Venerdì, 26 Giugno 2020 10:19

«Tu parlavi una lingua meravigliosa». Intervista ad Antonio Bagnoli sul sodalizio Dalla-Roversi

Scritto da Giovanni Mangiullo
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All’interno del percorso poetico di Roberto Roversi dove si collocano l’incontro e la collaborazione con Lucio Dalla?

La collocazione è la più precisa possibile, nel senso che proprio nei primi anni Settanta Roversi si trova a cercare nuove forme di diffusione del suo lavoro, perché da pochi anni ha deciso di non pubblicare più con i grandi editori, e fa uscire le Descrizioni in atto, ciclostilandole e spedendole direttamente; pratica il teatro prima con Unterdenlinden, poi con Il crack e poi con La macchina da guerra più formidabile, e la canzone viene nel periodo e nel momento giusto, in maniera abbastanza casuale, come ho già raccontato, perché è stata data dalla conoscenza di Cremonini che sapeva chi era Roversi. Roversi aveva cinquant’anni, ma era già una figura abbastanza mitica non solo a Bologna: era in corrispondenza con Sciascia, con Calvino, con tutti i più grandi intellettuali del suo tempo; aveva pubblicato con i grandi editori; nell’ambito del mercato e della cultura le sue posizioni erano piuttosto chiare essendo amico di Pasolini, avendo fatto “Officina”. L’idea di Cremonini è stata clamorosa, perché andare da un autore così smaccatamente politico, per chiedergli di fare delle canzoni per Dalla, che era così smaccatamente pop (perché Dalla doveva il suo grande successo solo a canzoncine molto leggere: Piazza Grande, 4/3/1943, sono canzoni molto facili, molto orecchiabili), è stato un colpo di genio. L’idea di coinvolgere Roversi era di creare un corto circuito clamoroso. Dal punto di vista di Roversi, si trattava di provare una strada post ’68-’70, anni strani, anni difficili, anni in cui si cominciava ad uscire dal boom economico e a entrare nell’austerity, in quella stagione degli anni Settanta che fu poi così tragicamente segnata dal brigatismo; arrivare a un nuovo pubblico, a nuovi ascolti, a nuove possibilità di ascolto. Roversi ha sempre sottolineato come questa possibilità di arrivare con il testo, quindi con la parola politica, a un pubblico diverso da quello che normalmente poteva ascoltare la poesia, era la cosa che per lui era più interessante. Farlo poi con un autore, già di gran fama e di grande richiamo, e anche, diciamo la verità, straordinariamente talentuoso come Dalla, è stata una fortuna per Roversi, ma è stata soprattutto, io credo, una fortuna per Dalla.

Cosa crede che abbia spinto Roberto Roversi a scegliere di arrivare al grande pubblico attraverso queste canzoni, negli anni del rifiuto dell’industria editoriale?

Le persone che studiano o conoscono Roversi lo immaginano come Pasolini lo descriveva: un monaco che cerca la clausura dentro la clausura. In realtà Roversi aveva veramente la volontà di comunicare il più possibile, però non lo voleva fare secondo le regole della grande industria culturale, così come il gruppo ’63 era riuscito a piegarla nella seconda metà degli anni Sessanta, periodo in cui anche la cultura era stata mercificata dal punto di vista di Roversi, che era molto puro e molto ideologico. Quindi Roversi, ogni volta che aveva la possibilità di arrivare a un pubblico più ampio, lavorava durissimamente per arrivarci, attraverso il teatro, attraverso la canzone, attraverso poi, alla fine degli anni ’70, i primi anni ’80, i Fogli militanti, stampati e poi fatti circolare con una cooperativa di poesia che fondò, che si chiamava Dispacci. L’iconografia ufficiale roversiana, che lo vede chiuso, a parlare solo, non avendo rilasciato mai un’intervista televisiva, è quanto di più fuorviante. Ora è tardi, ma se dieci anni fa lei gli mandava una lettera e chiedeva un appuntamento, tre giorni dopo le arrivava una lettera con l’appuntamento. Lei andava lì e gli parlava un’ora. Nel senso che non c’era niente di più facile di arrivare a lui, ma bisognava arrivarci secondo i canali della comunicazione diretta. Roversi voleva che la sua voce e le sue riflessioni potessero arrivare al mondo, così come voleva essere raggiunto dal mondo stesso. E quindi poter testimoniare attraverso la forma della canzone il fatto che il mondo stava cambiando, che l’inquinamento stava diventando un problema grosso, mai sentito ovviamente fino agli anni Settanta, lui lo viveva con estremo interesse. Dalla canta per la prima volta di inquinamento, di guerra risorgimentale, di serial killer, di emigrazione: Un’auto targata «TO» è forse una delle canzoni più belle sull’emigrazione, Roversi la mette in poesia e come fa ad arrivare a più gente possibile? La canta Lucio Dalla che era già una star, quindi per Roversi è proprio l’uovo di colombo. Il fatto di arrivare alla canzone, direi, è accaduto quasi per caso, però poi lui ha raccolto immediatamente la possibilità e ci ha lavorato tantissimo e ha continuato poi a lavorarci anche dopo. Solo che effettivamente i suoi testi erano difficili. Roversi ha fatto quei tre grandi dischi per Dalla, e dopo alcuni lo hanno conosciuto e hanno iniziato a chiedergli delle cose, ma erano più che altro veri artisti sperimentali, perché i testi di Roversi sono talmente difficili da musicare che i grandi cantanti preferivano lavorare con Mogol. Anche perché normalmente i musicisti danno la linea melodica al paroliere, e invece qui succedeva il contrario. A Mogol Battisti diceva “la canzone fa na na nana nanana” [canta], e Mogol scriveva Fiori rosa, fiori di pesco, ma su una ritmica già data dal musicista. In realtà Roversi scriveva dei testi che solo a leggerli uno dice: “ma come si fa a musicarli?”. Perché non c’è strofa, non c’è ritornello, hanno pesi diversi, hanno lunghezze diverse, accenti totalmente diversi rispetto alla struttura classica delle canzoni. Il musicista doveva essere in grado di mettere in canzone delle cose così difficili. Dalla era un genio dal punto di vista della musica e ci riusciva, pochi altri sono riusciti a farlo. C’è riuscito Gaetano Curreri, che ha musicato una ventina di canzoni di Roversi, ma tanti altri hanno chiesto testi e poi non sono riusciti a musicarli, alcuni hanno avuto dei testi e poi non sono andati avanti. Altri invece sono riusciti, ma sono figure un po’ minori nell’ambito musicale, anche perché poi i temi di Roversi non è che siano proprio quelli delle canzonette tradizionali.

 

A proposito di questa differenza tra le canzoni di Roversi e le canzonette, si potrebbe fare questa riflessione: la canzone è una forma d’arte ma non può essere considerata poesia; tuttavia, nel caso di Dalla e Roversi, le canzoni sono nate a partire dai testi di un poeta. In che senso, allora, i tre album nati dalla loro collaborazione costituiscono un’eccezione nella storia della canzone italiana?

 

Io credo che costituiscano davvero un’eccezione assoluta. È vero che Calvino ha scritto qualcosa per Liberovici, e che ci sono stati altri esempi. Ma un lavoro così profondo: tre album completi, trenta canzoni, un album come Automobili che forse era il primo concept album della storia della musica, con tutti i pezzi legati da un filo unico, sono un’eccezione anche per la levatura degli artisti che sono scesi in campo. Roversi aveva cinquant’anni, era un intellettuale di riferimento della scena culturale italiana di primissimo livello. Sempre defilato perché non voleva apparire nel circo mediatico per sua scelta (cosa che fra l’altro gli è costata sia in termini di fama che di denaro), non ha mai voluto piegarsi alle logiche del mercato della cultura, però era un mito. Dalla era già Dalla, quindi l’unione di due persone di quel tipo lì ha creato una cosa particolarissima. La differenza tra i testi di Mogol-Battisti e Dalla-Roversi è talmente evidente nel momento in cui si ascoltano le loro canzoni che io non credo debba spiegare niente: la qualità del testo di Roversi, l’importanza politica, l’importanza culturale, il testo stesso che Roversi cerca di far mettere in musica da Dalla, hanno una profondità… sono delle armi. Roversi lo diceva spesso che le canzoni di Dalla-Roversi sono delle armi: quando Dalla canta L’operaio Gerolamo, la storia di un emigrante che gira per il mondo, non c’è un’altra canzone che parli di questo. Forse quello che si è potuto avvicinare di più potrebbe essere stato De André, ma questo è un mio parere del tutto personale, anche se con molta minore potenza evocativa e politica. Diciamo potenza, perché in realtà leggendo l’opera di Roversi si stabilisce proprio una capacità di penetrare la carne viva del problema che si stava vivendo, come nessun’altro. Intervista con l’avvocato è un pezzo clamoroso, dal punto di vista del testo, soprattutto nelle strofe che sono state tagliate. Le strofe censurate sono una polemica in versi di livello clamoroso: non stupisce appunto il fatto che abbiano poi deciso di censurarle.

 

Lucio Dalla ha affermato: “Se non avessi incontrato Roversi, io farei l’idraulico, adesso”. Perché questo incontro è così importante per il cantautore bolognese? E cosa ha dato a Roberto Roversi questa collaborazione?

Io credo che sia stato più importante Roversi per Dalla. Dalla è una persona molto, molto, molto intelligente, a parte che era un artista clamoroso dal punto di vista tecnico, dal punto di vista musicale, e per sensibilità. A trent’anni, lui lo diceva chiaramente, dopo i successi facili che aveva avuto, era andato in una crisi profonda. Perché le persone intelligenti si accorgono quando sono sulla strada di Peppino Di Capri. Lui durante un’intervista ha detto: “io sarei diventato come Peppino Di Capri”. Aveva anche stabilito il livello a cui sarebbe arrivato. Lui diceva: “io non posso cantare queste canzonette qua, non ce la faccio adesso”. Perché era un uomo anche molto dentro alle cose della politica e del mondo, e in quegli anni lì, in cui iniziavano gli scioperi pesanti, iniziavano le BR, iniziavano i colpi di stato, in una società in grande fermento, lui non poteva cantare “santi che pagano il mio pranzo non ce n’è, sulle panchine in Piazza Grande” [canta]. Non gli interessava più. Lui aveva bisogno di immergersi potentemente nella realtà, e ha trovato Roversi. Io sono convinto, perché li ho visti insieme tantissime volte, che Dalla, che non aveva il padre, abbia visto in Roversi esattamente una figura paterna. Roversi era un uomo che aveva una influenza, un carisma di cui ci si accorgeva nel momento in cui lo si incontrava. Si capiva che la persona che si aveva davanti era assolutamente speciale. Non lo dico io che sono suo nipote, e per me è stato davvero come un padre, ma lo si capiva con tutte le persone che incontrava. Gianni Morandi, quando sono andato a raccogliere una testimonianza ha detto: “una volta ho chiesto a Dalla di andare a parlare con Roversi. Non sono riuscito ad aprire bocca, avrò fatto la figura del coglione. Sono andato davanti, aprivo la bocca e non mi uscivano le parole”. È Gianni Morandi, uno che non ha delle grosse difficoltà comunicative. Perché Roversi aveva un magnetismo della cultura e del rigore. E Dalla, secondo me, lo aveva proprio preso come una figura paterna. Quando Roversi ha compiuto ottant’anni, ha detto: “tu mi hai insegnato che cosa è la dignità”, cioè proprio avere un’idea, saperla perseguire, essere fedeli a sé stessi, conoscersi, capirsi. E quando hanno litigato, Roversi gli ha detto: “devi scriverteli tu i testi, non puoi cercare qualcuno. Tu puoi farlo”. Gli ha dato una sorta di maieutica paterna. E Dalla si è messo lì e ha tirato fuori il primo disco che sembra un calco di Roversi. Nel primo disco da solista, Dalla sembra qualcuno che cerca di scrivere come Roversi, per altro con delle soluzioni anche molto riuscite. Tanto è vero che pur avendo litigato in quel periodo, Roversi gli scrive una lettera in cui gli dice: “complimenti, il tuo disco è bello”. E Dalla, al di là di quei due anni in cui erano entrati in una polemica un po’ fine a se stessa, già dai primissimi anni Ottanta, tutte le volte che doveva parlare della sua carriera, diceva: “io devo tutto a Roversi, Roversi mi ha insegnato cosa vuol dire lavoro”. Quindi è stato di un’importanza clamorosa. Per Roversi Dalla è stato importante perché gli ha dato davvero la possibilità di realizzare un progetto che è rimasto nel tempo. Molte canzoni di Roversi, belle, che hanno cantato altri, sono sparite. Il fatto che le abbia cantate Dalla, le abbia musicate lui, ha fatto sì che potessero rimanere nella storia. Un album come Automobili, se lo avesse cantato Pinco Pallino, probabilmente, sarebbe dimenticato. Il fatto che lo canti Dalla fa sì che se ne parli ancora adesso, e venga ristampato continuamente. Quindi possiamo dire che la parola di Roversi ha trovato in Dalla un grande megafono, e di questo Roversi, in un certo senso, si è avvantaggiato. Poi fa ridere il fatto che la loro collaborazione è durata tre anni e tre album, Roversi ha lavorato per sessantacinque anni, e magari viene ricordato per una cosa che nella sua enorme mole di produzione è davvero un ago in un pagliaio. Occupandomi del fatto di continuare e far conoscere il lavoro di Roversi, la collaborazione con Lucio Dalla è stata una’opportunità che mi ha consentito di fare centinaia di iniziative per far conoscere il lavoro di Roversi. Forse quando c’era Roversi non è che sia stato così importante, mentre con Roversi non più in vita, il fatto di potere utilizzare il lavoro con Dalla per far conoscere di più la sua opera è stato molto utile.

 

Questa collaborazione e questo modo di scrivere canzoni possono aver lasciato un’eredità nel panorama della musica leggera italiana?

La risposta è assolutamente positiva, tanto è vero che in questi ultimi anni molti dei testi inediti che sono rimasti tra le carte di Roversi, che magari lui aveva dato a Dalla e che Dalla non aveva usato, ma anche testi che aveva scritto successivamente e che non erano stati musicati, io adesso li sto dando ad artisti, gruppi e cantautori che li stanno musicando. C’è un gruppo bolognese che si chiama Zois, che ha musicato otto canzoni inedite. Penso che adesso dovrebbe uscire un album. Sono uscite da pochissimo tre canzoni che Roversi aveva dato a Lucio Quarantotto, un cantautore veneto che tra l’altro è famoso perché ha scritto Con te partirò di Bocelli. Era un cantautore poliomielitico, grande fan di Roversi, si conobbero epistolarmente negli anni Ottanta e hanno fatto diverse collaborazioni su altre cose, erano diventati amici. Lui è morto suicida un mese prima di Roversi, però aveva lasciato incise tre canzoni di Roversi, e alcuni suoi amici hanno fatto uscire il disco proprio quattro mesi fa. La cosa importante di Roversi è che lui è veramente un autore classico, i suoi testi non sono invecchiati di un giorno, potrebbe averli scritti oggi. C’è un testo che gli Zois hanno musicato, di cui adesso farò una piccola edizione illustrata, che si chiama Quattordici volte, che è una canzone sulla violenza di genere, una canzone sulla violenza sulle donne.

 

Se non sbaglio, il testo di Quattordici volte era presente negli appunti di Roversi per un eventuale quarto album con Dalla.

Sì, potrebbe essere, probabilmente è una di quelle, ora non ricordo esattamente in quale cartella stesse questo lavoro. Ci sono decine di testi bellissimi, mi è venuto in mente di citarle questo perché è veramente un testo che io amo tantissimo e che gli Zois hanno musicato in una maniera formidabile. Secondo me è una canzone che dovrebbe essere prima in classifica, tanto è bello il testo e tanto è bella la canzone.  Questo per dire che i testi di Roversi ci sono e sono ancora vivi, come la qualità del suo lavoro, che è, ancora adesso, eccezionale.

Roberto Roversi ha scritto anche i testi per altri cantanti come Mina o Gli Stadio. Cosa hanno di diverso o di affine con quelli scritti per Dalla? Rientrano sempre in un orizzonte politico?

Non tutti! Molti hanno ancora un pensiero politico, altri meno. Roversi ha scritto anche con altri registri, quindi non è solo politico. Per esempio, il testo scritto per Mina lo aveva musicato Ravasini, che faceva parte di un gruppo che si chiamava Maxophone; c’erano dieci canzoni, già musicate nei primi anni Ottanta, ma alla fine il disco è stato stampato due anni fa. Tra queste canzoni c’era 20 parole, che tra l’altro doveva cantare anche Alex Baroni, che poi invece morì in un incidente d’auto mentre stava incidendo un disco, in cui ci sarebbe dovuta essere anche quella canzone. Roversi scriveva di tutto, ha scritto anche canzoni contro la droga. Alcune canzoni erano dei suoi testi poetici che poi lui dava alle persone che chiedevano delle canzoni dicendo: “guarda il testo è questo, poi se riesci a musicarlo è bene”. Aveva questa modalità, lui non scriveva le canzoni, scriveva i testi. Poi per metterle in canzone, dovevano essere bravi e riuscire a farlo. Di testi ce ne sono tanti, la qualità è altissima, non sono testi che lui aveva scartato. Sono testi che lui aveva dato a Dalla o a Curreri, e che loro in quel momento non avevano avuto modo di musicare. Io adesso li dò ad artisti che dimostrano di conoscere Roversi e che hanno voglia di cimentarsi con testi tutt’altro che semplici, proprio come impianto musicale. Se qualcuno ci riesce ben venga, io sono molto contento.

 

Lei ha detto che Automobili è il primo concept album nella storia della canzone italiana. Io, forse forzando la mano, ho evidenziato l’idea di concept album anche in Anidride solforosa, mostrando il filo conduttore della violenza. Vorrei sapere se ho sbagliato.

 

No! Anche se in quel caso più che sulla violenza, se posso azzardare una mia lettura, quello è un album sul potere. Lei consideri La borsa valori: il potere del denaro. Consideri il potere della violenza, il potere della politica, il potere dell’amore. E soprattutto l’ultima canzone, la splendida Le parole incrociate, termina con un verso, “è il potere che offende”, che chiude tutto il discorso su quel disco.

 

Un’ultima curiosità su Gli Stadio. Lei ha detto che Curreri ha musicato una ventina di canzoni di Roversi, cosa può dirci a riguardo?

Sì, ci sono Chiedi chi erano i Beatles, Maledettamericatiamo, Ma se guido una Ferrari, Millenovecentonovantaniente, Bianco di gesso nero di cuore, e Doma il mare il mare Doma, che è su Maradona. Ora a memoria ricordo queste. Poi Curreri ha musicato, dopo la morte di Roversi nel 2014, L’ala tornante, che gli ho dato io perché era in un quaderno con scritto “Parole per Gli Stadio”. C’erano dentro tre canzoni. Questo sarebbe dovuto essere l’ultimo concept album di Roversi, perché voleva fare undici canzoni sugli undici ruoli della squadra di calcio. Di canzoni ne ha concluse tre. Peccato sia rimasto solo sulla carta. L’altro testo completo è Il portiere, che Gaetano ha anche già musicato. Però purtroppo, non purtroppo, meglio per lui, da quando ha vinto Sanremo non riesce più a riprendere in mano quel progetto. In realtà è una canzone bellissima, che voleva cantare insieme con Buffon. Prima o poi succederà.

 

Letto 2463 volte Ultima modifica il Martedì, 17 Gennaio 2023 19:42