Giovedì, 16 Marzo 2023 19:07

Pasolini e Panagulis. Appunti per immagini

Scritto da Davide Dobjani

Giovedì 29 giugno 1972, il quotidiano l’Unità, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, sulla Terza pagina, quella dedicata a “Commenti e attualità”, ospita quattro articoli di taglio diverso: la recensione, di Gian Carlo Pajetta, al libro La cattedra e il bugliolo di Antonio Pesenti; un reportage dal Vietnam a firma dell’inviato Franco Fabiani; un resoconto dell’inchiesta di partito sui problemi dello sviluppo economico in Campania, senza firma; in basso, la trascrizione dell’intervento tenuto da Pier Paolo Pasolini alla “manifestazione in solidarietà con gli antifascisti greci”, svoltasi a Roma poco meno di una settimana prima, venerdì 23 giugno. Nella medesima occasione erano state presentate le Poesie dal carcere (questo sembra il titolo del libro, secondo l’Unità) di Alexandros Panagulis.

 

Pasolini, come suggerisce già il titolo, presenta Panagulis come ipostasi della lotta antifascista e come modello di uomo “che la rivoluzione ha come fine, paradossalmente, di conservare, l’uomo anteriore alla civiltà borghese, l’uomo come espressione di un mondo nazionale popolare nel senso che Gramsci ha dato a queste parole, l’uomo che rappresenta il modello dell’umanità contadina e operaia”.

Panagulis, in quel momento, è rinchiuso da tre anni e mezzo nella “tomba” di Boiati, come egli stesso definisce la cella seminterrata di due metri per tre costruita appositamente per lui su ordine del dittatore Georgios Papadopoulos, alla cui vita aveva attentato il 13 agosto 1968. Deve la vita, tolta invece a molti altri dissidenti, proprio al fatto di essere diventato, durante il processo-farsa seguito al suo arresto, il “simbolo” della resistenza greca alla dittatura dei colonnelli. La condanna a morte che gli è stata comminata, infatti, non viene eseguita in quanto le denunce della madre e del fratello, dei compagni di lotta e, non secondariamente, i suoi stessi discorsi nei quali continua dal carcere ad accusare il regime e a difendere la legittimità del tirannicidio, provocano l’attenzione mediatica sul suo caso giudiziario. Il dittatore, non potendo impedire che la mobilitazione internazionale faccia dell’oppositore un simbolo, sospendendo la condanna a morte, evita che questa lo trasformi in martire.

 

Grazie a vari espedienti, anche durante la detenzione Panagulis riesce a far trapelare all’esterno alcuni suoi scritti, coi quali tenta di impedire che all’estero cali l’interesse per la situazione greca. Un esempio è la lettera del luglio 1970, un appello ai senatori statunitensi che assume i toni dell’accusa, più che dell’invocazione. Le condizioni delle prigioni in Vietnam interessano agli americani molto più di quelle greche, per motivi evidentemente politici e di propaganda. Panagulis si dimostra così almeno parzialmente informato sul mondo esterno e capace di eludere la sorveglianza cui è sottoposto, continuando la lotta anche dal carcere, irridendo il regime che lo tortura, ma senza per questo piegare il suo orgoglio per implorare l’aiuto di chi ritiene complice del regime stesso.

 

È la medesima accusa di Pasolini quando, durante il discorso del 23 giugno 1972, scrive: “[…] non sono solo i colonnelli greci che tengono Panagulis in prigione e ferocemente lo martirizzano, ma corresponsabili coi colonnelli sono tutti coloro che detengono il potere nel mondo capitalistico”.

Il discorso riportato da l’Unità non è il primo intervento di Pasolini a proposito di Panagulis: ne aveva già scritto su Tempo, il settimanale su cui lo scrittore tenne la rubrica Il caos dall’agosto 1968  fino al gennaio 1970, quando fu sostituito da Giorgio Bocca. La copertina del n. 49/30 del novembre 1968 riporta, qualche giorno dopo la conclusione del processo al ribelle greco (il 17 novembre), un’intervista al “fratello del condannato a morte”.

 

“Il condannato a morte”, chiaramente, è Alexandros Panagulis e il fratello è il minore Eustathios, il quale riferisce sulle azioni che il primo ha compiuto in nome della resistenza al regime, l’ultima delle quali è rifiutare di chiedere la grazia perché “se non si è capaci di morire […] non si è nemmeno capaci di lottare per la libertà e la democrazia”. Poche pagine prima, sullo stesso numero di Tempo, Pasolini aveva affidato a una poesia le sue riflessioni sulla vicenda (Panagulis: questa volta no).

La settimana successiva, nel n. 50 del 7.12.1968, mentre dalla copertina è sparito ogni riferimento alla vicenda, Il caos sarà ancora (e stavolta interamente) dedicato a Panagulis, e accoglierà alcune pagine di diario, Diario per un condannato a morte, scritte da Pasolini a Torino, dove si trovava, tra il 20 e il 23 novembre. La poesia del numero precedente è qui definita dall’autore “probabilmente, anzi certamente, una brutta poesia, come tutte le cose che si scrivono con le lacrime agli occhi”.

 

Ritornando alle Poesie dal carcere presentate durante la manifestazione del 23 giugno 1972, a cui partecipò Pasolini, esse sono, con ogni probabilità, quelle contenute in Altri seguiranno, prima pubblicazione in Italia delle poesie scritte in carcere da Panagulis, edite a Palermo da Salvatore Fausto Flaccovio, a cura della giornalista de L’Ora Kris Mancuso, con la presentazione di Ferruccio Parri e il disegno dedicato da Bruno Caruso all’autore. È proprio Pasolini a firmare il saggio introduttivo all’opera, La “forma” di Panagulis, in cui affronta sistematicamente la raccolta con piglio critico e sguardo disincantato, non lasciando che l’opinione sulla lotta portata avanti dall’uomo influenzi il giudizio estetico sulla sua poesia. Panagulis sarà grato non solo a chi, dentro e fuori dal carcere e dalla Grecia, contribuiva alla lotta, ma anche a chi si era occupato della diffusione delle sue poesie, intese pure come forma di resistenza.

 

La sua seconda raccolta poetica (Vi scrivo da un carcere in Grecia, Rizzoli, 1974), che amplia la prima con le poesie successive al 1972 e alla scarcerazione, avrà ancora la prefazione di Pasolini (una rielaborazione del saggio suddetto) e, in più, questa nota: “Panagulis ringrazia tutti gli amici, greci e italiani, che hanno collaborato alla traduzione dell’opera; in particolar modo Filippo Maria Pontani, Oriana Fallaci e Pier Paolo Pasolini”. In Altri seguiranno si legge: “Il testo greco è stato ripreso da un’edizione clandestina curata dalla Resistenza Ellenica. La traduzione italiana è stata invece effettuata sugli originali, messi a disposizione dal fratello di Panagulis, Stathis”. Non è semplice ricostruire le vie che le composizioni di Panagulis imboccano dalla “tomba”, quando sono scritte di nascosto su materiali di fortuna, talvolta scoperte e distrutte, conservate a memoria e poi riconsegnate magari insieme con un pacchetto di sigarette mandato all’esterno grazie a qualche guardia meno rigida, fino alla pubblicazione ufficiale delle sue poesie in Italia per Flaccovio e poi per Rizzoli. Nella foto che segue si può vedere una riproduzione, presente come carta estensibile nell’edizione palermitana, di alcuni autografi (dall’alto, in senso orario: ΧΤΥΠΑΤΕ, Colpite, p. 68-69 di Altri seguiranno; Ο ΧΡΟΝΟΣ, Il tempo, p. 64-65; ΥΠΑΡΧΟΥΜΕ, Esistiamo?, p. 62-63; ΤΑ ΧΝΑΡΙΑ, Le impronte, p. 66-67).

 

Grazie all’impegno di Pontani, Fallaci (come si sa, compagna del poeta dalla scarcerazione alla morte e sua prima “biografa” col romanzo Un uomo) e soprattutto di Pasolini, la poesia di Panagulis ottiene una prima sistemazione, che attende ancora, tuttavia, un’analisi organica e serrata rispetto ai rapporti e alle fonti intertestuali e alle dinamiche di traduzione, pubblicazione e ricezione del testo.

 

Le vite di Pasolini e Panagulis avranno poi, come è noto, un esito tragico e poco chiaro: l’uno fu assassinato a Ostia il 2 novembre 1975; l’altro muore ad Atene il 1° maggio successivo. Il giorno dopo la morte di Pasolini, l’Unità scrive: “I fascisti l’hanno sempre odiato, egli è stato il simbolo [corsivo mio] di tutto ciò che essi più avversano, la civiltà, la cultura, l’inquietudine della ricerca”.

Nei pochi mesi che separano la morte di Panagulis da quella di Pasolini, uno degli ultimi testi scritti dal poeta greco è una poesia dedicata proprio alla memoria dell’amico e pubblicata, insieme alla famosa Lettera a Pier Paolo di Oriana Fallaci, su L’Europeo del 14 novembre 1975 (poi nel miscellaneo Dedicato a Pier Paolo Pasolini, Gammalibri, 1976): “[…] peccato che tu sia partito / mentre la verità si combatte / mentre tanti si scontrano / senza sapere perché / senza sapere dove vanno […]”.