Autore: Guido De Simone

Nel settembre 2017, Donzelli è tornata a pubblicare i versi di Guido Mazzoni, già autore de "La scomparsa del respiro dopo la caduta" (in "Poesia contemporanea. Terzo quaderno italiano", a cura di F. Buffoni, Guerini, 1992) e "I mondi" (Donzelli, 2010).

"La pura superficie" è un prosimetro composto da cinque sezioni in versi, intervallate da quattro prose cadenzate, I destini generali, "Angola, Sedici soldati siriani" e Genova. Nella forma, come anche nel contenuto, queste quattro ‘liriche’ rinunciano alla verticalità del verso, senza per questo depotenziare l’atto linguistico in sé. Avviene invece il contrario: la tensione orizzontale della parola moltiplica luoghi e personaggi narranti e narrati, negando ogni forma di introspezione o rivelazione epifanica a proposito degli stessi e costringendo il lettore a restare in superficie.

L’ultima raccolta di Stefano Carrai, "La traversata del Gobi", pubblicata dai tipi di Nino Aragno Editore, è una delicatissima opera di resistenza contro il fluire della storia che cancella e appiattisce. L’autore stesso confessa, nelle note in chiusura, di non essere mai stato nel Gobi; pertanto, questo deserto deve considerarsi un «paesaggio dell’anima», che è immagine «di quel che nella vita resta indietro, non trova più posto, si perde sepolto sotto la sabbia».

La drammatica evoluzione è un’operazione poetica di grande originalità e ispirazione: in sole trenta poesie, l’autore, Bernardo Pacini, traspone in letteratura l’universo nipponico dei Pokemon. Questo, tuttavia, non significa che il testo parli dei Pokemon, né che sia destinato ai ragazzini o ai nostalgici dell’infanzia. I Pokemon sono un mero espediente, poiché la drammatica evoluzione è una riflessione sulla società d’oggi, una riflessione – spiega Pacini stesso nella breve nota introduttiva titolata Pokedex – su «lo strappo tra la fine dell’infanzia e ciò che viene dopo». D’altronde, la complessa costruzione che soggiace alla silloge appare evidente anche ai non specialisti: è sufficiente soffermarsi sul lessico ricercato o sull’uso meticoloso ma non costringente delle rime e delle forme metriche tradizionali, dal classicheggiante epigramma al mottetto montaliano in due quartine, dal dispetto in ottava al limerick.

Vangelo Elementare di Gianluca Furnari è un libro che sorprende per la maturità stilistica e contenutistica dimostrata da un ragazzo così giovane (classe 1993). Anche Giuseppe Conte, nella breve lettera che funge da prefazione all’opera, ha dovuto ammettere: «lei ha scritto versi bellissimi. Vista la sua età, sono versi miracolosi».

Furnari esplora un universo d’albori, luci fioche e penombre. Un universo, a tratti inquietante, in cui «il buio si addens[a] in forme ostili» e le giornate scorrono «senza evento», negando al vivere ogni significazione. Furnari si muove in questo spazio «nella speranza che la luce a un tratto si decodifichi», «che nel buio ci si apr[a] un varco» e che giunga così un significato a riempire il vuoto di una vita fatta di meri significanti. La sua ricerca pare, tuttavia, votata allo scacco: il poeta s’imbatte in una «luce non serena», che illumina un’umanità dirotta, crepitante e tormentata, senza neanche il conforto delle stigmate per «riaversi vivi».