Martedì, 16 Maggio 2017 11:03

«Scrivere è dispossessarsi non meno che il buttar via»: Italo Calvino, l’ordine e la spazzatura

Scritto da Simone Giorgio

Nel primo capitolo del Visconte dimezzato, il protagonista fa il suo ingresso in scena su un campo che Calvino rende tetro attraverso la distribuzione di una serie di dettagli:

 

In groppi di carcasse, sparse per la brulla pianura, si vedevano corpi d’uomo e donna, nudi, sfigurati dai bubboni, e, cosa dapprincipio inspiegabile, pennuti: come se da quelle loro macilente braccia e costole fossero cresciute nere penne e ali. Erano le carogne d’avvoltoio mischiate ai loro resti.

 

Andando avanti nella lettura, il visconte è messo in guardia dal suo scudiero. Occorre diffidare dalle apparenze, perché lo spettacolo che gli si presenta spesso non è quel che sembra:

 

- Attento, signore, - aggiunse lo scudiero, - [le cortigiane, ndr] sono tanto sozze e impestate che non le vorrebbero neppure i turchi come preda d’un saccheggio. Ormai non son più soltanto cariche di piattole, cimici e zecche, ma indosso a loro fanno il nido gli scorpioni e i ramarri.

 

In queste righe, a pochi anni dal suo debutto letterario, Calvino ha già messo a fuoco, con una nitidezza invidiabile, un tema che farà capolino nelle sue opere con puntuale regolarità: la necessità di operare distinzioni in un mondo che si presenta ambiguo e in cui ogni cosa è mescolata alle altre, causando fraintendimenti.

Tempo dopo, in uno dei suoi tipici mutamenti di direzione stilistica, l’autore pubblica Le Cosmicomiche. È il 1965: la raccolta comprende dodici racconti, il quarto dei quali, Tutto in un punto, è ancora oggi fra i più antologizzati del libro e dell’opera di Calvino in generale. In questa storia, il protagonista Qfwfq ricorda il tempo precedente al Big Bang, in cui «si stava tutti lì, […] e dove, altrimenti?». L’impossibilità di effettuare distinzioni è, in questa fantasia, portata al massimo grado immaginabile: «Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto d’ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti». In queste condizioni, qualsiasi tipo di conoscenza è resa impraticabile: «…non riuscivi a riconoscere quel che in seguito sarebbe andato a far parte dell’astronomia (come la nebulosa d’Andromeda) da quel che era destinato alla geografia (per esempio i Vosgi) o alla chimica (come certi isotopi del berillio)». La discrezione, in questa vicenda, diventa persino un dono d’amore, uno «slancio» messo in atto dalla signora Ph(i)Nko:

 

…un vero slancio d’amore generale, dando inizio nello stesso momento al concetto di spazio, e allo spazio propriamente detto, e al tempo, e alla gravitazione universale, e all’universo gravitante, rendendo possibili miliardi di miliardi di soli, e di pianeti, e di campi di grano, e di signore Ph(i)Nko sparse per i continenti dei pianeti che impastano con le braccia unte e generose infarinate, e lei da quel momento perduta, e noi a rimpiangerla.

 

La nota di nostalgia, nell’affermazione finale, è evidente; nostalgia impossibile, dal momento che nessun essere vivente ricorda il tempo che precedeva il Big Bang; eppure Calvino pone il discorso in questi termini, con rimpianto e insieme consapevolezza: come se l’unione di ogni atomo si contrapponesse al disordine delle cose in essere, e al tempo stesso non ci fosse altra scelta, per le cose, che esistere. Nel suo libro più enigmatico, Le città invisibili, Calvino descrive due città che vale la pena ricordare in questa dissertazione. La prima, Procopia, sembra riprendere il motivo di Tutto in un punto: a causa della sua crescente sovrappopolazione, in questa città le persone sono costrette a vivere pigiate le une sulle altre, in spazi sempre più ridotti: «Quest’anno […] la finestra inquadra solo una distesa di facce […]. Anche il cielo è sparito». È probabile che quest’immagine sia un riferimento al sovrappopolamento delle metropoli contemporanee; Procopia si inserisce fra le ultime città del libro, quelle in cui Calvino dipinge i problemi dell’urbanizzazione occidentale, preparando il terreno al noto finale sull’«inferno» di Marco Polo. In questa serie di città, ce n’è un’altra che espone un problema che si riallaccia alla tematica dell’indistinguibilità delle cose: Leonia. Tra le città più citate del libro, Leonia solleva una problematica estremamente attuale, quella dei rifiuti: «L’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove». La commistione, in questo caso, avviene tra ciò che è necessario e vitale e ciò che è ormai inutilizzabile e da gettare via:

 

Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.

Ancora una volta, il motivo della mescolanza, della commistione sembra essere basilare nell’universo calviniano, ma qui è intrecciato strettamente alla problematica del discernere tra ciò che è funzionale e ciò che è da buttare. Calvino ha sviscerato ulteriormente, e in maniera forse definitiva questi temi nello scritto La poubelle agréée, oggi contenuto nel libro postumo La strada di San Giovanni. Sin dalle righe iniziali, Calvino sottolinea l’importanza del gesto di esporre la spazzatura per la raccolta dei netturbini nel contesto prima domestico: «a casa nostra, nel garage dove teniamo la poubelle grande durante il giorno, è soltanto l’ultimo atto del cerimoniale su cui si fonda il privato, - e in quanto tale viene compiuto da me paterfamilias…». Ma subito l’azione è interpretata anche alla luce del suo valore sociale: «Occorre però dire che la poubelle grande […] annuncia la parte che nella vita di ciascuno hanno la dimensione pubblica, i doveri civici, la costituzione della polis». Al processo di conoscenza e distinzione delle cose, segue quello di selezione, un’operazione di scelta che è necessaria e fondamentale sia nella dimensiona privata, che in quella pubblica: «La poubelle agréée: gradita in primo luogo a me, ancorché non gradevole; come è necessario gradire il non gradevole senza il quale nulla di quel che ci è gradito avrebbe senso». Continuando a sfruttare l’esempio offerto dalla poubelle, Calvino scrive:

 

Il portare fuori la poubelle va dunque interpretato contemporaneamente (perché così lo vivo) sotto l'aspetto di contratto e sotto quello di rito […] rito di purificazione, abbandono delle scorie di me stesso, non importa se si tratta proprio di quelle scorie contenute nella poubelle o se quelle scorie rimandano a ogni altra possibile mia scoria, l'importante è che in questo mio gesto quotidiano io confermi la necessità di separarmi da una parte di ciò che era mio, la spoglia o crisalide o limone spremuto del vivere, perché ne resti la sostanza, perché domani io possa identificarmi per completo (senza residui) in ciò che sono e ho. Soltanto buttando via posso assicurarmi che qualcosa di me non è stato ancora buttato e forse non è né sarà da buttare.

 

La questione guadagna una rilevanza talmente ampia da indurre Calvino a sconfinare nell’allegoria sacrale per descrivere il «rito di purificazione»: l’esposizione della spazzatura diviene una «offerta agli dèi»; i netturbini si configurano come «emissari del mondo ctonio». Ciò dà lo spunto allo scrittore per una breve analisi sociologica del ruolo dei netturbini, spesso di origine straniera, occupanti gli ultimi posti della scala sociale francese. Anche per loro, sebbene in un modo del tutto originale, la spazzatura è fonte di conoscenza, quasi alla maniera del collezionista-flâneur di cui parlava Walter Benjamin: «Caricando l’autocarro l’immigrante al suo primo lavoro visita la metropoli attraverso il suo rovescio: valuta la ricchezza o la povertà dei quartieri dalla qualità dei loro rifiuti». Da queste osservazioni, Calvino intuisce che lo smaltimento dei rifiuti, che fino a poche righe prima aveva esaltato nei termini appena riportati, è divenuto parte integrante del ciclo capitalista, anzi, è assurto allo status di simbolo dell’Occidente capitalista: «l’essere stato assunto come spazzino è il primo gradino d’una ascesa sociale che farà anche del paria di oggi un appartenente alla massa consumatrice e a sua volta produttrice di rifiuti, mentre altri usciti dai deserti “in via di sviluppo” prenderanno il suo posto a caricare e scaricare secchi». Ma si tratta, ovviamente, di un’intuizione fin troppo «ottimistica»; il rituale di purificazione e conoscenza portato dalla raccolta dei rifiuti parigina è falso, fallace: «Il piacere di far rinascere le cose periture (le merci) resta privilegio del dio Capitale che monetizza l’anima delle cose e nel migliore dei casi ce ne lascia in uso e consumo la spoglia mortale».

Eppure, l’importanza dello scarto, del tagliar fuori è ribadita nelle conclusioni di questo scritto, come a riproporre, appunto, il valore della selezione come principio della conoscenza (e quindi del miglioramento della propria condizione):

 

Scrivere è dispossessarsi non meno che il buttar via, è allontanare da me un mucchio di fogli appallottolati e una pila di fogli scritti fino in fondo, gli uni e gli altri non più miei, deposti, espulsi.Solo resta a me e m’appartiene un foglio costellato d’appunti sparsi, in cui durante gli ultimi anni sono andato segnando sotto il titolo La poubelle agréée le idee che mi affioravano alla mente e che mi proponevo di svolgere in distesa scrittura…

 

Così, se nella realtà Calvino è schiacciato dalle difficoltà che derivano dallo smaltimento dei veri rifiuti, e dunque è affranto dalla complicatezza della conoscenza del reale, il Calvino scrittore riesce, tramite appunto la scrittura, a mettere in ordine, «svolgere» il discorso che, nonostante tutto, gli appare ancora ingovernabile («altre note ancora delle quali adesso non riesco a ricostruire il filo, il ragionamento che le legava»): il metodo di Calvino, quindi, sembra incrinarsi sempre di più nel corso degli anni, man mano che ci si avvicina al nodo finale di Palomar, in cui lo scrittore farà i conti con la base empirica della conoscenza e della selezione, la descrizione. E non è certo che riporterà una vittoria: «A questo punto a Palomar non restava che cancellare dalla sua mente i modelli e i modelli di modelli. Compiuto anche questo passo, ecco si trova faccia a faccia con la realtà mal padroneggiabile e non omogeneizzabile…».

 

Bibliografia:

Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Mondadori, Milano 2015

Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Mondadori, Milano 2015

Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2015

Italo Calvino, La strada di San Giovanni, Mondadori, Milano 2015

Italo Calvino, Palomar, Mondadori, Milano 2015

Andrea Severi, La spazzatura gradita a Italo Calvino. Un breve percorso tra i rifiuti de La poubelle agréée, su griseldaonline.it (http://www.griseldaonline.it/temi/rifiuti-scarti-esuberi/la-spazzatura-gradita-a-italo-calvino-severi.html).