Un salto in quel vuoto che l’aveva ossessionata per tutta la vita: così, nella notte del 27 ottobre di vent’anni fa, Claudia Ruggeri si lanciò dal balcone della sua stanza al sesto piano per porre fine al disagio interiore che da tempo la affliggeva. La poetessa leccese aveva fallito nel percorso di purificazione dantesca cui si era ispirata e, nella vita come nell’opera, non riuscì nell’ascesi spirituale cui anelava: per fuggire dalla paura del nulla, creò un mondo parallelo fatto di parole, ma lo fece con un impeto tale che le si ritorse contro, rendendola prigioniera dei suoi stessi versi e delle immagini prodotte dalla sua mente. Tormentata da una sorta di cenofobia, la Ruggeri era giunta alla conclusione che bisognasse semplicemente arrendersi di fronte al vuoto, in quanto parte di ogni essere vivente. In modo particolare, credeva che avere questa consapevolezza rendesse gli uomini artisti: la creazione e l’arte altro non erano che figlie del vuoto. Dare vita a una poesia caratterizzata da un accumulo di immagini, da un magmatico caos linguistico, da un gusto per l’eccesso, fu la sua personale risposta a questa convinzione. Risposta verso la quale Franco Fortini, dedicatario dell’Inferno minore, mostrò il suo dissenso, paragonando lo stile della giovane ad una signora imbellettata con troppi gioielli e mal abbinati. Virtuosismi linguistici, sintassi stravolta, punteggiatura sconvolta, ricorso notevole a metafore e allusioni avvicinano la sua produzione poetica al Barocco, da intendere, alla maniera di Bodini, come condizione psicologica in cui si riflette l’horror vacui: riempire il vuoto, scrivere per eliminare il bianco, creare per strappare al nulla la vita. Tutto questo viene fatto alla luce di un dialogo ininterrotto con gli autori che la poetessa prediligeva: Claudia Ruggeri potrebbe essere vista come l’anello di congiunzione della poesia di diversi periodi storici. Questo porta a una mescolanza linguistica che spesso mette in difficoltà il lettore, incapace di dotare immediatamente di senso i suoi componimenti, ma perfettamente in grado di percepire le emozioni che la poetessa voleva trasmettere, grazie anche ad una musicalità sempre perseguita, anche a costo di sacrificare le regole sintattiche. Una poesia per pochi eletti quella della Ruggeri, aristocratica, che la rende simile agli autori neoterici e del trobarclus.
Studentessa sia di Lettere che di Teologia presso l’Ateneo salentino, assidua frequentatrice del laboratorio poetico istituito da Arrigo Colombo e Walter Vergallo, Claudia Ruggeri possedeva una buona conoscenza dei testi biblici, al punto tale che i suoi versi furono sempre profondamente intrisi di immagini riprese dall’Antico Testamento, di riferimenti cristologici, di una religiosità contraddittoria che oscillava fra sentite invocazioni a Dio e feroci bestemmie. Negli ultimi mesi della sua vita, la Ruggeri stava lavorando ad un’altra raccolta poetica, Pagine del Travaso, pubblicata per la prima volta nel 2006 nel volume Inferno minore (PeQuod, 2006, a cura di Mario Desiati), il cui titolo originale, come risulta da un dattiloscritto, è )e Pagine del Travaso. Qui per riudire la pazzesca evenienza del dattilo. Nella maggior parte dei componimenti vengono rielaborati numerosi passi del salomonico Cantico dei Cantici, uno dei libri più discussi della Bibbia, caratterizzato da una confusione generata dall’incontro-scontro tra la purezza dell’amore spirituale e il desiderio carnale. Il Cantico ruota attorno al tema del vuoto, visto come presenza del sacro, vissuto come senso di attesa, ma anche fortemente carico di allusioni erotiche. D’altronde la Ruggeri aveva intrapreso una vera e propria quête medievale, un cammino alla conquista della fede, dell’«Idem perduto» sempre presente nella sua poesia – assimilabile, per certi versi, alla res amissa caproniana – condotto, tuttavia, in una dimensione labirintica che intrappola chi si approccia alla sua opera, un percorso che non trovò vie d’uscita perché la poetessa comprese che l’inferno è nel mondo, e scelse di restare in quel ‘carnevale’ onirico fatto da matti, maschere, attori e personaggi che elevano i loro lamenti.
La Ruggeri seguì, così, la scia di altre autrici contemporanee morte suicide e l’ultima poesia che recitò in occasione di SalentoPoesia nel 1995, a la fiamma della forma ha incendiato, contiene molti possibili presagi di quello che sarebbe stato l’ultimo atto della sua esistenza. «Il verso potrebbe significare / la sua morte esatta»: la Ruggeri si rese conto che la poesia era per lei una condanna, ma, come scrive nel componimento sopra citato, in cui si riprende un proverbio cinese, il poeta non demorde dalla ricerca della felicità, sebbene sia consapevole che non la raggiungerà mai, ed è disposto anche alla distruzione pur di non arrendersi.