Mercoledì, 11 Ottobre 2017 22:46

Prima di Carla: l'"Inventario privato" di Elio Pagliarani. Intervista a Biagio Cepollaro

Scritto da Andrea Donaera
Elio Pagliarani e Biagio Cepollaro Elio Pagliarani e Biagio Cepollaro

Biagio Cepollaro (1959) è critico letterario e poeta. È stato fondatore, insieme a Mariano Baiano e a Lello Voce, della rivista “Baldus” (1990–1996) dedicata alla sperimentazione letteraria. Teorico del “postmoderno critico”, è stato tra i promotori del Gruppo 93, considerato un gruppo di avanguardia letteraria. 

 

È lecito pensare a Inventario privato di Elio Pagliarani come a uno dei testi maggiormente sottovalutati nella poesia italiana del secondo Novecento? Non è, forse, un interessante episodio a cavallo tra un momento in cui la poesia cercava la sua connotazione più adeguata (rimestando, spesso, nella tradizione) e un momento in cui la poesia decide di dis-organizzarsi (la “sbornia” avanguardistica, come l’ha definita Milo De Angelis durante una nostra conversazione)?

 

È probabile che sia un testo sottovalutato, come d’altra parte l’intera opera di Pagliarani si potrebbe considerare sottovalutata, come l’intera questione del “realismo sperimentale” che accomuna questo autore in modi non sempre evidenti a poeti come Luigi Di Ruscio e a Giancarlo Majorino. Negli stessi anni poeti così diversi uscivano con strategie anche distanti tra loro, dalla retorica e dagli equivoci neorealisti provocando piccoli e grandi terremoti linguistici al fine di scongiurare il mimetismo e il sentimentalismo. Nel caso specifico di Inventario si saltavano di colpo tutte le pastoie dell’ermetismo e dei suoi epigoni in modo molto radicale attraverso la scarnificazione e il biografismo non crepuscolare. Quella scarnificazione, quella secchezza, quella retorica del grado zero si possono ricondurre forse alla tradizione dei Vociani, vissuta ora come alternativa a ciò che era stato prodotto in ambiente ermetico. Ma andrebbero fatte delle ricerche filologicamente avvertite per trovare qualificati riscontri. La vera “sbornia” probabilmente è stata quella ermetica e post-ermetica se molta della poesia degli anni ’70, reattiva, anche giustamente, al manierismo della neoavanguardia, presentava ancora proprio i fondamentali caratteri dell’ermetismo e del simbolismo aggiornati. Al punto che molto della poesia circolante oggi in rete consiste nell’estenuazione moltiplicata, degradata, banalizzata, di quelle impostazioni retoriche una volta “poetiche”. Inventario appare sullo sfondo di questo paesaggio ancora come una salutare indicazione di sobrietà, di onestà intellettuale, di presenza esistenziale. Il poeta tratta la biografia come materiale e la poesia che ne risulta è priva di biografismo. Se si confronta Inventario con Le ceneri di Gramsci di Pasolini si capisce bene come il manierismo e la letterarietà estetizzante fossero del tutto assenti in un discorso che voleva essere realista e sperimentale, e come la radice pascoliana allontanasse Pasolini da quella che sarebbe stata la ricerca nuova (mentre quella leopardiana, per il suo sodale di Officina, Francesco Leonetti, mi pare agisse positivamente). Non si tratta di giudizi su queste radici ma sulle strategie che all’altezza degli anni ’50 potevano sorgere da questi maestri ormai “classici”. Questo almeno mi raccontava Leonetti a proposito delle sue discussioni e litigi con Pasolini su Leopardi e Pascoli. Bisogna dire che poi lo stesso poeta friulano ha trovato una strada “sperimentale” con Poesia in forma di rosa del 1964, asciugando drammaticamente il dettato. Ma Inventario esce nel 1959.

 

 

Nel suo intervento su poesiadafare.com accenna alla ricezione di Inventario privato per gli autori sperimentali alla fine degli anni ’70. Sostiene che i versi di Inventario privato «potevano risuonare come un potente antidoto al neoromanticismo di fine secolo». Può approfondire questo aspetto? Credo sia estremamente rilevante per dare una visione nitida della forza che questo libro ha avuto, almeno in potenza, nell’incedere degli anni e delle tendenze letterarie.

 

Non so quanto e in che misura Inventario sia stato importante per i mie “sodali” del Gruppo 93 e della rivista Baldus, bisognerebbe chiederlo direttamente a loro. Il Pagliarani a cui si faceva riferimento tra di noi era soprattutto quello de La ragazza Carla e dei libri successivi. Ricordo che gli Epigrammi ferraresi furono pubblicati da Manni che ha pubblicato anche il mio Scribeide scritto tra il 1985 e il 1989 e pubblicato nel 1993. Era il Pagliarani del montaggio al centro dell’attenzione. In questo senso il rapporto con Inventario forse riguardava soprattutto me, ma bisogna verificare. Quella lezione di asciuttezza retorica mi veniva anche da alcuni testi di Caproni e di Penna: già nel mio primo libro scritto nel 1983, Le parole di Eliodora, probabilmente quella lezione del primo Pagliarani si è fatta sentire. Ma poi è nelle mie opere più recenti che noto con forza l’amore per il grado zero, anche se in altro contesto e altra funzione, ovviamente.

 

 

Il soggetto lirico, in questo libro, è costantemente presente, per poi essere sostanzialmente abiurato ne La ragazza Carla. Eppure, come lei ha fatto notare sempre su poesiadafare.com, Pagliarani, in Inventario privato, porta le contraddizioni storiche (dell’industria capitalistica e del boom economico) a confrontarsi con la condizione umana, ma diversamente da Volponi o Di Ruscio o Sereni: svolgendo una poesia d’amore, lirica, dotata di un soggetto innamorato, collocato nella Milano più industriale, in uno scenario quasi grottesco. È d’accordo nel considerare questo contrasto come un momento raro e prezioso nella poesia italiana di quegli anni? 

 

Con il contrasto tra il dolore privato dell’amore e quello storico della società capitalistica, Pagliarani aveva innestato nel corpo della poesia lirica un elemento epico richiamando l’attenzione sul livello etico-politico della poesia, piuttosto che su quello linguistico, almeno in apparenza. Ma sul piano linguistico, anche se per minimi e invisibili scarti, viene realizzato lo stesso il sabotaggio. Il soggetto poetico diventa, più che il narratore poetizzante, il personaggio teatrale posto in situazione. Questo personaggio anima una sorta di canzoniere amoroso. In fondo il poeta di Inventario è sullo stesso piano della ragazza Carla: sono due personaggi sotto il peso schiacciante della realtà alienata. Non si vede insomma in azione la mimesi della schizofrenia come negli autori che linguisticamente (e non tematicamente) hanno rappresentato questa critica al mondo del capitale. Le esperienze di Volponi, Di Ruscio e Sereni che citi sono molto distanti dall’assetto dato a Inventario. Forse Volponi con il tentativo di tenere insieme anarchia panica e razionalità industriale è l’autore meno lontano da Pagliarani.

 

 

È possibile ipotizzare una ristampa di Inventario privato? Penso alle operazioni editoriali de Il Saggiatore, che sta ripubblicando raccolte importanti (tra cui una nuova edizione, nel 2016, de La Ragazza Carla). Un libro come questo potrebbe avere un futuro editoriale? Non è mai stato ristampato, dal 1959, se non nell’Elefante Garzanti contenente tutte le poesie di Pagliarani. Eppure, in rete, nei blog e forum che ho frequentato, le poesie provenienti da Inventario privato riscuotono molto interesse (e, bisogna ammetterlo, riscuotono anche un successo nella condivisione di massa sui social, spesso sottomettendo i testi a banalizzazioni simili a quelle che hanno visto “vittima” le Cento poesie d’amore di Michele Mari).

 

È augurabile una ristampa di Inventario se si accompagna ad un rinnovato interesse per le problematiche che lo hanno animato, se diventa occasione per fare giustizia della sua istanza di realismo sperimentale e della funzione intellettuale che implicitamente auspica.

 

(Intervista concessa per e-mail il 18 giugno 2017)