Giovedì, 26 Ottobre 2017 07:30

Trafficare in libri per la vita intera. Roberto Roversi, le riviste autoprodotte e i fogli di poesia (1977-2011) - III parte

Scritto da Mara Miccoli

Proseguendo nell’intento di dar voce alla poesia esordiente e non laureata, il gruppo bolognese di “Dispacci”, con la supervisione del poeta Roberto Roversi, nel 1986 manda in stampa “Lo Spartivento”, un nuovo foglio militante a circolazione gratuita. La nuova rivista, sulla scia delle precedenti (“La Tartana degli influssi”, “Foglio dei quattro giorni”, “Dispacci”), stabilisce, in maniera libera e autogestita, un asse di dialogo e di incontro tra autori e testi poetici.

 

Spartire il vento non ha certo il significato – che sarebbe arrogante per tutti e tanto più per noi e per il nostro lavoro – di selezionare il meglio e il peggio, il buono e il cattivo, […] al contrario vorremmo indicare che ci sentiamo dentro al grosso frastuono e al moto attivo e difficoltoso del nostro tempo; partecipando dell’ansia giusta e inquieta di ricerca di ognuno; e con lo scrupolo, comune a tanti, di volere individuare qualche utile suggerimento o qualche linea di direzione; proponendo nello stesso tempo, con questo foglio, un riferimento che sia (e dia) occasione di buona lettura o di qualche riflessione.[i]

 

La nota originale che caratterizza il nuovo lavoro è l’apertura dell’indagine verso realtà poetiche extraeuropee, con numeri dedicati alla poesia del Nicaragua (dicembre ’87), alla libertà in Cile (gennaio ’89), alla Palestina, ai poeti arabi e iraniani[ii]. Il foglio rivolge poi la sua attenzione a tematiche sociali contemporanee come l’emigrazione dei lavoratori in Germania e le lotte sindacali (il numero 22 titolava ad esempio: Fiat 1989: se non c’è lotta, il nulla); ospita inoltre una selezione di testi popolari e dialettali, dando prova di grande interesse per la vita civile e sociale della terra emiliano-romagnola (Folkore, canzoni e poesie popolari della Romagna).

I primi tre numeri sono diretti da Roversi insieme a Salvatore Jemma, Gabriele Milli e Maurizio Maldini per la Cooperativa Culturale Dispacci, ma presto la gestione della rivista è affiancata dalla segreteria della C.G.I.L. di Bologna. Il numero 26 de “Lo Spartivento”, infatti, verrà distribuito gratuitamente in occasione della manifestazione unitaria organizzata da CGIL, CISL e UIL, per il centenario del Primo Maggio, insieme alla ristampa de Le Descrizioni in atto di Roberto Roversi.

A partire dal fascicolo numero 30 la rivista cessa la collaborazione con il sindacato dei lavoratori e torna ad essere foglio autoprodotto. La redazione del periodico sarà col tempo lasciata al solo Gabriele Milli, che la condurrà fino al n.78 (autunno 1994) avvalendosi dell’aiuto di alcuni vecchi collaboratori.

Sul venticinquesimo numero, stampato nel febbraio 1990, i redattori stilano un bilancio del lavoro svolto:

 

Attualmente tiriamo 8.500 copie di ciascun numero, in tiratura normale; di queste 6.121 sono spedite a 1.160 indirizzi, 182 dei quali ci aiutano a far circolare più copie […]. Tuttavia ci piacerebbe arrivare, oltre a più lettori con una singola copia, anche con più copie in molti più luoghi di lavoro, scuole, librerie, biblioteche, centri culturali e associazioni, ecc.; dovunque qualcuno pensa sia utile e ci possa aiutare a far circolare il nostro foglietto[iii].

 

“Lo Spartivento”, esercitando in molti casi una funzione di talent scout artistico, registra gli esordi di scrittori oggi noti a livello nazionale. È il caso di Antonella Anedda che nei numeri 36 e 37 del 1991 pubblica alcuni scritti dalla sua opera Residenze invernali, edita l’anno successivo per Crocetti Editore di Milano, e di Anna Maria Farabbi che pubblica alcune Poesie in dialetto perugino nel 1992. Singolare appare poi la presenza tra i collaboratori di Alfio Antico, artista siciliano, musicista e maestro dei tamburi e dei canti popolari[iv].

Sui numeri 56 e 57 Gabriele Milli cura un’antologia delle poesie di Roberto Roversi tratte dalla raccolta Dopo Campoformio [Feltrinelli, 1962]; dello stesso Roversi sul numero 58 dell’ottobre 1992 appaiono i testi ancora inediti della seconda parte de L’Italia sepolta sotto la neve [AER Edizioni, 2010].

Dal 1990 la redazione della rivista pubblicherà anche la piccola collana dei “Quaderni de Lo Spartivento”, iniziando con la già citata ristampa a tiratura limitata de Le descrizioni in atto. Seguirà nel dicembre dello stesso anno la pubblicazione dell’antologia Lo Spartivento. Foglio di poesia militante. Antologia di testi dal n.1 al n.27 (1986-90) e nel maggio ’91 una scelta delle poesie di Emilio Prados, il poeta della guerra civile spagnola, tradotte da Gabriele Milli, Destino fedele (esercizi di poesia in guerra, 1936-1959).

Contemporanea al lavoro de “Lo Spartivento” è l’uscita di “Numerozero”, che conta quattro fascicoli editi tra il 1986 e il 1987. Il gruppo redazionale è composto dai già noti Roversi, Maldini, Petazzini, Jemma e Brunini, con l’aggiunta di Bruno Giorgini e Carlo Antonio Gobbato. La sede redazionale è presso Gabriele Milli. L’impostazione della rivista è indizio di un lavoro meno istintivo: attraverso un’analisi ragionata della letteratura, si riflette sul senso dell’essere poeta e sul ruolo dell’intellettuale, si recensiscono e traducono poeti europei, allargando l’orizzonte alle correnti letterarie mondiali per poi riportare il discorso critico sulla cultura italiana. «Vorremmo provarci a redigerli questi quattro fogli; vorremmo provarci, consapevoli dei nostri limiti e delle difficoltà che ci aspettano, per non disarmare, cercando il poco, l’indispensabile, il necessario». Non mancano contributi originali dei curatori che pubblicano in rivista poesie e prose di loro creazione. Si può leggere il racconto a puntate di Maurizio Maldini La casa di Macao, dove innovazioni grafiche e interpolazioni linguistiche si intrecciano con frammenti di narrativa di viaggio, aprendo la pagina a un alto grado di sperimentazione.

Con l’esperienza di “Nunatak” siamo ormai nei pieni anni Novanta. Per la rivista usciranno nel complesso 12 fascicoli, dal febbraio ’92 al giugno ’95. In prima pagina, il titolo ‘Nunatak’, manoscritto con calligrafia elementare, è accompagnato da un’epigrafe: «Durante la glaciazione alcune zone rimangono prive di ghiaccio. In questi luoghi, detti con voce eschimese nunatak, alcuni organismi possono sopravvivere e resistere fino al successivo disgelo». Il titolo scelto, quindi, si carica di valenze simboliche: “Nunatak” è un collettivo di autori che continua a lavorare con tenacia, nonostante le avverse condizioni circostanti. Non si tratta più di un’azione del collettivo di “Dispacci”, ormai sciolto, seppure alcuni degli scrittori della nuova redazione provengano dall’esperienza della cooperativa. La rivista è diretta da Rudi Ghedini, sotto la proprietà di Salvatore Jemma, mentre nel gruppo redazionale troviamo Roberto Roversi, Emanuela Risari, Viviana Rosi, Simonetta Tunesi, Gualtiero Via, Katia Zanotti e Sergio Zappoli. Il fascicolo è tirato in 400 copie e distribuito da pochi rivenditori, per lo più librerie ed edicole, tra cui la libreria Palmaverde di Roversi.

 La rivista alterna tematiche sociali e letterarie, riflette sull’emigrazione, la disoccupazione, l’operato dei partiti italiani, la situazione politica internazionale, il presente della realtà italiana e della cittadina bolognese. Alla letteratura si dedicano due rubriche: “Scritture”, che ospita interventi critici o brevi racconti, e “Fossili”, che raccoglie brani tratti da opere di scrittori internazionali, come William Burroughs o Thomas Mann. Nell’ottavo numero del settembre 1993 è presentata la neonata Associazione Nunatak, costituita da alcuni attivisti «mossi dal proposito di costruire un gruppo che tenti di tradurre in azione politica i temi che sono stati oggetto, sulla rivista, di elaborazione scritta»[v]. Sulle pagine del periodico è esposto il programma di iniziative proposto dall’associazione, con opere mirate agli ambiti del disagio sociale, del lavoro e dell’urbanistica partecipata.

Con “Nunatak” si è ormai lontani dai fogli di poesia clandestina e militante che invadevano lo scenario culturale bolognese negli anni ‘80. Si avvia ora una nuova fase progettuale di intervento e partecipazione socio-culturale, coincidente con il mutato clima ideologico a livello locale e nazionale. La proliferazione di fogli autogestiti tra anni Ottanta e Novanta non riguardava infatti la sola città di Bologna, ma l’intero panorama italiano. Lo stesso Roversi si sofferma ad analizzare il fenomeno, inarrestabile, delle “rivistine”.

 

Uno dei canali solo in apparenza più modesto e marginale, ma in realtà ‒ per verifica mai consumata ‒ corrosivo, tanto da confermare almeno una utilità dissacrante, è rappresentato dal borbottio fastidiosamente implacabile delle rivistine (la parte povera del mondo culturale), l’armata quasi invisibile delle formichine della parola, che non cessano di picchiare alle porte e presentarsi con dura tranquillità. Che ci siano, invece, e che si presentino non invitate e silenziose, con il proposito di non lasciarsi imbavagliare, sgomentare, disperdere, è un risultato di fervore mai spento e di resistente fiducia nei destini della cultura, in un mondo che non deve essere travolto dall’abuso informatico che lo rode tutt’ora.

Una buona conferma d’impegno è dunque verificabile nella realtà e nel numero dei messaggi periodicamente proposti ‒ attraverso la fatica di tanti.[vi]

 

La partecipazione a questa parte povera del mondo culturale sarà una costante che accompagnerà il lavoro dello scrittore fino agli ultimi anni di vita, in quella lunga fase della sua scrittura, durata vent’anni, segnata dalla composizione de L’Italia sepolta sotto la neve, un libro-poema che ricerca l’epicità in un presente di miserie.

Le riviste autogestite di questi anni, gli anni Novanta e Duemila, continuano a servirsi del mezzo poetico come strumento di una lotta politica condivisa. “Il giuoco d’assalto”, nato in occasione della sconfitta della sinistra alle elezioni comunali di Bologna, esce per la prima volta nel settembre 1999, durando a fasi alterne fino al 2002[vii]. La rivista riprenderà poi le pubblicazioni nel 2003 con il nome di “Fischia il vento”, per altri quattro numeri. In copertina una didascalia recita: «Il giuoco d’assalto in cui due giocatori debbono “mangiarsi” vicendevolmente le pedine (Giuoco bolognese del ‘700)», amara metafora che introduce un lavoro di approfondimento politico sulla situazione bolognese, amministrativa e sociale. I due curatori, Roberto Roversi e Salvatore Jemma, così come i collaboratori al foglio, partono dall’analisi dei fatti di attualità per esprimere un giudizio sul presente e lanciare un monito a una società in balia della crisi degli ideali, dell’inefficienza delle istituzioni e della cialtroneria dei politicanti. Rari appaiono gli interventi poetici e, quando presenti, anche questi di argomento politico. Firmano gli interventi più assidui Alfredo Antonaros, Antonio Catàlfamo e Marisa Zoni.

 

Cosa poter fare, visto che tanti onesti arrancano come noi? Ricostruire e riaffermare alcuni valori, alcuni principi indispensabili, necessari, irrinunciabili, urgenti. Rimettere insieme un piccolo frammento di identità comune, dato che tutto è stato raccolto in fretta dalla tavola (dai precedenti convitati) e scaraventato via impietosamente (loro restando, come un piatto sciacquato, senza lingua, senza idee, senza famiglia e senza storia).[viii]

 

Il “Giuoco d’assalto” cesserà le sue pubblicazioni dopo la pubblicazione di 28 foglietti: «Su queste pagine, per mesi e mesi, abbiamo detto ciò che pensavamo di Bologna, di questo Paese, del mondo, dei silenzi di un deserto di dibattiti, confronti, girotondi, dichiarazioni. Quasi sempre il bisbigliare di questo foglio non ha conseguito alcun riscontro, alcun contraddittorio, alcuna mano che si alzasse per ribattere, confutare, mandarci a quel paese come certamente meritavamo»[ix].

Nonostante la chiusura, tra i redattori resta viva la necessità di un momento di riflessione che affronti il continuo divenire della situazione politica. Nasce da questa esigenza, dopo un lungo intervallo, il “Foglio degli eremiti”, «identico nelle intenzioni, ma con una veste un po’ meno dimessa»[x]. La nuova rivista uscirà dal febbraio 2010 al giugno 2011, sempre a cura di Jemma e Roversi, con la collaborazione di nuove personalità, anche esordienti, e di nomi già noti come Rudi Ghedini, Antonio Catàlfamo, Katia Zanotti, Alfredo Antonaros. Anche il nuovo foglio presta attenzione alla situazione bolognese, allargando il raggio di interesse alle tematiche della scuola, del Welfare State, della comunicazione massmediatica. Molte riflessioni sulla politica nazionale scaturiscono dall’esito delle contemporanee elezioni parlamentari e amministrative.

Tra le ultime due esperienze citate si inserisce la creazione della rivista multimediale Bibliomanie.it, spazio di approfondimento culturale fondato da Roberto Roversi, Mauro Conti, Magda Indiveri e Davide Monda nel 2005, ancora oggi attivo.

Questo lavorio incessante, controcorrente e  militante, volge al termine dopo un trentennio di attività esoeditoriale condivisa e partecipata (1977-2011). Roberto Roversi si spegnerà di lì a poco (settembre 2012), lasciando un’ingente eredità culturale, e morale, ai suoi collaboratori e amici. Ma questa delle riviste indipendenti è solo una delle molteplici angolature da cui è possibile osservare l’opera di un intellettuale, libraio e poeta impegnato, che andrebbe riletto e riscoperto per consentire alla sua coscienza civile di continuare a parlarci nel lungo inverno dell’Italia.

 

 

 

 

 

[i] Nota redazionale “Lo Spartivento” n.1, maggio 1986.

[ii] L’interesse verso mondi e culture lontane si ritroverà, anni dopo, nella collana diretta da Roberto Roversi e Ludovico Testa “L’Arca, conoscere per conoscersi”, edita da Pendragon a partire dal 1998. «Per falciare il prato delle cattive erbe razziste nessun strumento sembra così urgente come una reciproca conoscenza fra le persone diverse. Bisogna abbattere il muro dell’ignoranza per inoltrarsi a conoscere bene la storia, la lingua, l’arte, i paesaggi, le montagne, le città vicine e lontane da cui partono spinti dal dolore i pellegrini del mare verso una nuova speranza di vita».

[iii] Nota redazionale, “Lo Spartivento” n.25, febbraio 1990.

[iv] La poesia di Gianfranco Zummo A un parenti mortu pi mafia, apparsa nel n.25 di “Lo Spartivento”, è tradotta dal dialetto siciliano da Gabriele Milli e Alfio Antico.

[v] SERGIO ZAPPOLI, Gabbiani ipotetici, in “Nunatak”, n.8, settembre 1993, p.4.

[vi] R. ROVERSI, Le rivistine, in “EnErre”, II, n.3, 1995. Nella seconda parte dell’articolo Roversi fornisce un breve elenco delle riviste «conosciute o direttamente partecipate» presenti sul territorio italiano, per omaggiare, con un contributo doveroso, il lavoro di chi «non chiede ma dà, sforzandosi di dare ‒ di sé ‒ il meglio e nella forma più generosamente compiuta». Tra le testate citate “Il filo rosso”, semestrale di cultura realizzato a Cosenza, sul quale Roversi inizia la pubblicazione a puntate dell’ultima parte de L’Italia sepolta sotto la neve.

[vii] Si guardi a tal proposito l’intervento di SALVATORE JEMMA dal titolo Dagli anni ottanta al duemila e oltre, letto in occasione del ciclo “Roberto Roversi: l’impegno tra i libri”, svoltosi nel 2013 nella Mediateca di San Lazzaro di Savena (BO).

[viii] R. ROVERSI, “Il giuoco d’assalto”, 24 settembre 1999, p.6. Corsivi dell’autore.

[ix] ALFREDO ANTONAROS, In chiusura, in “Fischia il vento”, n.4, giugno 2003, p.2.

[x] SALVATORE JEMMA, art. cit.