Sabato, 22 Luglio 2017 13:33

La poesia di Marco Simonelli: tra pop culture e lirica del desiderio

Scritto da Yannick Gouchan

Nato alla fine degli anni ’70, il poeta fiorentino Marco Simonelli si è largamente ispirato alla pop culture degli ultimi due decenni del Novecento e questo implica, nella sua scrittura, un’acuta sensibilità ai fenomeni generati dalla mediatizzazione nonché un’attenzione portata ai riferimenti cinematografici e musicali italiani, americanizzati e poi globalizzati. Né va tralasciato il fatto che la sua poesia si cimenti nell’affermazione libera e immaginifica dell’identità sessuale.

Autore di ben nove libri di versi e numerosi collaborazioni a performance vocali, l’esordio di Simonelli si verificò nel 1998 – aveva solo 19 anni – con un poemetto intitolato Memorie di un casamento ferroviere del’66[1], ambientato nella Firenze martoriata dall’alluvione. L’anno seguente pubblicò la plaquette Notturno per grondaia e fili di luce[2], poi nel 2004 uscì un’opera di confessione insieme manierista ed espressionista, il poemetto dedicato al martirio di San Sebastiano, un trittico destinato ad essere recitato[3]. Ma fu la raccolta Palinsesti[4] a segnare un prima svolta importante nella carriera del giovane autore. In questo libro egli rivisita, con un’allegra sovrapposizione di riferimenti pop e un’ansia di riciclaggio che oscilla tra l’ironico e il tragico, la cultura di una generazione che conobbe l’adolescenza alla fine del secolo XX. Dagli anni 2000 il poeta ha proposto un’opera esigente, sia dal punto di vista stilistico che metrico, intenta ad esplorare il rapporto complesso fra il sentimento d’amore (omosessuale) – vissuto in prima persona – e l’evolversi della società italiana. La splendida corona di sonetti elisabettiani Will[5] registra le pulsioni di un corpo e di un’anima in preda ai tormenti della passione effimera anticipatrice dell’unione in coppia, mentre i poemetti de L’estate sta finendo[6] propongono il racconto in versi di una scoperta intima adolescenziale.

L’autore ebbe anche il privilegio di figurare nell’undicesimo quaderno della collana Poesia contemporanea di Marcos y Marcos, a cura di Franco Buffoni, nel 2012, con le poesie di Firenze-Mare[7]. Lo stesso anno Simonelli fu antologizzato come esponente ipercontemporaneo nella raccolta Le parole tra gli uomini con testi di poeti italiani omosessuali[8]. Più di un decennio di attività poetica è stato riassunto e antologizzato nel libro Poesie d’amore splatter[9], nel cui titolo ben si esplicano i due poli della scrittura di Simonelli: i meandri della lirica amorosa e la pop culture desunta dall’iconografia del cinema horror destinata alla recitazione poetica. Il più recente libro pubblicato dal poeta è Il pianto dell’aragosta[10] che conferma e rinforza una solida e matura qualità letteraria, tra le nature morte di un “Bestiarioˮ (titolo della prima sezione) e le figure complesse di “Cortesie per gli ospitiˮ (seconda sezione).

Contemporaneamente alla scrittura poetica Simonelli è anche traduttore e collaboratore per numerosi blog e riviste di poesia online[11]. Ha anche partecipato a un progetto musicale componendo testi di spoken rock per il collettivo svizzero Black Sun Productions e la sua band Anarcocks: Hotel Oriente nel 2011[12]. Ha anche partecipato all’antologia di narrativa Toscani maledetti[13] che raggruppa testi inediti di giovani autori.

Simonelli fa parte di una generazione di poeti toscani nati tra la fine degli gli anni’60 e i primi anni’90, fra cui spiccano gli ottimi Giacomo Trinci, Rosaria Lo Russo, Elisa Biagini, Paolo Maccari, Marco Corsi, Tommaso Meozzi, Diego Salvadori, e molti altri. Un primo riconoscimento critico gli ha permesso di ricevere il premio Russo-Mazzacurati per i sonetti di Will nel 2009 e di essere recensito e commentato su vari siti di poesia quali Poesia 2.0, Poetarum Silva o Nazione Indiana.

  

Una liricizzazione della pop culture

Con la raccolta Palinsesti Simonelli propone una visione assolutamente originale del modo con cui il linguaggio poetico possa descrivere un fenomeno di massa impostosi nell’Italia degli anni ’80 e ’90, ossia la dipendenza dell’individuo dalla televisione, prima che questa lasci il posto agli schermi dei computer e dei cellulari. Il titolo del libro risulta essere doppiamente significativo poiché si riferisce non solo al palinsesto tradizionale riscritto, ma anche al linguaggio televisivo (il palinsesto dei programmi). Per esempio, la lirica Sospensione che recita: «spegnendo la tv col tasto stop. // Rimarranno sospesi in sonno i palinsesti / saranno interruzione per lo spot»[14]. In quanto al sottotitolo della raccolta, Canzoniere catodico, esso fornisce una chiave di lettura perché evidenzia l’idea di riciclaggio della materia poetica nella cultura mediatica, nella fattispecie nei programmi televisivi.  

Palinsesti offre ritratti di alcune icone della cultura mondiale, ossia americanizzata, e di quella più specificamente italiana, con un’operazione di liricizzazione dello star system[15], mai accusatoria nè moralizzante, anzi in simpatia con tali icone. Fra illusioni e derive lo star system viene sondato nella poesia liminare omonima che funge da testo programmatico, Star system (per Marilyn, soprattutto), e questo intento viene ribadito nella nota finale dell’autore in cui afferma di aver voluto evocare «bolle di sapone esplose sul cemento armato, stelle precipitate»[16]. Palinsesti non si limita quindi ad essere un libro generazionale sulla cultura catodica, bensì ha l’ambizione di un canzoniere biografico sulla celebrità e autobiografico sull’età dell’innocenza che sta per finire, dando luogo alla vocazione per la scrittura poetica che in questo modo si confronta con il reale e con l’inconscio o immaginario collettivo.

Le varie categorie di questo canzoniere permettono di leggere liriche su programmi ormai cult – le soap opera, i programmi di cucina, i talk-show –, su famosi conduttori, sull’emergere del reality TV e le sue implicazioni sul cinema popolare, sulla pop music, su prodotti di consumo emblematici. Due influenze maggiori spiccano nell’ispirazione dell’autore: l’americanizzazione massiva (per esempio Coming out o Il figlio di Jai Ar), e la fissazione di codici culturali meramente italiani diffusi tramite la televisione, nei settori della cucina, della canzone o dello sport.

Ora si prendano in esame tre tematiche che sembrano dominare nella raccolta e nei libri successivi: l’ossessione per l’alimentazione, l’iconografia dell’horror fiction e le figure di martiri.

Il cibo e la sua preparazione, il modo di alimentarsi, la cucina, il commercio di cibi e la loro esibizione denunciano nella poesia di Simonelli una vera ossessione. In effetti gran parte del repertorio di immagini televisive del poeta si è fondata su programmi di cucina e spot pubblicitari. Il critico Riccardo Donati, autore della bella prefazione a Palinsesti, stabilisce una similitudine con la madelaine proustiana e l’operazione di memoria[17] perché il lirismo di Simonelli sembra attraversare ricorsi culinari a loro volta filtrati dallo schermo televisivo e pubblicitario, sicché il ricordo d’infanzia finisce per creare nel testo una fusione corporea tra l’io lirico e il cibo fissato nella memoria: «[…] delicato sul burro di mio corpo m’arròtola e ricade»[18]. La divertente ma emblematica ode composta per la girella (In lode della Girella) potrebbe essere letta come la versione postmoderna della maddalena di Marcel.

È un’operazione di mitizzazione (barthesiana) di oggetti quella che fa Simonelli in Palinsesti : si tratta prevalentemente di oggetti di consumo quali il cubetto di brodo che si fa dado per modificare la sorte in Il Dado è tratto, dove la lingua mescola liberamente il registro letterario tradizionale con i vocaboli coniati dalla pubblicità, sottolineando nel contempo lo statuto di culto e la valenza irrisoria dell’oggetto. L’ossessione per il cibo finisce perfino per confondere l’individuo con quello che egli mangia, mediante una metamorfosi ovidiana rivisitata dai codici della società dei consumi. In Sospensione, per esempio, vengono usati i verbi e i sostantivi appartenenti al registro alimentare per descrivere un amplesso: «[…] sgranòcchiami, / galletto vallespluga; sono un’intera acciuga / che su questa mandorla s’arrotella. Tu infilzami / con uno stecchino, alla tua bocca portami vicino»[19].  D’altronde la maggior parte delle liriche che contengono una componente tematica alimentare sono intrisi di stilemi chiaramente risalenti alla matrice stilnovista e petrarchista. Il pranzo è servito riprende i codici di un famoso programma di Canale 5 per trasformarsi in pastiche dei tormenti provati dall’amante succube al potere d’un «matriciano Amor o pesto Iddio», tramite un’operazione di letterale cottura («mi cocio in calda attesa […] si cuoce in acqua cotta»)[20]. Palinsesti propone una poesia organica in cui la sensualità insita nel desiderio fisico viene trasferita nel registro alimentare, al limite di un cannibalismo lessicale manierista in cui l’uomo è consumato come un cibo condizionato: «scongelami col caldo del tuo fiato, / […] / Mangiucchiami, sgranocchiami: / divorami i canditi delle dita, / i lemmi in salsa rosa»[21]. L’apogeo della metamorfosi postmoderna tra uomo e cibo si verifica nella poesia Esaurimento, la cui ricchezza lessicale e sintattica – che si rifà senz’altro al modello di Zanzotto – si risolve in una frenetica descrizione delle reazioni del corpo umano agitato dalle conturbanti operazioni di cucina:

 

Frulla fra costole di vetro miscuglio di sfacelo

sminuzza taglia affetta impasta e sbatte il cuore

macinata carne, poltiglia di frattaglia

e dopo nella trasparenza del budello sei salsiccia.[22]

 

Accanto a questa tematica centrale, il poeta ha anche liricizzato l’iconografia del cinema anglosassone horror, ossia lo «splatter»[23]. Alcuni testi hanno per protagonista una figura di psicopatico, come in Texas Chainsaw Massacre che riprende il percorso traumatizzante di un bambino che sarebbe diventato serial killer, il famoso Leatherface del film. Lo stesso dicasi per l’hitchockiano monologo in versi Bates Motel. È invece la vittima ad essere al centro delle quartine del Requiem per Laura Palmer che riprende il mito petrarchesco di Dafne filtrato dalla fiaba di Hansel e Gretel per descrivere una Laura postmoderna : «i capei d’oro a l’aura sparsi»[24], ritrovata assassinata in riva a un lago. Petrarca e Grimm[25] si mescolano ovviamente al Twin Peaks di David Lynch.  

Il terzo nucleo tematico che spicca in Palinsesti sarebbe la figura del martire della mediatizzazione. Simonelli delinea una galleria insieme ironica, lirica e tragica della fama con una serie di biografie apertamente parodiche, ma senza che emerga lo scontato sarcasmo nei confronti delle celebrità mediatiche. Esse sono innanzittutto vittime di una tragicommedia, sono transitate nell’immaginario collettivo e poi mitizzate dal kitsch. Simonelli ha voluto conferire a queste figure un’«aura pseudo-mitologica»[26]. Sfilano le stelle italiane della televisione, prima venerate poi decadute, insieme a due icone mondiali della virilità virtuale, Superman – la cui tragica caduta viene evocata in Elogio funebre di Superman –, e Ken, fidanzato di Barbie, uomo oggetto prigioniero della propria immagine plastica (Impiccagione di Ken). Tra i martiri italiani si trovano Pietro Taricone, ex divo di Grande Fratello (Reality Show), il conduttore Aldo Biscardi (Arringa per la difesa al processo Biscardi), o Wanna Marchi, sacerdotessa delle televendite (Apologia per Wanna Marchi) : tutti e tre assumono uno spessore tragico che li salva dal nulla catodico[27]. Tuttavia la figura più significativa del martire si trova nel poemetto epico in otto parti Albaneide, dedicato al famoso cantante Albano. Il potere dell’immagine e la sua diffusione nei media fa emergere la questione – quasi benjaminiana – della concorrenza fra la realtà più cruda, la quotidianità più banale e la sua riproduzione in immagini che ne impoveriscono la valenza e la portata, come nella lirica sullo tsunami del 2004, filmato da un amatore al momento di maggior pericolo: «Qualcuno dica / a quell’imbecille in piedi / con la telecamera / di smetterla di filmare // e scappare»[28].    

Si veda ora come Simonelli, ricco di cultura poetica e di cultura popolare, sia riusciuto a inventare uno stile a metà strada fra il riciclaggio della tradizione letteraria nazionale e l’invenzione lessicale mutuata da registri del tutto estranei alla poesia, schivando le insidie del mero pastiche goliardico facilmente volgare[29]. Per cominciare si ricordi che il citazionismo è attivo in tutta la sua opera: versi calcati sulla Commedia («Temp’era che le stelle tutte quante», in Albaneide, v. 9, che riprende l’Inferno, I, 37; oppure «il fatale andare», in Bobby, solo, v. 15, che riprende l’Inferno, V, 22), versi imitati da Cavalcanti («Perché giammai nessuno […]», Albaneide, v. 1), da Petrarca (il già citato Requiem per Laura Palmer, v. 16), da Leopardi («Tu donzellotta, venivi dalla campagna», Difesa per Wanna Marchi, v. 1; o «in questo mar», Il Dado è tratto, v. 12), e da D’Annunzio («la favola bella», Adorazione di Cristina d’Avena, v. 12). Si ricordino anche gli esperimenti linguistici di Zanzotto, per esempio le paronomasie, le allitterazioni («affettata crosta biscottata fatta pappa rammollita», White Mill, v. 11), le parole con doppio senso, i giochi di parole del linguaggio mediatico, ecc. Si citi un solo esempio per tutti: il participio «incellophanato», usato per il cadavere avviluppato della ragazza uccisa in Requiem per Laura Palmer. Ma Zanzotto è anche presente in quanto modello del sonetto contemporaneo, nella raccolta Will e nell’antologia Poesie d’amore splatter.

Simonelli opera l’incontro poetico fra registri che di solito s’ignorano, per esempio in Laundry machine dove egli integra frammenti stereotipati del linguaggio pubblicitario all’interno di una forma lirica in cui la sintassi è molto sofisticata, ricca di anastrofi e d’inversioni («Un vortice la ruota che calcarea / fa fortuna centrifuga che gira, / m’ammira e stira / e smacchia intera l’area», Laundry machine, vv. 1-4), di asindeti accumulativi («sminuzza taglia affetta impasta e sbatte il cuore / macinata carne», Esaurimento, vv. 2-3), d’anteposizioni artificiali dell’aggettivo sul modello inglese («In una telefonica cabina», Elogio funebre di Superman, v. 12), di apposizioni che complicano il significato («Dal bollire laborioso della cassa / funebre bruciàcchio – infernale crosta: / quagliotto en sarcophage», Da consumarsi preferibilmente prima della data di partenza, vv. 1-3), di forme nominali prive di articoli determinativi («fu per noi violenta fonte di sostentamento», Albaneide, III, v. 14), ecc. Un critico ha parlato, a proposito dell’esigenza stilistica di Simonelli, di «“scalpelli”, fatti apposta per scavare la superficie del linguaggio e di quel feticcio d’esperienza che ci è rimasto, per andare più a fondo, scoprire, cercare, capire, comunicare»[30]. Tali scalpelli si ritroveranno al servizio della raffigurazione della sofferenza animale di fronte all’indifferenza e al disincanto umano nelle poesie della sezione “Bestiario” in Il pianto dell’aragosta: «L’aragosta va bollita viva. / Stordita dall’ossigeno boccheggia / sul marmo di cucina. // […] Si dice che al contatto con la morte / emetta un grido, strilli, / un pianto disperato, stile supplica»[31].

 

L’affermazione del desiderio

L’altro polo tematico maggiore della produzione in versi di Marco Simonelli riguarda l’analisi e l’espressione del desiderio. Sin dal trittico dedicato a San Sebastiano il poeta ha dimostrato una predilezione per la descrizione del corpo esposto, offerto. Sesto Sebastian è un’opera densamente espressionista, una fondante esibizione testuale e vocale per l’autore venticinquenne che si rifà sia ai misteri medievali che all’iconografia sacra del Rinascimento, al sensuale Sebastiano dannunziano musicato da Debussy e all’iconografia gay degli anni’80[32]. Il martirio di Sebastiano, accompagnato da San Rocco e dalla Madonna, senza bambino, si sviluppa lungo cinque monologhi, tramite un’indubbia intericonicità con le immagini sacre (i San Sebastiano dei trittici, come quello dipinto da Antonello Da Messina, nel 1478, oggi conservato a Dresda) e i riferimenti pop (i nudi maschili dei fotografi Pierre et Gilles, David La Chapelle). Il nome del santo, americanizzato, mutuato da una canzone rock, lo avvicina a un’altra figura di martire, Sebastian Venable, protagonista omossesuale in absentia della pièce di Tennessee Williams, Suddenly, last summer (1958), nonché a un altro giovane protagonista anche lui implicitamente omosessuale, Sebastian Flyte, nel romanzo Brideshead Revisited di Evelyn Waugh (1945). Desacralizzato, il ritratto di Sebastiano esprime la sofferenza generata dal desiderio, con echi delle Variazioni belliche di Amelia Rosselli. Il carattere impavido di una condizione sessuale esibita si mescola a immagini crudeli e morbose, estreme, mentre la poesia amorosa dell’opera succesiva, più matura, ritorna a farsi intima, confessionale, prona al lucido sondaggio del sentimento e dell’istinto fisico perché calato in una società – quella alle soglie del XXI secolo – che ha pressappoco e apparentemente assorbito, metabolizzato la condizione omossesuale – per lo meno in molti paesi occidentali –, ed è questa la differenza tra Simonelli e i suoi illustri predecessori come Penna, Bellezza o Buffoni che hanno vissuto l’omossesualità in un’epoca che continuava a condannarla o fingere di ignorarla.

Il rapporto dialettico fra l’io lirico e la figura dell’altro, amato, contraddistingue le due raccolte posteriori a Palinsesti. L’estate sta finendo (2011) consta di otto poemetti che raccontano vari episodi della scoperta adolescenziale della sessualità e della vocazione per la scrittura nell’Italia tra anni ‘80 e ‘90, tra telecrazia e tangentopoli. Si tratta di un’autobiografia parziale in versi[33] ambientanta nei paesaggi toscani (il lago di Massacciuccoli, le pinete della Versilia) con una colonna sonora che fa echeggiare pezzi famosi dell’epoca[34]. Questa cronaca di un’epoca e di un’età dell’io completava la bellissima raccolta che era stata pubblicata due anni prima, Will.

Canzoniere composto di 24 sonetti uguali ispirati al modello elisabettiano, Will si cimenta nella forma chiusa sotto il patrocinio della lirica shakespeariana, come indica la nota dell’autore: il titolo viene dai sonetti 104 e 135 del poeta inglese, mentre la formula «will» serve a esprimere insieme la volontà e il futuro. I sonetti esplorano la dolcezza e l’amarezza dell’amore secondo le coordinate di un itinerario sentimentale tormentato[35], fra vari partner, seduzione e precarietà affettiva di una relazione effimera:

 

La somma dei miei mali opprime il plesso

ostruendo le vene e poi l’arterie;

questo male la testa ha compromesso,

ridotta in condizione più che serie.

Il sesso è quella cosa ch’apre e chiude

il respiro, il coraggio addormentato

che, sveglio, salta, corre e non delude

qual cucciolo di cane appena nato.

Ma quando poi si fa licantropia,

mensile vocazione a distruzione

allarme accende, pulsa rossa spia

a segnalar di mente distrazione.

     Non è bussola questo strano cuore

     ma timer, ordigno, contatore.[36]

 

Scandito dal desiderio fisico, in luoghi votati all’amore frettoloso fra uomini (night, aree di servizio, bar) il percorso lirico si risolve nel quotidiano domestico dell’ultimo sonetto, con la «coppia di fatto»[37] ufficializzata da un patto di convivenza fra due amanti che non possono unirsi civilmente: «Il Vaticano dice di non farlo. / Vuol dire che non avremo cerimonia. / Ma quello Stato che moneta conia / il nostro patto, amor, non può disfarlo»[38]. L’estroversa metaforizzazione pop e lirica dell’eros («Mi guardi con gli occhioni tipo manga. / Ti guardo e desidero il tuo tanga», O cubista che unto ti dimeni, vv. 6-7) oscilla con immagini carnali esplicite («bisogno di slacciar ciò che attillato / ancora i fianchi fascia per pudore. / Liberato da questo perizoma / dimostri raddoppiato il tuo vigore», Pace non v’è in questo calumet, vv. 8-11), che attestano una dovizia lessicale che non si arrende mai al registro volgare[39]. Rilevante è anche la presenza, in questi sonetti amorosi, della tematica alimentare già esaminata prima in Palinsesti. L’io trasfigurato in cibo dà luogo alla creazione di immagini molto forti, ora sensualissime (per esempio l’innamoramento per un garzone in Servi gastronomia alla Coop), ora crudamente fisiologiche («Rigettami e rivomita me pasto», A frutta siamo giunti – dici – e dopo?, v. 9), sicché si potrebbe parlare di consustanzialità fra corpo dell’individuo e corpo del cibo che egli prepara, ingerisce e smaltisce per risolversi in un’unica sostanza che deforma l’umano in preda al desiderio fisico: «Mi vedresti / pan bagnato che bolle sotto cappa, / sopra l’azzurro fuoco di cucina?»[40]. Il corpo desublimato viene spesso raffigurato nella sua triviale semplicità, destinato al consumo, simile a una natura morta, come per esempio nel poemetto in sette parti Manzo, in Poesie d’amore splatter, dedicato alla carne lungo il suo ciclo dal macello alla digestione. Il canzoniere di Simonelli Will ribalta i codici lirici perché l’autore dice di aver voluto scrivere una poesia «scortese»[41] sulla sofferenza interiore, la sottomissione al desiderio e l’epifania della gioia d’amore, ossia una versione contemporanea e pop del binomio joy-dolor trobadorico. 

Le peripezie della coppia io/tu si ritrovano d’altronde nella terza sezione (“Il settimo annoˮ) dell’ultima raccolta dell’autore, Il pianto del’aragosta (2015). Questo libro palesa la solita maestria stilistica e metrica (si veda per esempio la ballata di tredici sestine Sapore di mare) e la solita tagliente ossessione tematica per il rapporto tra l’essere vivente (un gatto, nella poesia che segue) e il cibo:

 

Avresti fritto pure una ciabatta:
sarebbe stata asciutta
croccante calda e friabile
come i tuoi fiori di zucca.

Le tue mani significano cibo
le osservo attentamente quando posso
sono piccole, vecchie, farcite dalle rughe
mentre mescolano il manzo macinato
con l'aglio col formaggio e il pangrattato
e aggiungono un ciuffo di prezzemolo tritato.

 

Asdrubale passava al pianerottolo
gatto vecchio, lentissimo ed obeso:
un occhio cavo perso in una lotta
e un tumore in vista alla mascella.
Non sempre ci riusciva, quella bestia
a scendere le scale e farla nel cortile.[42]

 

Marco Simonelli ha creato nell’arco di un quindicennio poetico un repertorio stilistico molto originale, insieme generazionale (il suo lettore più acuto sarà chi ha vissuto e conosciuto la cultura popolare tra XX e XXI secolo), intimo (la sua è una poesia il cui fulcro rimane autobiografico) e collettivo (perché rimescola immagini e riferimenti molto diversi tra di loro, senza limitarsi per questo all’erudizione o al citazionismo, né a una poesia codificata di nicchia gay). Il poeta definisce se stesso in quanto «aedo / con spiccate attittudini grottesche»[43] oppure «mosca che ronza su un marciapiede»[44]. Egli assume così una scrittura eretica che agisce tramite «armi d’ascolto»[45] in grado di percepire e restituire la complessa universalità del desiderio quando si tratta di porsi dinanzi al mondo.

 

 

ANTOLOGIA 

ESAURIMENTO (SCORTE), da Palinsesti

 

Frulla fra costole di vetro miscuglio di sfacelo

sminuzza taglia affetta impasta e sbatte il cuore

macinata carne, poltiglia di frattaglia

e dopo nella trasparenza del budello sei salsiccia.

 

Si sfilacciano cervella molli, tremante gelatina

microgranuli i neuroni schizzano roventi

la frittura nei liquidi più caldi abbrustolisce

e fila e fonde sottile il mondo intero intorno.

 

Scossa di sismico voltaggio a brani riverbera le membra.

Sigilla plastico e sottile il cielo trasparente il corpo tutto.

T’affetta la lama più affilata che rotante t’attraversa

 

prosciutto d’antipasto, spina dorsale di grissino

perfetta pietanza tu straccio di recisi nervi, il male

che secca la sostanza macerata scotennata sotto sale.

 

 

BATES MOTEL da Palinsesti

 

Fuggi sull’autostrada col malloppo

e un groppo in gola di rimorso;

il morso del falcone impagliato:

affilato coltello in un polmone.

 

“Divento matto se mi turbi; mi disturbi

le connessioni neuronali

passi dai morti dei miei genitali

fusi e rinchiusi dentro al bagno.

Annego i miei peccati nello stagno:

mi farai diventare matto anche tu,

ultima fiamma di Barbablù?

Sopporto male gli abbandoni,

non so gestire la mia rabbia.

Siamo tutti animali chiusi in una gabbia, sai?

Lo dice sempre anche mia madre, non sbaglia mai,

è una vecchia chioccia.

 

Ma tu intanto entra e rilassati e fatti una doccia”

 

 

Da Will

 

La somma dei miei mali opprime il plesso

ostruendo le vene e poi l’arterie;

questo male la testa ha compromesso,

ridotta in condizione più che serie.

Il sesso è quella cosa ch’apre e chiude

il respiro, il coraggio addormentato

che, sveglio, salta, corre e non delude

qual cucciolo di cane appena nato.

Ma quando poi si fa licantropia,

mensile vocazione a distruzione

allarme accende, pulsa rossa spia

a segnalar di mente distrazione.  

     Non è bussola, questo strano cuore,  

     ma timer, ordigno, contatore.

 

 

Da Will

 

Il Vaticano dice di non farlo.

Vuol dir che non avremo cerimonia.

Ma quello Stato che moneta conia

Il nostro patto, amor, non può disfarlo.

Ci unimmo un pomeriggio nel salotto,

sfiorandoci le mani, per merenda.

“Di tue ferite io sarò la benda”

promettemmo mangiandoci un biscotto.

In fondo non vogliamo un matrimonio.

Ci basta un bacio da scambiarci al sole,

un avvenir di giorni come prole.

È questa la ricchezza, il patrimonio.  

     (Chi ci dice che quelli con le ali  

     non siano anche loro omosessuali?)

 

 

GHAZAL da Poesie d’amore splatter

 

Di treni, stazioni, di falso binario ed orario.

Sei senza biglietto? Sostieni il contrario.

 

Sostieni la quiete diurna e notturna dell’urna.

La cenere è un fiore che sboccia e profuma al contrario.

 

Se smonti la pace la notte rimane fuggire.

L’amore diventa l’opposto. L’esatto contrario.

 

Partire di nuovo? Non so se restare o dormire.

Tornare in quei posti? Rifare quel viaggio al contrario?

                                         

Opporsi. Assopirsi. Sapersi dispersi nel mare.

Siamo velisti che vanno col vento contrario.

 

 

IL PIANTO DELL’ARAGOSTA da Il pianto dell’aragosta

 

L’aragosta va bollita viva.

Stordita dall’ossigeno boccheggia

sul marmo di cucina.

 

Oscillano le antenne e dalla cappa

la luce la proietta in ombre lunghe,

due lance un tempo organi

 

di senso e di difesa.

Teoricamente si può anche

ucciderla con una coltellata:

 

assesti un colpo secco,

la lama deve entrare nella testa,

però bisogna essere precisi

 

è facile che soffra anche di più.

Si dice che al contatto con la morte

emetta un grido, strilli

 

un pianto disperato, stile supplica.

Ma si tratta solamente del vapore,

che schizza, fuoco fatuo

 

tra polpa e carapace.

 

[1] Memorie di un casamento ferroviere del’66, Florence Art, Firenze, 1998.

[2] Notturno per grondaia e fili di luce, Gazebo, Firenze, 1999.

[3] Sesto Sebastian. Trittico per scampata peste, Lietocolle, Como, 2004.

[4] Palinsesti. Canzoniere catodico, Zona, Arezzo, 2007.

[5] Will. 24 sonetti, D’if, Napoli, 2009.

[6] L’estate sta finendo, Leconte, Roma, 2011.

[7] Firenze Mare, in Poesie contemporanea. Undicesimo Quaderno Italiano, Marco y Marcos, Milano, 2012.

[8] Le parole tra gli uomini (antologia di poesia gay italiana dal Novecento al presente), a cura di Luca Baldoni, Robin Edizioni, Torino, 2012.

[9] Poesie d’amore splatter (2004-2014), Edizioni Sartoria Utopia, Milano, 2015.

[10] Il pianto dell’aragosta, D’if, Napoli, 2015.

[11] Per le traduzioni e pubblicazioni cfr. Il sito dedicato all’autore: http://marcosimonelli.wordpress.com/biblio

[12] Hotel Oriente, http://anarcocks.com/album/hotel-oriente

[13] AA. VV., Toscani maledetti, a cura di Raoul Bruni, Piano B edizioni, Prato, 2013.

[14] Sospensione, in Palinsesti, p. 70, vv. 10-12. Cfr. La recensione scritta da Luciano Mazziotta, “Palinsesti” di Marco Simonelli: finzione su realtà. http://poetarumsilva.com/2014/12/16/palinsesti-di-marco-simonelli-finzione-su-realta/

[15] Per l’idea di poetizzazione cfr. la recensione di Franz Krauspenhaar, Palinsesti di risarcimento, in cui egli riconosce a Simonelli una capacità a «dare facoltà di parola poetica all’estremamente aleatorio ma anche incidente nella nostra cultura popolare». http://nazioneindiana.com/2008/01/15/palinsesti-di-risarcimento/

[16] Nota dell’autore, Palinsesti, p. 79.

[17] «È un problema proustiano, allora, quello che Simonelli solleva: di tempo e di memoria», perché si tratta di una poesia che appartiene alla generazione cresciuta dopo gli anni di piombo, cioè ne «gli anni di Piombi» – i piombi elettrici e le carceri del televisore –, afferma Riccardo Donati in Gli anni di Piombi (pagine di un’educazione nazional-sentimentale), in Palinsesti, pp. 3-9.

[18] White Mill, in Palinsesti, p. 72, v. 3.

[19] Sospensione, ibid., p. 70, vv. 3-6.

[20] Il pranzo è servito, ibid., p. 19, vv. 1 e 11.

[21] Da consumarsi preferibilmente prima della data di partenza, ibid., p. 28, vv. 5 e 7-9.

[22] Esaurimento, ibid., p. 53, vv. 1-4.

[23] In varie poesie lo “splatter” si verifica con immagini grottesche di sangue (per esempio Lady Macbeth, in Poesie d’amore splatter), o figure di preda (Lupercale – Pantum, in Poesie d’amore splatter). Ma “splatter” segnala anche il fatto che questi testi dalla lingua sincopata ed agressiva siano destinati ad essere recitati, sul palcoscenico, ad alta voce e con grande espressività.

[24] Requiem per Laura Palmer, in Palinsesti, p. 51, v. 16.

[25] Da notare la partecipazione di Simonelli all’antologia Nei Boschi. Poesie dalle fiabe dei Grimm, a cura di Elisa Biagini, Edizioni Sui, Prato, 2014.

[26] Nota dell’autore, Palinsesti, p. 79.

[27] Riccardo Donati afferma che «ricordarci con un beffardo, crudele sentimentalismo, come la pena strappalacrime di queste vite in disuso, in disarmo, che alimentano le tele-(e)be(a)titudini della nostra quotidianità, sia ormai il solo vero dramma che riesca ancora ad accendere la fantasia, e la pietas, di una nazione di “slegati”, “trasmessi e non comunicati” in perenne zapping sul tele-sacello, alla ricerca di un tozzo di immaginario con cui sfamarsi», in Dandy in the underworld – Fame di immaginario nella scrittura di Marco Simonelli.http://www.poesia2punto0.com/2013/03/28/dandy-in-the-underworld-fame-di-immaginario-nella-scrittura-di-marco-simonelli/

[28] Tsunami, in Palinsesti, p. 52, vv. 12-16.

[29] Come potrebbe essere il caso dell’epigramma dedicata al poeta Tonino Guerra, Frammento anonimo di poeta catodico, autore di uno spot per una catena di negozi, parodiato con un’ironia che si rifà alla scatologia.

[30] Lello Voce, Marco Simonelli: una poesia che ‘affeziona’, Il Fatto Quotidiano, 13/08/2013. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/13/marco-simonelli-poesia-che-affeziona/683675/

[31] Il pianto dell’aragosta, in Il pianto dell’aragosta, pp. 15-16, vv. 1-3 e 14-16.

[32] Una delle parti del monologo di Sebastian riprende le parole di una canzone rock del 1973, «somebody called me Sebastian», composta da Steve Harley per i Cockney Rebel.

[33] Si legge in una poesia «O Marco […] Tu scrivi», ossia la confessione di una vocazione per la scrittura, mentre l’amico preferisce prostituirsi, cfr. Alle Cascine – Battuage, in L’estate sta finendo, p. 25. 

[34] Il titolo della raccolta è anche quello di una famosa canzone del 1985, composta come è noto dai Righeira. 

[35] Cfr. Claudio Finelli, Marco Simonelli: “Will”, http://www.poesia2punto0.com/2013/03/30/marco-simonelli-will/

[36] La somma dei miei mali opprime il plesso, in Will, p. 13.

[37] Un futuro di mille gigabyte, ibid., p. 28, v. 14.

[38] Il Vaticano dice di non farlo, ibid., p. 29, vv. 1-4.

[39] Si potrebbe citare una poesia di Poesie d’amore splatter formata da una serie di verbi all’infinito per evocare l’atto fisico nella sua brutalità e sensualità, Pan – Villanella killer, filtrato dall’immaginario horror : «tagliarti, percuoterti, spezzarti in più parti, baciarti con lame taglienti, squartarti».

[40] Ma tu come mi vedi? Crederesti, in Will, p. 22, vv. 3-5.

[41] Cfr. l’intervista di Simonelli fatta da Vanni Santoni, il 31 marzo 2015, su http://www.minimaetmoralia.it/wp/lamor-scortese-intervista-a-marco-simonelli/

[42] Da Asdrubale, in Il pianto dell’aragosta, vv. 1-16.

[43] Estasi di Carolina Invernizio, in Palinsesti, p. 73, vv. 16-17.

[44] Intervista con Marco Simonelli, in L’estate sta finendo, p. 6.

[45] Ivi, p. 5.