Sabato, 06 Maggio 2017 11:40

E voi avete attraversato l’attesa? Tondelli, Ingeborg Bachmann e la “notte dell’anima”

Scritto da Roberto Santoro
Pierre Puvis de Chavannes, "L'espérance", 1871-1872, Musée d'Orsay, Parigi Pierre Puvis de Chavannes, "L'espérance", 1871-1872, Musée d'Orsay, Parigi

Tra il 1871 e il 1872, l’artista francese Pierre Puvis de Chavannes rappresenta l’Esperance, la speranza, come una donna, «casta e angolosa»(1), seduta su un panno bianco, mentre stringe un ramoscello verde. Sullo sfondo, in uno scenario desolato, si intravedono alcune croci, castelli in rovina, un’alba che stenta ad arrivare. Il ramoscello verde e i fiori che crescono accanto alla donna sembrano annunciare una rinascita, un cambiamento, la pace dopo la guerra (il conflitto franco-prussiano che torna in numerose opere dell’artista), ma la figura femminile occupa tutta la scena, «presidia lo spazio»(2), come a impedire che quel cambiamento si realizzi.

È il tempo dell’attesa. Si tende verso qualcosa, qualcosa di indefinito, e all’attraversamento dell’attesa è dedicato un saggio(3) del gesuita Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica", quell’attesa lega ai temi dell’abbandono e della separazione dall’amato nella narrativa di Pier Vittorio Tondelli. Tendere verso qualcuno che non c’è più, che potrebbe esserci ancora o non c’è mai stato, qualcosa di assoluto e insieme relativo, fugace ma totalizzante. Nella sua ostinata ricerca di una «letteratura come esperienza»(4), della scrittura e della lettura come atti di «decifrazione della realtà», Spadaro sbroglia a modo suo la fenomenologia tondelliana, concentrandosi su quell’«attraversamento dell’addio» che è il perno del romanzo Camere Separate, edito da Bompiani nel 1989.

 

Quello che Tondelli definisce «attraversamento dell'addio» si configura come un cammino nella notte oscura, affine a quello che la tradizione spirituale chiama «desolazione», che è oscurità, turbamento, inquietudine, in cui l'anima è sfiduciata, senza speranza, senza amore e si trova triste e separata. In tale condizione si rimane affidati alle proprie forze naturali, dovendo personalmente curare la propria risalita in superficie, afferma Tondelli. Ma questo attraversamento incide profondamente nell'anima un desiderio di grazia e di amore.(5)

 

La “notte dell’anima”, la notte oscura che per i mistici cattolici – da San Giovanni della Catena alla Beata Angela da Foligno – segna il momento terribile del vacillare della fede, la perdita di Dio. Per Leo, il protagonista di Camere separate, la notte è la morte del compagno Thomas, un lutto che getta il personaggio in una condizione di completa disperazione. L’attesa diventa quella di una riemersione, tornare a vivere, alla normalità – lo sguardo fisso sulla soglia, scrive Spadaro, porta, finestra, muretto, siepe, frontiera, colle, confine, aspettando che il corpo faccia pace con la testa, in una veglia continua, un «agguato senza fine»(6) che con il passare dei giorni e delle settimane diventa lentamente una «trappola»(7).

 Anche per Ingeborg Bachmann, la poetessa, scrittrice e giornalista austriaca musa di Tondelli, l’attesa è «deliquio». Voglia di rintanarsi e isolarsi dal mondo, e insieme desiderio di partire, viaggiare, incontrare persone e situazioni nuove; oscuramento della coscienza e vertiginosa trasformazione di sé. Il trentesimo anno. Cadere in deliquio, abbandonarsi nel suo doppio significato di essere abbandonato e di lasciarsi andare a qualcosa, qualsiasi cosa sia sarà meglio di quella che stai provando. Il commiato dall’amante perduto, dalla giovinezza, dalla propria generazione. Stilisticamente, nella forma, il superamento di quella “letteratura emotiva” che  Tondelli aveva caricato di originali sperimentazioni nei suoi primi romanzi.

 E’ il tempo del ripiegamento interiore, della malinconia e del ricordo. Il trentenne protagonista del racconto di Ingeborg Bachmann si risveglia scoprendo dentro di sé «una nuova, meravigliosa facoltà. La facoltà di ricordare»(8). Il tempo dell’attesa è un abbandonarsi alla memoria, a un pensiero ricorrente, dominante, il “chiodo fisso”, come una scossa elettrica che ogni volta rende più confusi, addolorati, inadeguati, impotenti, in una continua «dialettica irrisolta,» come dice Spadaro, tra l’atteso e il perduto. Al limite, una dannazione.

 

[…] In realtà non la rivide mai più. E la seppellì così profondamente in se stesso che solo di rado riemerse la sua immagine nella notte nevosa, di quella notte di tormenta, di quella neve che il vento aveva sollevato sino alle piccole finestre del rifugio, della luce che era rimasta accesa illuminando i tre corpi avvinghiati tra risa soffocate, risa di streghe e capelli biondi. (9)

 

Ingoiato e risputato dalla balena come Giona, l’uomo di Tondelli si riconosce e si definisce allora per questa sua capacità di attraversare l’addio, di oltrepassare la soglia, trovando una salvezza che lo porti fuori dal purgatorio in cui è precipitato. L’esito del viaggio, ormai viaggio iniziatico, è la redenzione, l’irruzione della trascendenza nel quotidiano, il potere “religioso”, mistico, sciamanico della scrittura, una separatezza interiore che attraverso le parole permetta di guarire dalle ferite e di curare le lacerazioni di un’identità frammentata.

 Ma quella che a Spadaro appare come una redenzione, il ritorno all’ovile della pecorella smarrita, il libertino dissoluto che si consegna a un nuovo monachesimo consapevole (Tondelli), la gioia e la grazia ritrovate, per la Bachmann, al contrario – e ricordiamo ancora a Spadaro che la Bachmann di Tondelli è musa – altro non è che quell’anno maledetto, il trentesimo, l’anno dell’attesa, quando dovrai per la prima volta essere all’altezza, mostrare che sai cavartela, saper crescere, ma resterai bloccato, strozzato dallo spleen.

 Così il mistero pasquale evocato da Spadaro per il Leo di Tondelli, il sabato santo, la resurrezione, nel racconto della Bachmann assume i tratti del nichilismo più duro: tutto, l’amore, l’abbandono, l’attesa, la scrittura, è illusione. Come ne Il Sabato del villaggio, l’attesa di un ricongiungimento con se stessi, con l’amato, con Dio, è una festa che non arriva mai. La speranza è la donna che occupa tutta la scena nel dipinto di Puvis de Chavannes, e la redenzione, quando si compie, schiuma rabbia, noia, tedio, insieme allo struggimento per qualcuno che si è avuto, amato, posseduto, e perso.

Il ricordo si scontra allora con l’“arido vero”, con «quel corpo scialbo e ossuto, quella insipida donna-bambina»(11). L’artista è incapace di guardare oltre la “donna-bambina” che lo ha stregato e lo tormenta, in una coazione, una costrizione infinita, povera macchinetta desiderante attaccata ai suoi totem onanistici: «La notte verrà! Calerà sul quadro della Speranza e sulla stessa fanciullesca speranza, tingerà di nero quel ramoscello e lo farà seccare»(12), scrive la Bachmann, lasciando davvero poco spazio al miracolo della grazia tratteggiato con sapienza da Spadaro per la letteratura tondelliana.

 Cosa resta? Poco altro. Il viaggio, ancora il viaggio e la strada per allontanarsi e poi tornare a casa, agli amati libri di quando era ragazzo, nel vecchio “paterno ostello”. Il sesso, quel corpo rinsecchito e solitario, chiuso nel cesso di una stazione di servizio mentre si fa una pera. Il piacere ubriaco e drogato dei Carver, dei Kerouac, dei Burroughs, quegli Altri Libertini che Tondelli aveva così tanto amato. Il viaggio, la strada, il sesso. Anche voi avete attraversato l’addio?

 

 

NOTE

 

  1. Ingeborg Bachmann, Il trentesimo anno, Adelphi 2016, p.26
  2. Mario Cancelli, «Che sorpresa i Simbolisti italiani», l’articolo è apparso sul sito internet della Associazione Culturale Antonio Rosmini, 10 ottobre 2016
  3. Antonio Spadaro, Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l’attesa, Diabasis 1999
  4. «Scrivere poesie, romanzi, racconti, persino fiabe è in se stesso un atto di decifrazione del mondo in cui si vive. Chi legge viene in contatto con questo lavoro di decifrazione, ed è egli stesso coinvolto in questo compito. Viene come “contagiato” a vivere lo stesso processo, sollecitato a guardare la realtà, anche quella personale, con occhi più acuti alla ricerca di simboli, valori, significati. Quando si legge, il campo della nostra esperienza si amplia perché “viviamo” cose che altrimenti mai potremmo o vorremmo vivere. Cresce la comprensione dell’uomo e anche la capacità di discernere le emozioni che lo agitano e lo spingono ad agire e a scegliere», Antonio Spadaro, «La letteratura amplia l’esperienza», Bomba Carta, 28 novembre 2008
  5. Antonio Spadaro, «La religiosità dell’attesa nell’opera di Pier Vittorio Tondelli», in “La Civiltà Cattolica” 1995, IV 30-43 – quaderno 3487.
  6. Ibidem
  7. Ingeborg Bachmann, cit., p. 25
  8. Ingeborg Bachmann, cit., p. 23
  9. Ingeborg Bachmann, cit., p. 40
  10. «Queste fluttuazioni sono una trasposizione dell’instabilità dei rapporti amorosi, con l’impossibile fusione nella tentata “separazione in contiguità” – e dei rapporti con l’alterità, trasformati dal lutto in senso di elevazione spirituale, di più generico ricongiungimento con la specie, possibile in realtà solo attraverso la mediazione della scrittura», Chantal Randoing, «Meditazione sulla diversità e sulla separatezza in Camere separate di Pier Vittorio Tondelli», in  “Cahiers d’études italiennes” 7 - 2008, pp. 23-33, UGA Éditions
  11. Ingeborg Bachmann, cit., p. 39. Si veda anche il racconto, nerissimo, Tutto, pp. 67-87
  12. Ingeborg Bachmann, cit., p. 26