Giovedì, 26 Dicembre 2024 11:30

«Tutto intorno a noi era mistero che premeva per svelarsi». Su Primo Levi magico di Robert S. C. Gordon

Scritto da Luigi Liaci
Primo Levi, Scultura in filo di rame smaltato. Fotografia Pino Dell'Aquila, 2019 Primo Levi, Scultura in filo di rame smaltato. Fotografia Pino Dell'Aquila, 2019

«Tutto intorno a noi era mistero che premeva per svelarsi». Su Primo Levi magico di Robert S. C. Gordon

Scritto da Luigi Liaci

La «poetica della realtà», che in buona parte informa la vicenda letteraria di Primo Levi, ha indotto molta critica a collocare l’immagine pubblica e l’opera del chimico torinese nel perimetro troppo ristretto della testimonianza storico-documentale. «Ogni tanto si sente dire che è pericoloso batter troppo l’accento su Levi come grande scrittore, perché si metterebbe in ombra il grande testimone, e l’ingenza delle cose testimoniate», puntualizza Mengaldo. E continua: «Io penso invece che Levi non sarebbe il testimone che è se non fosse un così grande scrittore: se cioè non avesse messo al servizio di Se questo è un uomo, della Tregua, dei Sommersi e i salvati […] le sue doti straordinarie di memoria analitica, di precisione nel fissare a distanza fatti e persone, di chiarezza nei giudizi (Mengaldo 2019, p. 6, corsivo mio). Doti che si sono rivelate poi acuminata fonte di conoscenza, nelle opere testimoniali come in quelle d’invenzione, nella saggistica e nella poesia, e che hanno consacrato l’autore di Se questo è un uomo «prosatore di prim’ordine, umorista, osservatore e commentatore acuto della realtà sociale e naturale, fautore e interprete di una preziosa convergenza tra cultura scientifica e cultura umanistica» (Barenghi 2018, p. 162).

Piuttosto che un inflessibile monolito, la figura leviana potrebbe allora definirsi – con uno sguardo obliquo – un vivace pentaedro: sono cinque infatti le facce o, per meglio dire, figure di scienziato, che Robert S. C. Gordon (Serena Professor e ordinario di Italianistica all’Università di Cambridge) individua nel suo ultimo saggio Primo Levi magico. Meraviglia, mistero, cosmo (Carocci 2024): «il Levi razionalista, o forse meglio positivista, che crede nel valore delle osservazioni scientifiche, dell’analisi sperimentale» (Gordon 2024, p. 17); «il Levi naturalista o il Levi antropologo» (Gordon 2024, p. 17), affascinato dalla pluralità dei fenomeni naturali e dall’«animale-uomo» (così come scrive Levi in Se questo è un uomo, Levi 2016-18, I, p. 206); «il Levi tecnico, il topo da laboratorio, il chimico in azienda», che si barcamena tra astruse pratiche commerciali e barattoli di vernice, «con metodi spesso improvvisati e non sistematici» (Gordon 2024, p. 18); c’è poi il Levi «scienziato manageriale-burocrate […] immerso nella pratica para- o a volte addirittura antiscientifica, della corrispondenza con i clienti e i collaboratori, dei collaudi» (Gordon 2024, p. 18). A questo tetra-Levi s’aggiunge, programmaticamente, un quinto tipo di scienziato, che Gordon rintraccia – sulla scia degli studi di Richard Holmes (Holmes 1996 e 2008) e di Noah Heringman (Heringman 2003) – nientemeno nell’età del romanticismo inglese: è lo «scienziato romantico», legato all’idea di una scienza genitrice di meraviglie e di incantesimi. Per Holmes, infatti, gli scienziati romantici inglesi erano dotati di una fervida immaginazione, colma di letteratura, mitologia, magia, terrore e speranza (tutti elementi alla base delle idee romantiche ottocentesche). E in Primo Levi, certamente non si può negare, queste forme immaginative erano ben presenti (basti solo leggere con attenzione i saggi dell’Altrui mestiere o scorrere l’indice della Ricerca delle radici, per non parlare della pluralità dei riferimenti letterari sparsa in vari loci della sua opera).

Ed è quindi verso l’aspetto “meraviglioso” della scienza in Levi che Gordon indirizza il cuore della sua indagine: «la sensazione della meraviglia» è, nell’autore del Sistema periodico, «un atteggiamento nei confronti del mondo, di apertura verso lo strano, verso l’ignoto […] che ha valore in sé, pratico e morale, […] soprattutto come stimolo a nuove indagini, a nuove esplorazioni e a nuove soluzioni […]» (Gordon 2024, p. 22). Il mondo che circonda Levi, lungi dall’essere svelato in ogni suo luogo, in forma perentoria e definitiva, è piuttosto avvolto da un alone di «mistero» – «parola-sensazione», la definisce Gordon (Gordon 2024, p. 23) –: le figure della scienza (e della chimica in particolare) potrebbero svelare l’arcano dei meccanismi che reggono il mondo; tuttavia la vera impresa, come Levi ricorda nel capitolo Idrogeno (nel Sistema periodico), in realtà consiste nel «draga[re] il ventre del mistero con le nostre forze, col nostro ingegno» (Levi 2016-18, I, p. 876). Il mistero chimico leviano oscilla, allora, «tra il sacro e lo pseudosacro, tra il serio e il semiserio» (Gordon 2024, p. 24).

I «luoghi» e i «tempi» del mistero, che Gordon acutamente rintraccia tra le pagine del Sistema periodico, sono spesso codificati, i primi, «come soglie, come luoghi di passaggio e di iniziazione» (Gordon 2024, p. 26) – l’istituto chimico dell’Università di Torino, il laboratorio di analisi qualitativa del secondo anno dei suoi studi universitari, l’Istituto di Fisica sperimentale, la biblioteca dell’Istituto chimico; ma, anche, la «miniera» del capitolo Nichel, che «rappresenta il culmine dell’elemento gotico della visione della scienza romantica in Levi» (Gordon 2024, p. 29), e l’«isola» e la «montagna» evocate, rispettivamente, nei racconti Mercurio e Piombo (dove si prendono vita una serie «di segreti e di trasformazioni, […] laboratori mitici e misteriosi» (Gordon 2024, p. 29). I secondi, invece, oscillano tra due dinamiche opposte: per un certo aspetto, i «tempi del mistero» racchiudono in sé conoscenze scientifiche ataviche e remotissime, quasi ancestrali, perse in un passato dimenticato delle origini – nel racconto Cromo, il vecchio collega di Levi, Cometto, arriva a ricordare le falotiche usanze della memoria scientifica e collettiva: «Il vecchio Cometto aggiunse che la vita è piena di usanze la cui radice non è più rintracciabile: il colore della carta da zucchero, l’abbottonatura diversa per uomini e donne, la forma della prua delle gondole» (Levi 2016-18, I, p. 968, corsivo mio). La pratica scientifica, in questo senso, diviene «lavoro collettivo» che si dispiega lungo una «genealogia simbiotica di conoscenze e di dimenticanze» (Gordon 2024, p. 31). Per un altro aspetto, invece, l’adorata chimica di Levi viene descritta «come una nuvola indefinita di potenze future» (Levi 2016-18, I, p. 876, corsivo mio): il segreto e il mistero della natura, dell’errore, della scienza contengono «di per sé una dinamica propulsiva […] attiva, proiettata in avanti, verso il futuro» (Gordon 2024, p. 32). Il mondo come attore ignoto, inesplicabile e inestricabile, raccoglie nei suoi corpuscoli e nelle sue molecole già tutte le storie del passato, del presente e del futuro; straordinario e tanto grande è il numero degli atomi che informano la vita «che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi altra storia inventata a capriccio» (Levi 2016-18, I, p. 1032). L’idea di un futuro «futuribile», sostiene quindi nel Sistema periodico, è elemento e fonte essenziale di pensiero, non ostacolo al racconto delle esperienze umane e alla percezione della verità.

Nella Ricerca delle radici (1981), libro che forse più di tutti è intriso di «magia», Levi elenca, in forma di aperta confessione, i suoi libri preferiti, e nella Prefazione ad un certo punto arriva a scrivere: «Non avrei previsto, accingendomi al lavoro, […] che i magici dovessero prevalere sui moralisti, e questi sui logici» (Levi 2016-18, II, p. 7, corsivo mio). La «magia» in Levi, sostiene Gordon, ha una funzione pienamente conoscitiva ed euristica, ha un notevole potere di congiunzione e di connessione: «collega la forza cognitiva della scienza con il potere d’incanto e di rito della religione, in una sintesi immaginaria che si avvicina spesso anche a un concetto della creatività letteraria, oltre che a una concezione antropologica della realtà umana» (Gordon 2024, p. 37). È, insomma, un altro modo di pensare le vicende del mondo e il mondo medesimo.

Il «pensiero magico» nell’opera di Levi si esplica, in particolare, in due aspetti: attraverso la nobile antenata della chimica, l’alchimia, e attraverso le oscure conoscenze della stregoneria et similia. Chimica, alchimia e pseudoscienza, nel racconto Azoto (contenuto nel Sistema periodico) convivono in un «insieme fertilmente ibrido», tanto che «la visione dell’alchimia viene rielaborata fino a farne una forza magica potentissima di conoscenza e di trasformazione potenziale nel presente» (Gordon 2024, p. 41, corsivo mio). Alchimia e magia assumono il significato di metamorfosi e trasformazione: nell’opera leviana si rincorrono, più o meno variamente, mutazioni magiche e fatate, fino alla dissipazione della carne nell’aria evanescente e così via. Nel racconto «antropologico» Gli stregoni (contenuto in Lilìt e altri racconti, 1981) due etnografi inglesi, Wilkins e Goldbaum, s’avventurano poco cautamente nell’Amazzonia boliviana, e qui entrano in contatto con i Siriono, una popolazione autoctona. Incapaci di provvedere ai loro bisogni (per esempio, non sono in grado di produrre fiammiferi per accendere un fuoco – simbolo, antropologicamente, della téchne prometeica, ed emblema mitologico-magico dell’umano), i due etnografi sono destinati al fallimento: «siamo cattivi stregoni, furfanti buoni solo a vendere fumo» (Levi 2016-18, II, p. 371). Il racconto Gli stregoni, sostiene Gordon, «è sia un gioco di alienazione antropologica – qui, in questo luogo dell’altrove, la nostra scienza occidentale si trasforma in un’inutile magia […]; – che un gioco di prospettiva – […] il rapporto tra la cosiddetta ignoranza e la scienza, tra magia e scienza, si capovolge» (Gordon 2024, p. 43). In altri momenti dell’opera leviana – come nella poesia La strega (contenuta nella raccolta di versi Ad ora incerta, 1984), o nei racconti I mnemagoghi (contenuto nelle Storie naturali, 1966) e Titanio (nel Sistema periodico) – l’autore, sottolinea sempre Gordon, disegna figure doppiamente magiche: esse sono caratterizzate, da una parte, da elementi rituali-linguistici (le formule e le parole magiche del mestiere); dall’altra, da elementi attivi-performativi (le azioni, la creazione, i trucchi di costruzione). Levi nutre una profonda fascinazione per queste figure libere, propulsive e creative, come prova una profonda ammirazione per Gottlieb (medico, suo collega, sopravvissuto in Auschwitz, che appare nella Tregua), taumaturgo misterioso, provvisto quasi di doti sciamaniche: «Se poi questa sua eccellenza professionale fosse […] propriamente il suo strumento di penetrazione, la sua arma segreta per farsi amici e nemici, […] per mutare i no in sì, non potei mai stabilire: anche questo faceva parte della nuvola che lo avvolgeva e che si spostava con lui» (Levi 2016-18, II, p. 377, corsivo mio). Il «pensiero magico» di Levi che Gordon ha cercato di delineare può dunque intendersi come un «modo di confrontare e di sconfiggere la morte […]. La lotta contro la morte è onnipresente, anche se destinata al fallimento» (Gordon 2024, p. 49); tuttavia, questa è produttrice della stessa umanità.

Nell’opera di Primo Levi, come Gordon ha chiarito nel suo recente Modern Luck. Narratives of fortune in the long twentieth century (Gordon 2023), s’innesta un nuovo «mito moderno della fortuna» (Gordon 2024, p. 51): il sopravvissuto Levi, infatti, «probed […] paradoxes and dangers of the nexus of luck and survival» (Gordon 2023, p. 106). Il caso o la fortuna, tra le pagine leviane, assurti come strumenti epistemologici, sono adoperati tuttavia con amara ironia, e suscitano certamente nel lettore effetti di stupore e sgomento: «Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, […] sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli» (Levi 2016-18, I, p. 137, corsivo mio). L’autore chiarisce subito, nella Prefazione di Se questo è un uomo, di essere «un ex deportato e pone l’accento sulle ragioni puramente casuali della sua sopravvivenza: «fortuna» è la terza parola del libro, «mia» la seconda» (Savettieri 2023, p. 92). Mera casualità, dunque, ha consentito a Levi la salvazione: per l’autore de I sommersi e i salvati la «sopravvivenza provvidenziale è un miraggio, un fenomeno pericoloso e ingannevole» (Gordon 2024, p. 55): «Mi disse [un anziano amico di Levi] che l’essere io sopravvissuto non poteva essere stata opera del caso, di un accumularsi di circostanze fortunate (come sostenevo e tuttora sostengo io), bensì della Provvidenza. […] Questa opinione mi parve mostruosa» (Levi 2016-18, II, p. 1995, corsivo mio). Non è un caso che Heinz Reidt, soldato nella Wehrmacht e poi partigiano nella Resistenza veneta, traduttore tedesco di Levi e suo corrispondente, avesse ricordato in una lettera, datata «Berlino, 11 settembre 1959»: «Mio suocero era finito ad Auschwitz per rappresaglia prettamente politica; anch’egli, per fortuna, si è salvato perché vi è stato “soltanto” negli “ultimi tempi” (con gravi danni alla sua salute)» (Levi 2024, p. 66, corsivo mio). Levi dunque, in questo gioco deformante di specchi, non è altro che una eccezione, un sopravvissuto paradossale, una figura che parla per «conto di terzi» (Levi 2016-18, II, p. 1996), per i morti della Shoah. Paul Steinberg (1926-1999), «Henri» in Se questo è un uomo, avrebbe poi ricordato, in una paginetta del 1995 di Chroniques d’ailleurs: «Si è così colpevoli di sopravvivere?». (cfr. Luzzatto 2024). La «filosofia della fortuna», sotterranea e sottile, che Gordon individua tra le pagine dell’opera leviana, trova il suo fondamento nella nuova scienza statistica del ventesimo secolo: «l’eccezione alla regola [quindi, propriamente, la devianza dalla norma], il momento perfettamente fortuito in un mondo regolato dall’analisi razionale, dai numeri, dai sistemi ideologici, la sopravvivenza contro ogni probabilità alla morte quasi certa» (Gordon 2024, p. 63) sono tutti frammenti di quella sopracitata «filosofia della fortuna» che dimostrano quanto la consapevolezza di Levi dei metodi e dei significati plurimi della modernità sia profonda e stratificata.

Quando Gordon rivolge l’attenzione all’«immaginario scalare» di Primo Levi, al «cosmo» in cui s’agitano i suoi personaggi e la «sua» scienza, lo fa, soprattutto, nell’ottica di ripercorrere «il problema etico-scientifico della collocazione dell’umano, e della scala umana, in mezzo al cosmico e all’atomico, con tutte le possibilità che questa collocazione comporta in termini di conoscenza, illuminazione ed errore» (Gordon 2024, p. 77, corsivo mio). La prospettiva «scalare» e cosmica, come anche microscopica e macroscopica, che Gordon rintraccia in un corpus selezionato di racconti e poesie, è, anch’essa, strumento conoscitivo nuovo: come Dante, accostato a Levi in quanto «scrittore scientifico» – Levi e l’autore della Commedia, in questo senso, «assorbono le conoscenze scientifiche più variegate, […] le disseminano attraverso la loro opera letteraria», sono entrambi «curiosi, dilettanti, non specialisti e non scolastici […], affascinati da incroci tra saperi e linguaggi» (Gordon 2024, pp. 87-88) –, l’autore del Sistema periodico è sedotto dal gioco policromo di ordine e caos, eccezione e regola, sistema e caso-singolo, dalla «macchina dell’universo [che] è sottile, [come] sottili sono le leggi che la reggono» (Levi 2016-18, II, p. 946). La scala cosmica rappresenta allora per Levi una realtà materiale (e misteriosa), con profonde implicazioni allegoriche ed etiche, ma anche un modo per sondare il «cuore oscuro della sua opera» e la «sua vocazione come scrittore-testimone», se si pensa «alla sua analisi-analogia del “buco nero” di Auschwitz» (Gordon 2024, p. 93). Conoscenza e meraviglia, proiettate in un continuum di sensi tra Levi e Dante, sono dunque vive in un’intersezione di campi di visione, in una sorta di rapporto traversale tra passato e presente.

Tra il 2019 e il 2020, in una stanza presso la Galleria d’Arte Moderna (Gam) di Torino, è stata allestita una piccola, particolare mostra, Figure – per le cure di Fabio Levi (direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi) e Guido Vaglio –, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore (1919-2019). Nella Wunderkammer sono state riunite, per la prima volta, alcune delle dozzine di sculture – in filo di rame e, in un caso, di latta – create da Levi tra il 1955 e il 1975: «si tratta di oggetti con un forte carattere intimo e domestico, destinati agli scaffali dello studio […] oppure a essere regalati agli amici più cari […]. Il materiale utilizzato è generalmente il filo di rame: il suo lavoro di chimico specializzato nella smaltatura dei conduttori elettrici gli consentiva di disporre di scarti e materiali da saggio in quantità» (dal Comunicato stampa della mostra). Come collocare, si chiede Gordon, «questa nuova “opera” […], queste figure o “cose” private di Primo Levi, di cui si conosceva l’esistenza ma che solo pochi tra famiglia, amici e visitatori privilegiati […] avevano visto, prima di questa mostra?» (Gordon 2024, p. 102). Lo spirito leggero, trasformativo e mutabile, «dotato di significative implicazioni epistemologiche» (Gordon 2024, p. 98), che informa il pensiero e la scrittura di Levi, pare riversarsi, felicemente, in queste composizioni filiformi, quasi tutte d’animali, ibridi tra il fantastico e il reale. Come nelle sculture, conclude Gordon, anche nella poesia Levi si concentra sul puro divertimento: ed è in questa pratica che può trovarsi, in definitiva, il senso delle «cose» (things). È nello «scambio reciproco di gioco e fantasia, […] nelle poesie [e] nelle sculture, che le "cose" di Levi ci possono offrire un piccolo atto di resistenza e di civiltà, un attimo di poesia e di meraviglia» (Gordon 2024, p. 102) in un mondo assediato dalle brutture e dal buio della ragione.

Testi citati:

  • Barenghi M., Primo Levi, in Alfano G. – de Cristofaro F., Il romanzo in Italia. iv. Il secondo Novecento, Carocci, Roma 2018;
  • Gordon R. S. C., Modern Luck. Narratives of fortune in the long twentieth century, Ucl Press, Londra 2023;
  • Gordon R. S. C., Primo levi magico. Meraviglia, mistero, cosmo, Carocci, Roma 2024;
  • Heringman N., Romantic Science: The Literary Forms of Natural History, Suny Press, Albany 2003;
  • Holmes R., Footsteps: Adventures of a Romantic Biographer, HarperCollins, Londra 1996;
  • Holmes R., The Age of Wonder, William Collins, Londra 2008 (trad. it. L’età della meraviglia, Garzanti, Milano 2023);
  • Levi P., Il carteggio con Heinz Riedt, Einaudi, Torino 2024;
  • Levi P., Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, 3 voll., Einaudi, Torino 2016-18;
  • Luzzatto S., Primo Levi e i suoi compagni, Donzelli, Roma 2024;
  • Mengaldo P. V., Per Primo Levi, Einaudi, Torino 2019;
  • Savettieri C., Primo Levi tra autobiografia, invenzione e saggismo, in Manetti B. – Tortora M., Letteratura italiana contemporanea. Narrativa e poesia dal Novecento a oggi, Carocci, Roma 2023.