco, discese sugli apostoli. Il fuoco è anche l’emblema di un’iniziazione, che può essere religiosa (nel Vangelo di Matteo 3:11-12 viene detto che il battesimo avviene con lo spirito santo e col fuoco); può simboleggiare, com’era per i celtici, una trasformazione spirituale; può avere dei legami col mondo esoterico, infatti per gli alchimisti il fuoco era indispensabile per condurre i loro esperimenti. Il fuoco richiama alla mente anche i roghi delle streghe, che sono esplicitamente evocate al v. 8 («volli la fine dell’era delle streghe volli»), e sono usati anche termini legati alla magia (v. 8 streghe, v. 13 mago, v.15 incanti). Pagine del Travaso contiene quindici citazioni riprese dal Cantico dei Cantici e due di esse si trovano nel testo preso in esame. In questo libro biblico, l’amore, che è il tema centrale, viene paragonato al fuoco: «il suo divampare [dell’amore] è come il divampare del fuoco, la fiamma di Dio» recita il Cantico 8:6. L’immagine delle fiamme è ricorrente anche nella Commedia dantesca. In una lingua di fuoco si trova Ulisse, di cui si narra nel canto XXVI dell’Inferno, da cui la poetessa riprende l’espressione «folle volo»: Dante condanna l’eroe omerico fra i consiglieri fraudolenti, per aver ingannato i suoi interlocutori con l’arte oratoria. Nel canto XXVI del Purgatorio, invece, Dante si trova nella VII cornice e vede i lussuriosi, tra cui i poeti Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel, che in vita si erano lasciati travolgere dal metaforico fuoco della passione amorosa, camminare in mezzo alle fiamme per purificarsi; nel canto successivo, lo stesso Dante, su invito dell’angelo della castità, è costretto ad entrare nelle fiamme della settima cornice per potersi purificare e proseguire il cammino. L’immagine di qualcosa che è andato bruciato è presente anche nel componimento Lady Lazarus[7] di Sylvia Plath, sicuramente uno dei modelli della Ruggeri. La poetessa di Boston conclude questo suo famoso componimento con la strofe:

 

Out of the ash

I rise with myredhair

And I eat men like air.[8]

 

 

dove è la stessa poetessa che è stata ridotta in cenere, distrutta dalla vita e dai suoi vari tentativi di suicidio, ma sempre pronta ad annunciare il suo eterno e teatrale ritorno, a risorgere e a sconvolgere «come aria di vento».

Il fuoco ricorda anche l’incendio di cui proprio Ulisse fu uno dei fautori: quello di Troia. A la fiamma della forma ha incendiato è uno degli ultimi componimenti della raccolta ma si collega ai primi in cui erano già presenti l’immagine del fuoco e un lessico legato all’atto del bruciare, utilizzati soprattutto in relazione a personaggi e luoghi di cui si parla nell’Eneide. Il primo testo di questa seconda raccolta si conclude con un verso che recita “Troia destina”; il secondo termina con la rappresentazione di Creusa, la moglie di Enea, che cammina troppo lentamente, non riuscendo a fuggire, e rimane «chiusa nel fuoco / e chiusa coesa furiosa nel fuoco»; il terzo inizia, riallacciandosi al precedente, con Enea che si mette in viaggio e con un richiamo costante al bruciare e al Foco, con la lettera maiuscola:

 

-e subito ad enea

s’è messa in viaggio l’anima, subito

se la tengono scafo traverso tolda.

l’anima. Foco

la pigli. da questo foglio Foco, da creusa

che incendia e da ciascuna fiamma

che qui in città s’accenda dove non pare

cosa, questo rogo d’aria

questo fuoco lo pigli. l’attimo della morte

 

 

Le fiamme che aprono il componimento della Ruggeri, in base ai modelli che influenzavano il suo pensiero, potrebbero, quindi, avere la valenza di distruzione, di purificazione o di conoscenza, significati che trovano tutti e tre conferma nei richiami presenti nel resto della poesia. Nell’incipit del canto XXXI del Paradiso, «In forma dunque di candida rosa / mi mostrava la milizia santa», Dante sta contemplando la Candida Rosa, composta dalle anime dei beati che celebrano il loro trionfo nella visione beatifica di Dio, e proprio a questa Rosa Beatrice fa ritorno, salutando Dante, per cedere il posto di guida a San Bernardo da Chiaravalle, teologo che aveva associato la rosa al culto di Maria. È la fine di Beatrice, quindi, quella stessa «Donna», che aveva fatto la sua apparizione proprio nel primo dei componimenti di Inferno minore, il Matto I (del buco in figura) / Beatrice (al verso 15), che cominciava con una citazione dei versi 64-65 del canto XXX del Purgatorio, dove Beatrice, nel Paradiso terrestre, si sostituisce a Virgilio per accompagnare Dante nel suo viaggio ultraterreno. Come il fuoco, anche la rosa ha accumulato una serie di valori nel corso del tempo, spesso contrapposti. È il fiore simbolo della poesia, dell’amore, della bellezza; può indicare la vita come anche la morte, può essere emblema di perfezione celeste o di passione terrena, è immagine di fecondità ma anche di verginità; è tradizionalmente associato sia alle fate che alle streghe, perché da sempre legato al mondo della magia: basti pensare che Lucio, il protagonista delle Metamorfosi di Apuleio, trasformato in asino, può riacquistare il suo sembiante umano proprio mangiando delle rose.

La seconda strofe, scritta a sinistra, parla di un viaggio che la poetessa si accinge a compiere. Il viaggio è una costante delle opere di Claudia Ruggeri; l’Inferno minore è la storia di un viaggio, sulla falsariga di quello compiuto da Dante, e sono tanti i viaggi di cui si parla nelle Pagine del Travaso. Nella poesia che precede a la fiamma della forma ha incendiato, si allude alla preparazione di una valigia per una partenza nel «venerdì / dell’11 febbraio», annunciata al v. 10 («quindi si va…»). Confrontando la versione riportata da Desiati e da Farabbi con una prima stesura del componimento, consegnata da Claudia Ruggeri a Walter Vergallo, il viaggio si sarebbe dovuto compiere «giovedì / del 12 del Marzo». Claudia Ruggeri col passare del tempo modificò la data contenuta in questa poesia. Perché? L’undici febbraio è una data emblematica nella vita di due poetesse tenute in grande considerazione dalla Ruggeri: in quel giorno del 1963, Sylvia Plath decise di suicidarsi, e, per emularla, scelse lo stesso giorno anche la traduttrice dei suoi versi, la poetessa Amelia Rosselli che si gettò nel vuoto pochi mesi prima della Ruggeri, sempre nel 1996. Dopo il 1990, anno in cui fu concluso Inferno minore, e prima del 1996, il dodici marzo cadeva di giovedì solo nel 1992; invece, in quei cinque anni, l’undici febbraio non capitò mai di venerdì. Collocare quella data infausta proprio nel quinto giorno della settimana può essere indice della volontà di Claudia Ruggeri di sottolineare il senso di morte, visto che Cristo morì di venerdì,giornata di penitenza per la Chiesa cattolica e di malaugurio in alcune culture popolari. Pertanto, si può ipotizzare che il viaggio di cui si parla in quel componimento inizialmente ne indicasse uno reale che la Ruggeri doveva intraprendere, successivamente, avendo coltivato l’idea di porre fine alla sua breve esistenza, avesse modificato il testo e preso spunto dalla morte di una poetessa che ammirava per trasformare il viaggio in uno metafisico, il viaggio dalla vita alla morte.

La storia del componimento comincia in medias res, perché la seconda strofe si apre con «e quindi», come se si stesse continuando un discorso, e la ripetizione della congiunzione ‘e’ e del «quasi» dà l’idea di un’andatura che spesso la Ruggeri cerca di riprodurre nelle sue poesie.

La poesia precedente si era conclusa nel seguente modo:

 

“in un momento ho udito il lungo

canto; ho visto mille alberi pensosi

e sempre dentro un attimo ho scritto

mille rose   in un poema senza

miracoli che disviticchia l’odore umano

 

“…

 

 

Le rose e l’odore riappaiono all’inizio del componimento successivo e le parole «attimo» e «baleno» possono essere considerate sinonimi. La poetessa aveva fatto riferimento alla sua raccolta precedente: «ho scritto / mille rose in un poema senza / miracoli». Le poesie di Inferno minore sono come «rose» e la silloge è un poema che non ha miracoli, al contrario di quello dantesco da cui prendeva le mosse. Abbiamo visto come il componimento esaminato parli della forma della rosa che viene bruciata, che può intendersi come la fine della poesia della Ruggeri. Il viaggio si svolge «col baleno che salva»: in un attimo, con un lampo di luce, che dà salvezza. Si potrebbe pensare che questo baleno sia il brevissimo tempo di una caduta nel vuoto e che la salvezza sia data dalla morte che porta via dalle bruttezze dell’esistenza. È possibile ipotizzare una sorta di identificazione fra la poetessa e Creusa, il personaggio citato nelle prime poesie della raccolta; infatti, l’espressione «mi chiusi nella pelle» (v. 5) richiama ciò che accadde alla moglie di Enea nel secondo componimento che, come detto sopra, si chiuse nel fuoco, cioè rimase intrappolata nelle fiamme dell’incendio di Troia. Chiudersi in qualcosa, per la Ruggeri, significa, dunque, morire: Creusa morì a causa del fuoco, la Ruggeri sarebbe morta nel suo corpo, incapace di reggere all’impatto con il suolo. Inoltre, la poetessa, nel mettersi in viaggio, al v. 7, si definisce «cieca sicura tuta» (dove «tuta» è un latinismo, dall’aggettivo tutus-a-um che vuol dire ‘sicura’, rafforzando l’attributo già utilizzato in italiano), con l’uso di tre aggettivi che ricordano la descrizione di Creusa nel momento della morte «chiusa coesa furiosa».

Il traghettatore (v. 6) ricorda immediatamente Caronte, lo psicopompo dell’Ade, che, secondo le religioni greca e romana, trasportava le anime da una sponda all’altra dell’Acheronte, che viene descritto da Virgilio nel VI libro dell’Eneide, con la barba bianca, gli «occhi di fiamma» e un mantello annodato che gli pendeva dagli omeri (vv. 298-301), ed è ripreso anche nel III canto dell’Inferno da Dante, che sottolinea l’aspetto dello sguardo infuocato («a li occhi avea di fiamme rote», v. 99). Si annuncia il desiderio di compiere questo viaggio, con una ripetizione per tre volte del verbo «volli» (vv. 6 e 8; la prima e l’ultima ripetizione sono in rima perfetta), che rievoca alla mente la famosa espressione «volli, e volli sempre, e fortissimamente volli» di Vittorio Alfieri nella Lettera responsiva a Ranieri de’Casalbigi, usata per indicare lo sforzo per diventare autore tragico. La poetessa dice di volere il «folle volo», lo stesso compiuto, secondo Dante, da Ulisse che, spinto dalla sua inappagabile sete di sapere, decise di andare oltre le Colonne d’Ercole, valicando i limiti umani, ma finì per fallire miseramente, morendo affogato. Il «folle volo» nella valenza dantesca è l’emblema di una brama smodata di conoscenza, di eterna ricerca, che, tuttavia, non può che concludersi in tragedia. Claudia Ruggeri, forse, si identificava anche con Ulisse, per la sua inappagabile curiosità che la caratterizzava, per il suo grande desiderio di studiare, apprendere, divorare libri, leggendoli svariate volte, fino a farli diventare suoi. Oltre al «folle volo», la poetessa dichiara di volere «la fine dell’era delle streghe» (v. 8), espressione che esprime il desiderio di porre fine a un’epoca di incanti e persecuzioni, in cui si potrebbe intravvedere un riferimento al suo modo di fare poesia, che aveva cercato di riprodurre su carta scenari magici e onirici, ma che era spesso risultata incomprensibile ed era stata criticata. In tutta la quarta strofe emerge il desiderio del «chiarore» (v. 9), una luce viva nel buio, un bagliore di chiarezza, di chi ha deciso di immergersi nell’oblio, di dimenticare; di chi tolse il mantello, simbolo della fine di un percorso; di chi poggiò per sempre il libro, immagine di un’abiura; di chi ha disimparato il trucco, cioè di chi rinuncia alla sua permanenza in un mondo pieno di inganni, in cui per poter andare avanti bisogna far finta che tutto vada bene. Si precisa, tuttavia, subito dopo, che il trucco (vv. 12-13) serve a creare un suono magico, che potrebbe rappresentare la poesia: forse, la Ruggeri vorrebbe smettere di scrivere.         

Spesso presente nei componimenti della poetessa è l’Idem perduto, una sorta di res amissa caproniana, un bene non posseduto, sempre desiderato e cercato, un’espressione che qui, per l’unica volta, vede separati i due termini «idem» e «perduto» da «che è», come se si volesse specificare che si tratta di qualcosa che ora è perso irrimediabilmente, è irrecuperabile e non ha più alcun senso sperare di raggiungerlo. Viene detto, con uno hysteronproteron, che chi aveva compiuto tutte le azioni descritte nella quarta e quinta strofe «rifece /e fece ancora incanti» (vv. 14-15), quindi compì magie, nel «giardino /dell’idem che è perduto» (vv.13-14): anche il giardino ha assunto diversi valori, spesso contrastanti, nella letteratura. È visto come luogo di rifugio per anime in tormento o come posto tutt’altro che rasserenante; può essere il locus amoenus, le isole fortunate del mondo classico o il simbolo del ricordo dei morti come lo era in Buzzati, ma soprattutto il giardino per eccellenza è quello biblico, l’Eden, luogo paradisiaco, sede della perfezione. L’Eden è il giardino di Dio: nel testo è «dell’Idem […] perduto», che, nella poesia della Ruggeri, potrebbe essere identificato proprio con Dio.

Alla poetessa sembra che venga mostrato il destino «cantico», aggettivo che richiama alla mente il testo biblico che viene citato subito dopo, del «padre regale / e del nostro padre» (vv. 17-18): come ha scritto Arrigo Colombo nel saggio pubblicato su «l’incantiere» in memoria della Ruggeri, Claudia si era lanciata nel vuoto per ricongiungersi «al padre terreno e celeste che amava tanto», a quel padre «nostro» che non è quello della preghiera lasciata agli uomini da Cristo, ma è il genitore in carne che la morte le aveva strappato via, e a quel Padre «regale» che chiamava da anni con preghiere e addirittura con bestemmie ma da cui si sentiva ignorata[9]. La tensione al padre deceduto ricorda l’atteggiamento di Sylvia Plath che in Daddy scrisse di aver provato il suicidio all’età di vent’anni proprio per tornare al genitore che anche lei aveva perso[10].

L’ottava strofe prende in prestito i versetti 3:1,2 del Cantico dei Cantici (tutte le citazioni nel componimento sono scritte in grassetto): la Sulamita si trova nell’accampamento di Salomone e, durante la notte, nel suo letto, desidera ardentemente il suo amato pastore da cui è stata allontanata. La poetessa sembra impossessarsi della voce della Sulamita: anche lei cerca senza sosta, senza trovarlo, «l’amato» del suo cuore, che può essere un uomo verso cui realmente la Ruggeri provava dei sentimenti, può essere una persona (il padre?) di cui sentiva la mancanza, può essere quel Dio sempre invocato e apparentemente sordo alle sue preghiere, può essere un desiderio da realizzare, un bene o una serenità anelati, può essere l’Idem perduto, che l’aveva impegnata per tutta la vita in un percorso di ricerca senza sosta.

La strofe successiva si trova, come la prima, graficamente spostata a destra. Se nelle precedenti strofi, i verbi utilizzati erano tutti al passato, ora si è nella dimensione del presente. La poetessa è nel pieno del viaggio ed è «pagana» (v. 24) mentre lo compie. Questo aggettivo discorda evidentemente con le citazioni riprese da un libro biblico. Se la poesia dev’essere davvero intesa come preannuncio della sua morte, il fatto che si definisca pagana può indicare la consapevolezza che il suicidio sia una pratica non accettata dal mondo cattolico e non è un caso che, il pomeriggio prima di uccidersi, la Ruggeri fosse andata nella chiesa di San Lazzaro di Lecce per confessarsi. La parola «libano» può avere diversi valori a seconda di dove si decide di porre l’accento: ‘lìbano’ è la terza persona plurale del presente indicativo del verbo ‘libare’, nel significato di fare un’offerta alla divinità, senso che si lega alle citazioni dalla Bibbia ma anche all’aggettivo ‘pagana’; ‘libàno’, invece, deriva dalla parola araba che significa ‘corda’, utilizzata per vari usi in marina, significato che potrebbe legarsi ai riferimenti al naufragio di Ulisse. Mentre questo viaggio si sta per compiere, la poetessa «pensa un singolo / pensiero principiante» (vv. 25-26): medita, quindi, solo ed esclusivamente su una cosa, sottolineando, con un poliptoto e una forte consonanza di ‘p’, l’atto del riflettere, dell’importanza di quello su cui la sua mente si è fissata e concentrata. Questo pensiero è principiante: è il pensiero dell’inizio, il più semplice, quello comune a tutti, forse quello con cui ci si interroga sui misteri della vita e della morte. La poetessa diventa «immune» (v. 27), cioè libera, protetta; infatti, subito dice di essere «sicura» (v. 27), ricollegandosi al v. 7, «nella vena», nell’ispirazione, che la «indulge», acconsente alla sua scelta e la perdona, e la «serena» (v. 28), la rende tranquilla, rafforzando l’idea di sicurezza più volte sottolineata nel testo. Si riprende un’altra citazione dal Cantico 5:7, dove la Sulamita racconta di aver sognato di essersi messa alla ricerca del ragazzo da lei amato e di essere stata maltrattata dalle guardie della città, che le avevano tolto anche il mantello (è la seconda volta appare questo capo vestiario).

La strofe successiva si apre con una parentesi che, come quasi sempre accade nelle poesie della Ruggeri, non trova chiusura, in cui torna il Matto di Inferno minore, con la solita intensa compassione che la Ruggeri aveva per i malati mentali, non più personaggio immaginario ma essere concreto. Viene data una descrizione delle sorti del poeta: egli è capace di innalzare il suo pensiero fino al cielo, raggiungendo la bellezza e la quiete tipiche della sede degli angeli e di Dio, ma questa sua grandiosità finisce per essere scambiata per un segno di follia, di malattia psichica (di cui la Ruggeri soffriva), a tal punto da essere recluso in un ospedale; mentre la prova della sua bravura/pazzia, cioè le opere che egli compone, diventa i documenti che i critici devono analizzare. Gli artisti danno prova delle loro capacità che spesso sono viste come sintomi di disturbi mentali e vengono stroncate da fredde valutazioni. Si può forse leggere in queste righe anche una rievocazione alla personale delusione della Ruggeri nel ricevere il giudizio di Franco Fortini che per lei significò una bocciatura, infertagli da una persona che stimava oltremisura, vissuta con grande amarezza. Il componimento si conclude con un verso che è costituito da un proverbio cinese, che parla proprio della condizione del poeta: egli punta alla felicità, ma per ottenerla deve essere pronto ad abbandonare tutto, ad accettare la rovina delle costruzioni passate, a comprendere e rassegnarsi che il dolore è uno degli input della vita. È come se la Ruggeri si fosse resa conto di non poter essere felice in nessun modo e le restava da provare solo una terribile distruzione per ricominciare da zero nel suo percorso verso quell’Idem che sembrava essere perduto da troppo tempo.

La poesia ha una struttura prevalentemente paratattica che le conferisce un effetto di suspense. Per quanto riguarda l’aspetto fonetico, numerose sono le figure di suono presenti nel testo, soprattutto le allitterazioni (v. 3 E QUindi E QUasiQUasi / MI MIsi; vv. 6-8 VoLLi il ‘foLLeVoLo’… VoLLi La fine deLL’eradeLLe streghe voLLi; vv.16-17 RiGa…ReGale; vv. 24-26 Pagana… Penso…un singolo Pensiero PrinciPiante); sono molto frequenti le ripetizioni di parole (vv. 1-2 «forma»; v. 3 «e»; v. 3 «quasi»; vv. 6-8 «volli»; vv. 9- 10 «di chi»; vv. 17-18 «padre»; vv. 4 e 24 «viaggio»; vv. 7 e 27 «sicura»; vv. 32 e 34 «pazzi»); sono presenti due rime interne (vv. 5-6 «odore/traghettatore», vv. 14 e 15 «rifece/ fece») e una baciata (v. 21 «amato/ trovato»).

Facendo un passo indietro, si può tornare alla prima versione della poesia, apparsa su «l’incantiere», che comincia con l’esergo «a Prospero» ed è composta dalle sei terzine presenti nella redazione definitiva, comprese tra la strofe spostata a destra e la prima citazione del Cantico. Le differenze in queste sei strofi, presenti sia nella versione in rivista che in quella in volume, sono le seguenti:

Versione in rivista

Versione in volume

Tutte le lettere della prima parola di ogni verso sono in maiuscolo, tranne nel penultimo “il fato”

Tutte le lettere della prima parola di ogni verso sono in minuscolo; il primo verso comincia con una parentesi tonda aperta

v. 4 “Traghettatore” in maiuscolo

v. 6 “traghettatore” in minuscolo

v. 9 “Libro” in maiuscolo

v. 11 “libro” in minuscolo

v. 11 “Suono” in maiuscolo

v. 13 “suono” in minuscolo

v. 15 “aria” in minuscolo

v. 17 “Aria” in maiuscolo

v. 15 “Padre” in maiuscolo

v. 17 “padre” in minuscolo

v. 16 “Padre” in maiuscolo

v. 18 “padre” in minuscolo

 

La poesia era ispirata all’opera teatrale shakespeariana The Tempest e dedicata al suo protagonista Prospero. Egli era un grande amante dei libri e della conoscenza, spodestato dal suo ducato di Milano dal fratello Antonio che lo aveva fatto allontanare per mare assieme alla figlia. Prospero era, poi, approdato su un’isola dove aveva continuato a condurre la sua vita, facilitato dalle sue doti magiche, finché un giorno, aiutato da Ariel, spirito dell’aria, riuscì a scatenare una tempesta per vendicarsi del fratello, facendo sì che naufragasse e approdasse sulla sua stessa isola, per poi perdonarlo, dopo una serie di vicende. Nella trama, dunque, sono raccontati due viaggi per mare, uno rappresentato e uno evocato, che si trasformano in veri e propri naufragi; il componimento della Ruggeri si apre con l’atto di mettersi in viaggio, nei panni di un traghettatore, e si fa riferimento al «folle volo», primo dei tre desideri espressi in questa poesia, che, come abbiamo già visto, nel XXVI canto dell’Inferno, rappresenta il viaggio finito in naufragio di Ulisse. Come l’eroe omerico è affamato di sapere e ambisce ad una conoscenza sempre maggiore così è anche Prospero, lettore insaziabile, fortemente legato ai suoi libri: non è difficile paragonare a queste due figure la poetessa che, come si è già detto, si immergeva totalmente nelle letture e desiderava apprendere il più possibile con un impegno smisurato. Il secondo desiderio è la fine dell’era delle streghe, cioè la conclusione dell’uso della magia e delle persecuzioni verso chi l’aveva praticata: anche qui c’è un richiamo a Prospero che è un mago, il quale, mettendo da parte l’astio verso il fratello, pone termine agli attriti e alle lotte per il regno e che, inoltre, decide di abbandonare ogni attività magica. Il terzo desiderio è il chiarore «di chi ha gettato gli arnesi di memoria», cioè di chi come Prospero ha preferito dimenticare i torti subiti, «di chi sfilò il suo manto poggiò per sempre il Libro», ancora proprio come Prospero che tolse il suo mantello magico e chiuse definitivamente il libro che lo legava al mondo della magia, «ed ha disimparato il trucco», che significa dimenticare gli incantesimi imparati o anche perdere l’abitudine di fare magie. Si fa riferimento a un giardino dove furono fatti degli incanti che potrebbe essere inteso come l’isola semideserta su cui erano approdati Prospero e sua figlia Miranda. La riga d’aria potrebbe fare riferimento ad Ariele, spirito dell’aria, che si definisce «ministro del fato» nella commedia, lo stesso fato che viene nominato poco avanti nella poesia; inoltre, le dita messe in una riga d’aria potrebbero essere quelle di Prospero che attraverso Ariele migliorava la sua arte magica. L’opera che la Ruggeri aveva letto e che le aveva ispirato questo componimento è incentrata sui temi del perdono e della pietà: infatti, verso la fine della commedia, Ariele dice di provare pietà per i personaggi su cui si è abbattuta la vendetta di Prospero, il quale ammette di provarne ancora di più data la sua natura umana e decide di lasciare da parte ogni problema e ripartire, una volta riconciliatosi con tutti. Non è la prima volta che l’attenzione della poetessa viene dirottata su queste due tematiche: l’esempio più lampante riguarda il secondo testo di Inferno minore, il Matto II (morte in allegoria) / Ninive, che si apre con il versetto 4:10 del libro di Giona, in cui Dio prova pietà per gli abitanti di Ninive, peccatori pentiti, e invece di distruggerli decide di perdonarli; lo stesso passo è ripreso a conclusione del terzo dei componimenti di Pagine del Travaso.

È molto probabile che il componimento a la fiamma della forma ha incendiato abbia subito delle modifiche, come quello che lo precede, negli ultimi mesi della vita della poetessa, quando si era concretizzata la decisione di suicidarsi e avesse caricato con immagini di morte un testo, che in origine nasceva con un significato diverso ma che ben si prestava a valori ambigui che suggerissero l’idea di una fine. Il componimento sembra presentarsi come un’abiura della poesia, come una disfatta della poetessa, il fallimento di una ricerca che l’aveva tenuta sempre impegnata: probabilmente con le modifiche apportate, la Ruggeri voleva annunciare l’impossibilità di continuare a scrivere come aveva fatto fino a quel momento, ma per lei la poesia e la vita sembravano coincidere, di conseguenza questa rinuncia poteva equivalere solo alla morte.

 

[1] C. RUGGERI, a Prospero, «l’incantiere», Anno IX, n. 35-36, Lecce, dicembre 1995, p. 22.

[2]EAD., Inferno minore, a cura e con introduzione di M. Desiati, Ancona, peQuod, 2006, pp. 127-128.

[3]EAD., uovo in versi, a cura e con introduzione di A. M. Farabbi, Lecce, Terra d’ulivi, 2015, pp. 68-69.

[4] W. VERGALLO, Claudia Ruggeri: il «travaso», la scena, l‟inchiesta, il «folle volo», in Quaderni del “Liceo Scientifico Statale Cosimo De Giorgi”, Lecce, Cartografica Rosato, 2013, p. 205.

[5] Lo spezzone è visionabile su youtube al link: https://www.youtube.com/watch?v=Gxw8rWV-QA4.

[6] F. FORTINI, Lettera di Franco Fortini a Claudia in Lettere tra Franco Fortini e Claudia Ruggeri, «l’incantiere», Anno X, n. 39-40, Lecce, dicembre 1996, pp. 13-14.

[7] S. PLATH, Lady Lazarus e altre poesie, a cura di G. Giudici, Milano, Arnoldo Mondadori, 1980, p. 25.

[8] Dalla cenere io rivengo / Con le mie rosse chiome / E mangio uomini come aria di vento.

[9] A. COLOMBO, Interiorità creatività solitudine: un profilo morale, «l’incantiere», Anno X, n. 39-40, Lecce, dicembre 1996, p. 22.

[10] S. PLATH, Lady Lazarus e altre poesie, a cura di G. Giudici, Milano, Arnoldo Mondadori, 1980, p. 69.