Martedì, 23 Maggio 2017 22:42

Trafficare in libri per la vita intera. Roberto Roversi, le riviste autoprodotte e i fogli di poesia (1977-2011) - II parte

Scritto da Mara Miccoli
Pittura murale dedicata a Roberto Roversi (parco di via Casini a Bologna) Pittura murale dedicata a Roberto Roversi (parco di via Casini a Bologna)

Con il 1980, con la strage di agosto alla stazione, la città di Bologna raggiunge un punto di non ritorno; Roberto Roversi partecipa al cordoglio, esorta alla resistenza, usa il mezzo mediatico da lui meglio conosciuto: la parola scritta. Pubblica articoli e poesie a soggetto, poi, insieme ai suoi compagni, va avanti nel progetto eso-editoriale che sperimenta la prassi, già collaudata, di un impegno civile mediato dalla poesia.

Un’esperienza redazionale direttamente legata a questo umore è “Il foglio dei quattro giorni”, apparso dal 30 luglio al 2 agosto del 1981 in occasione delle manifestazioni culturali organizzate nel capoluogo emiliano in commemorazione dell’attentato. Al consolidato binomio Roversi-Maldini, si aggiungono nel gruppo redazionale Bruno Brunini, Nicola Muschitiello e Mino Petazzini; il foglio «si propone di essere un registro, sia pure essenziale, degli stati d’animo, dei pensieri, delle speranze, delle aspettative, dei sentimenti dei giovani convenuti a Bologna per le Manifestazioni del 2 agosto»[1].

 

Improvvisamente nel cielo/ Azzurro e bianco/ Come gli occhi di una madre amorosa/ Improvvisamente il tuono/ Il boato della deflagrazione./ Improvvisamente nel cielo/ Già afoso dall’agosto torrido/ Il lampo violaceo ed il tuono/ Inatteso di un temporale/ Senza pioggia né vento./ Chi corse giù per le vecchie strade/ Vide occhi di terrore visi rigati/ Dal pianto umile del popolo,/ Uniti verso il grande rogo di pietre/ E la folla a cordone che muta/ Attendeva/ Un alito di vita sepolto/ Improvvisamente nel cielo/ Azzurro e dolce/ Il tuono, il boato, la morte maledetta[2].

 

Per far fronte alle necessità pratiche, la rivista sceglie un formato maneggevole e veloce, un foglio non ripiegato e stampato su due facciate, più simile a un manifesto che a una fanzine. In effetti nelle ore concitate delle quattro giornate bolognesi, mentre la città era invasa da manifestanti allineati per far fronte comune contro il terrorismo («cinquanta convegni, decine di concerti, letture in pubblico, discussioni animatissime… Carmelo Bene che il 31 luglio 1981 cantò la sua Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli»[3]), i tempi per la preparazione e la pubblicazione dei numeri risultavano molto stretti: durante il giorno si raccoglievano materiali e testimonianze nelle piazze e negli altri luoghi di aggregazione, la sera si impaginava e la notte si stampava in tipografia. Al mattino i fogli venivano poi distribuiti a mano per il costo simbolico di 100 lire.

 

“Foglio dei quattro giorni”, n.1, luglio 1981.“Foglio dei quattro giorni”, n.1, luglio 1981. 

 

Dall’intestazione plurilingue (“Foglio dei quattro giorni”, “Das viertagebblatt”, “Journal des quatre jours”, “Four days news sheet”) e dalla presenza di interventi e riflessioni in lingua straniera, è chiara la volontà della rivista di includere nei ragionamenti antiterroristici i giovani accorsi per l’occasione da tutta Europa. Agli articoli il cui soggetto è strettamente legato alla commemorazione della strage se ne affiancano altri incentrati su tematiche d’attualità (l’uso dell’eroina, la mancanza di ideali nell’universo giovanile, il cattivo rapporto tra studenti e istituzioni), il cui stile attraversa liberamente il confine tra prosa e poesia. Tra i nomi dei poeti ospitati nel “Foglio dei quattro giorni” scorgiamo quello di un già noto Carlo Bordini, che nello stesso anno pubblicava per una collana diretta da Roversi e Giancarlo Majorino la silloge poetica Strategia[4].

In seguito a queste prime esperienze di poesia militante, soprattutto grazie all’ottimo riscontro ottenuto da “La Tartana degli influssi”, viene creata a Bologna la Cooperativa Culturale Dispacci, che oltre a Roversi e Maldini annovera tra i suoi soci fondatori Nicola Muschitiello, Giuseppe Cafiero, Gabriele Milli e Mino Petazzini, ai quali si aggiungeranno negli anni Salvatore Jemma e altri giovani poeti.

 

“Foglio dei quattro giorni”, gruppo redazionale. Agosto 1981, Comune  di Bologna, Piazza Maggiore. Da sinistra, Mino Petazzini, Maurizio Maldini, Nicola Muschitiello, Calabria, Luca Sossella.

 

I tempi sono maturi, dall’esperienza di “Officina” sono trascorsi più di venti anni: «ai miei tempi una rivista si poteva avviare anche con approssimazione, con improvvisazione o con la sola passione di farla […] Gestire la propria comunicazione, allora, era difficile ma non impossibile»[5]. Gli anni Cinquanta erano stati anni di rivalsa intellettuale ed economica; chi allora si imbatteva nella creazione di una rivista sapeva di poter contare sull’attenzione di un sistema culturale basato su riferimenti forti e su un’ideologia compatta. Adesso, al contrario, si pone un problema storico di gestione dei contenuti: «mi sembra che sia facile ottenere attenzione da ogni parte, ma per un momento troppo breve; quindi un’attenzione scarsa (scarna) per avere la garanzia di un ascolto attento e soprattutto continuato. Tra ieri e oggi insomma […] la differenza sta nell’attesa»[6]. La situazione negli anni ’80 si è fatta più complessa, da una parte per la mancanza di riferimenti politici solidi, dovuta al crollo dell’ideologia di sinistra, dall’altra per lo sfaldamento dell’industria editoriale, ormai guidata dalle sole logiche di mercato. Le riviste nate dall’officina culturale di “Dispacci” basano le proprie fondamenta in questo contesto, ma, al contrario del lavoro svolto con “Il Cerchio di gesso”, lasciano alle spalle il periodo di lotte infuocate che aveva animato le scritture precedenti.

Antesignana dei nuovi periodici poetici è la rivista “Le Porte” che reca come sottotitolo “Giornale di poesia a cura di Roberto Roversi e Gianni Scalia”. Edita in un formato molto compatto, un centinaio di pagine rilegate in una brossura, “Le Porte” ricorda nelle sembianze più un libretto di poesie che un periodico. Della rivista usciranno in tutto tre numeri: il primo nel febbraio 1981, edito per i tipi della Libreria Palmaverde, il secondo nel 1982 e il terzo nel 1983, entrambi per l’Editrice “Dispacci”.

La rivista raccoglie testi poetici e racconti di scrittori esordienti; fanno qui la loro comparsa alcuni autori spesso legati alla vicenda biografica roversiana in qualità di collaboratori, amici o critici della sua opera, quali Gianni D’Elia, Luca Sossella e Massimo Raffaeli.

 

 “Le Porte”, n.1, febbraio 1981.

 

Già collaboratore di Roversi ai tempi di “Officina”, Gianni Scalia firma insieme al poeta la postfazione al primo numero della rivista: «“Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere” (Apoc.,3,1). Molto meno (o per nulla) apocalittica, non ambiziosamente ultimativa, escatologica, sarà la rivista-libro, o quaderno, o fascicolo o giornale, che stiamo per aprire, tanto è favorevole e propizio, sembra, il tempo presente, a ciò che dicono “la poesia”, se la si diffonde e divulga attraverso tanti luoghi e modi e forme. Insomma, il “boom della poesia”»[7]. Le parole di Scalia, rivolte alla proliferazione di riviste e libricini autonomi, richiamano alla mente quel capitolo della storia letteraria connesso alla ricerca di nuovi linguaggi e nuovi mezzi di comunicazione che risponde al nome di “esoeditoria[8].

 

La poesia è dovunque, e comunque: in tutte le stagioni. Ci sono poeti festivi e feriali, selvaggi e addomesticati, all’aperto e al chiuso; scritti e orali, visuali (e visibili), grafici e fonetici; morali e murali […] La poesia (vera) di chi non è (ancora) conosciuto è ancora clandestina, sotterranea; è ancora patrimonio dell’ostinata fede dei solitaires. […] Non è vero che siano aperti i portoni dei mass-media, i programmi radiofonici e i canali televisivi, le colonne dei giornali o ebdomadari; che sia erogata una porzione (benché parca) del budget degli editori.[9]

 

Le proposte editoriali immesse in questa direzione si moltiplicano, accompagnano l’uscita dei fogli autogestiti pubblicazioni di libretti poetici e narrativi estranei al mercato convenzionale. È il caso della collana “Dispacci di poesia”, «libretti anomali di opere singole e complete (lungamente curate) […] per un pubblico di lettori selettivo e selezionato»[10]. Escono opere di Mino Petazzini (Radio dei giorni di pioggia), di Severino Cesari (Le armate del conquistatore), di Luca Sossella (Stato in luogo), di Salvatore Jemma (Scene). Queste raccolte seguono l’uscita dei fogli periodici “La Tartana degli influssi”, “Le Porte” e “Dispacci”.

Il più delle volte la diffusione delle riviste della Cooperativa risulta frammentaria e disordinata, le testate hanno periodicità irregolare e le pubblicazioni tendono a intersecarsi tra loro, dando vita a una conseguente disseminazione di scritti e scrittori. A ridosso della prima uscita di “Le Porte” inizia ad essere pubblicata “Dispacci”, l’omonima rivista prodotta dalla cooperativa tra il 1981 e il 1987. Il nuovo foglio cerca di continuare l’esperienza nata con il “Foglio dei quattro giorni”, estendendo nel tempo quel coro di voci in lotta contro il terrorismo e la guerra. Il formato adoperato è lo stesso dei fogli-manifesto distribuiti durante le giornate di commemorazione, per sfruttare il vantaggio di un mezzo rapido ed economico. Elemento comune alle due riviste saranno infatti la fretta e l’impazienza, intese come bisogno materiale e ideologico.

 

Il titolo di questo Foglio ha per radice semantica la fretta (se dépêcher). Per dire anche che bisogna fare presto, che bisogna essere veloci come un comunicato telegrafico: non perché se ne ha voglia, ma perché è conveniente – per non dire necessario. Bisogna andare di corsa lungo il filo dei giorni e senza il filo di Arianna perché ci troviamo – senza volerlo? – sul filo della lama – verso la punta. Quando il futuro è cominciato, noi crediamo giustamente che è l’oggi. Anche per questo – in questa semplice consapevolezza – bisogna sbrigarsi. A pensare, dire, fare.[11]

 

Curato da Brunini, Maldini, Muschitiello, Petazzini e Roversi, il primo numero di “Dispacci” avvia le sue argomentazioni ragionando sul momento storico attraversato: la guerra fredda o «guerra nella pace»; si raccolgono poesie e articoli contro l’uso del terrore e la ‘tanatocrazia’. Anche nei numeri successivi i redattori mantengono un occhio vigile sull’attualità, prendendo nette posizioni a riguardo di problematiche specifiche. Degli esempi sono il fascicolo dedicato alla lotta contro il nucleare nel 1987 (all’indomani del disastro ambientale di Cernobyl’) o la raccolta di poesie contro l’Apartheid.

Firmano gli interventi gli stessi redattori, compreso Roberto Roversi, con l’aggiunta di qualche ospite come Giuseppe Guglielmi, già saggista e traduttore per “Rendiconti”, e Ferruccio Brugnaro, poeta operaio attivo nelle lotte sindacali per i diritti dei lavoratori. Sul secondo numero del foglio appaiono le Trenta poesie di Roversi, successivamente inglobate nell’opera Il Libro Paradiso (Laicata, 1993), punto di raccolta dei materiali disseminati dal poeta su riviste tra gli anni Settanta e Ottanta.

Vari cambi gestionali si susseguono nella storia del periodico, come l’entrata in redazione di Giuseppe Cafiero e di Salvatore Jemma, ma la svolta più significativa è la creazione nel 1982 della Cooperativa che da esso prende il nome. Come si è già detto, il gruppo formale di “Dispacci” nasce dalla necessità di creare un organo direttivo per le esperienze eso-editoriali nate a Bologna sul finire degli anni ‘70, ma anche per accompagnare il debutto di una poesia ‘nuova’. Come aveva fatto Roversi anni prima con il ciclostilato de Le Descrizioni in atto (1969)[12], il gruppo si pone il problema della gestione della comunicazione e, per mezzo dell’autopubblicazione, scrittori in erba iniziano a gestire direttamente la propria poesia: essa non è più affidata alla distribuzione di editori o agenzie, ma diventa autonoma e clandestina. La Cooperativa ottiene una sede comunale in cui riunirsi e operare, ma i giovani, sempre più numerosi e sempre più entusiasti, continuano a gravitare attorno alla libreria Palmaverde e al poeta libraio: «Così in quegli anni ’80, per tante voci disperse bolognesi e italiane, La “Palmaverde” e il gruppo di “Dispacci” diventano lo spazio in cui misurarsi e riconoscersi»[13].

Il nuovo impegno si esprime attraverso due momenti: gli incontri culturali disseminati nella città e la creazione delle riviste. La poesia cessa di essere chiusa in scuole, salotti o accademie ed esce in strada: letture collettive vengono organizzate in luoghi pubblici, teatri, piazze, cortili e osterie. La poesia costituisce un luogo di espressione libera e autentica, grazie a essa si realizza un salto comunicativo che cambia i rapporti tra autore e lettore: nei reading poetici non esiste più confine tra performer e spettatore. “Dispacci” offre a tutti l’occasione di esprimere se stessi in versi, di rendere pubblici sentimenti e pensieri altrimenti mai condivisi.

Quasi subito viene creato un archivio in via del Pratello a Bologna con il materiale cartaceo che giovani scrittori inviano da ogni parte d’Italia: «Poesie del quotidiano, poesie politiche, poesie d’amore, poesie maledette. Una nuova soggettività portava in superficie la lingua del sentire. C’erano voci cariche di solitudine e di sogno, voci che nella vita si sentivano perdute, che si riflettevano nelle ragioni che ostacolavano la loro circolazione»[14].

L’archivio del Pratello funge da punto di raccolta per le riviste curate direttamente dalla cooperativa: oltre alla già citata “Dispacci”, “Lo Spartivento” e “Numerozero”. I fogli volanti sono l’espressione di un mondo sotterraneo e finora mai indagato, strumento di resistenza critica e conoscitiva. L’idea stessa della rivista sta cambiando:

 

Mi interrogo in questo momento e in questa occasione su cosa sia, debba essere o possa essere una rivista oggi. Specialmente una rivista di testi di poesia. E non di poeti laureati o di testi già selezionati ma di autori nuovi, esordienti.[15]

 

 

[1] “Foglio dei quattro giorni” n.1.

[2] GIUSEPPE QUERCIOLI, Il tuono la deflagrazione, in “Foglio dei quattro giorni”, n.1.

[3] LUCA SOSSELLA, intervista rilasciata nel settembre 2015 per il sito “Libri nuovi in piazza”, http://www.librinuoviinpiazza.it/valentino-ronchi-conversazione-con-luca-sossella/

[4] La collana in questione è “Poesia e realtà”, edita da Savelli Editori di Roma dal 1980 all’82, per la quale usciranno opere di Angelo Lumelli, Gianni D’Elia, Giuseppe Guglielmi e altri.

[5] R. ROVERSI, postfazione a “Le Porte”, n.1, febbraio 1981, p. 130.

[6] Ibidem.

[7] GIANNI SCALIA, postfazione a “Le Porte”, n.1, p.133.

[8] Il neologismo ‘esoeditoria’ fu coniato in occasione del convegno, con annessa esposizione internazionale, organizzato a Trento nell’ottobre 1971 da Bruno Francisci. Con esso si indicava una produzione editoriale, non regolata da logiche di mercato e esterna ai canali convenzionali, che esprimeva il suo potenziale attraverso l’autoproduzione di libri e periodici.

[9] GIANNI SCALIA, postfazione a “Le Porte”, n.1, pp. 134-135.

[10] ROBERTO ROVERSI, Vent’anni (1980-2000), qua a Bologna, di lavoro letterario inquieto e partecipato, fuori dai musei, in Poesia a Bologna, cit., p.153.

[11] Nota redazionale in “Dispacci” n.1.

[12] Le descrizioni in atto, già parzialmente pubblicate su alcune riviste tra il ’63 e il ‘69, verranno stampate da Roversi e inviate gratuitamente ai suoi lettori. Si stima che in dieci anni il poeta abbia ciclostilato circa tremila e cinquecento copie. Questo gesto, lungi dall’essere un’azione anarchica di protesta contro l’industria editoriale, poneva il problema del controllo dell’informazione, problema largamente approfondito dai movimenti e dalla sinistra extraparlamentare del tempo.

[13] BRUNO BRUNINI, Sul filo del tempo in G. C. SISSA, Poesia a Bologna, Gallo et Calzati Editori, Bologna, 2004, p.36.

[14] Ivi, p.39.

[15] R. ROVERSI, postfazione a “Le Porte”, n.1, febbraio 1981, p. 130.