Mercoledì, 30 Novembre 2016 17:59

L’impellenza di addentrarci nel laboratorio: recensione a "Fantascienza?"

Scritto da Simone Andrea Camilli
Primo Levi Primo Levi

Il lavoro svolto da Francesco Cassata nel suo Fantascienza? è un lavoro di riabilitazione. Non perché l’opera di Levi necessiti di essere riconosciuta come degna di attenzione – questo passaggio tutt’altro che indolore è stato già ampiamente superato, ma in quanto solo parte di essa è entrata concretamente nel canone letterario, a scapito di un corposo gruppo di racconti di straordinario valore e di non minore originalità. Cassata si muove lungo il confine di questa faglia, cercando di ricondurre anche le opere meno conosciute di Primo Levi dalla “parte giusta”, riproponendo all’attenzione del pubblico non solo genesi e corredo critico dei racconti, ma anche le implicazioni più sottili sfuggite quasi interamente alle prime recensioni apparse negli anni delle pubblicazioni degli scritti “fantabiologici”.

Fantascienza? è uno studio ambizioso che coglie nel segno: Cassata ricostruisce, passo dopo passo, situazioni e background dell’officina delle short stories leviane, addentrandosi in una selva resa particolarmente insidiosa dai giudizi fuorvianti che hanno ricondotto la vena creativa del Levi alle sole esperienze del Lager.

L’analisi prende il via da un iniziale zoom sul Levi-tecnico, sulla sua forma mentis e sul suo modo personalissimo di farsi influenzare costantemente dal proprio lavoro. Ne viene fuori la stessa immagine che apparirà nuovamente in chiusura d’opera: quella di un uomo immerso nelle sue occupazioni, capace di eliminare gli antipodi avvicinando mondi apparentemente inconciliabili grazie alla propria innata versatilità. Parte centrale dello studio è tuttavia legata al tema espresso dal titolo. Cassata indaga la fantascienza leviana scomponendola e ripercorrendo a ritroso le tappe fondamentali che hanno condotto il “primo” Levi – quasi ignaro della propria appartenenza al genere della fantascienza – al “secondo”, strenuo difensore del proprio operato e del proprio ruolo. Per fare ciò l’autore ricorre costantemente a citazioni d’ogni tipo, concedendo ampio spazio alle interviste, ma esplorando anche alcune dinamiche editoriali del tempo – esemplare la ricostruzione del caso Ferrero/Lamberti, in cui si rivela l’identità di una firma molto presente all’interno dell’Einaudi fra gli anni ’60 e ’70. Con questo nome erano infatti approvati molti articoli la cui genesi fosse risultata particolarmente travagliata o il cui risultato finale risultasse carente e “non all’altezza degli standard qualitativi che la casa richiedeva”. Ferrero ricorda di aver intervistato Levi come Luca Lamberti e di aver avuto perciò l’occasione di riportare la discussione avvenuta fra i due dando pieno risalto alla personalità dell’intervistato.

Attraverso tali ricostruzioni Cassata recupera quel filo conduttore che lega Storie Naturali a Vizio di forma senza appellarsi insistentemente alla memoria del Lager. I quesiti affrontati sono numerosi: a partire da quelli più generici, legati alla definizione di una fantascienza italiana svincolata da quella americana, a quelli particolari, come la continuità o discontinuità fra i racconti delle diverse raccolte.

Peculiare in Fantascienza? è la volontà dell’autore di condurre il lettore non all’interno del laboratorio di scrittura del Levi narratore – esame già compiutamente attuato da Belpoliti in Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda, Milano, 2015) – quanto di volerlo accompagnare per mano fin dentro il laboratorio chimico del Levi scienziato: una zona che, essendo stata considerata non letteraria, è sfuggita in gran parte all’analisi degli studiosi. Attraverso lo studio di Cassata rivivono così tutte le sfaccettature dello scienziato alle prese con la materia e tornano concreti i dubbi e le perplessità proprie del metodo sperimentale e di quei procedimenti analitici che finiscono per caratterizzare anche la mente di chi li compie.

A questo proposito è da segnalarsi, fra le innovazioni di maggior rilievo, lo studio del rapporto fra omeostasi ed entropia, concetti cui Levi fa impliciti riferimenti in un gran numero dei suoi racconti e che richiama esplicitamente in un breve saggio del 1983, pubblicato sul “Notiziario della Banca Popolare di Sondrio”. Al suo interno Levi rivela la propria visione sulla conservazione degli equilibri universali, basati sull’opposizione fra un “brutto potere” degradante – l’entropia – e la capacità, tipicamente biologica, di autoregolarsi, definita omeostasi. La tesi leviana poggia sull’incapacità dell’uomo di resistere all’avanzata del potere entropico e, anzi, di favorirla con il proprio comportamento orientato al totale disinteresse dei meccanismi omeostatici.

Oltre agli studi specifici, come quello appena citato, Cassata si cura di tracciare una cornice cui relegare il compito di mostrare gli obiettivi del proprio lavoro anche in relazione con quanto accaduto negli anni immediatamente successivi a Storie Naturali e Vizio di forma: in tutto lo studio l’autore fa risaltare come i tempi delle pubblicazioni non furono mai veramente propizi a Levi (un caso su tutti, il più celebre, è proprio quello di Storie Naturali) e di come sia impellente il bisogno di rimediare all’errore di valutazione commesso. Il messaggio finale, “scolpito” nel quinto capitolo è chiaro: ci sono ancora importanti passi da compiere per riuscire ad inquadrare l’opera leviana e c’è ancora un matrimonio da farsi fra la critica contemporanea e quel Primo Levi autore in toto, non solo della Shoah.