Sabato, 29 Aprile 2023 14:36

Su "La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera" di Alberto Ravasio

Scritto da Lorenzo Di Lauro

La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è il romanzo d’esordio dello scrittore bergamasco Alberto Ravasio, finalista della XXXIV edizione del Premio Calvino.

Il racconto prende avvio con il risveglio del protagonista che, analogamente all’incipit delle Metamorfosi di Kafka, scopre di aver subito un’assurda trasformazione. Anche in quest’occasione la mutazione è l’espediente narrativo utile a incanalare la vicenda, ma ciò che attende il protagonista è un inatteso processo di transessualizzazione. Guglielmo Sputacchiera vive il paradosso della trasformazione degli organi, acquisendo la vulva da lui tanto divinizzata e agognata fino all’ossessione, ma mai posseduta. La causa della mutazione rimane oscura anche per lo stesso protagonista che, per l’intero romanzo, è incapace di trovare una spiegazione convincente all’accaduto.

Il dramma fisico si lega al malessere psicologico derivato dalla propria condizione sociale: Guglielmo è un trentenne che vive ancora a casa dei genitori, vittima del processo di digitalizzazione, della rottura dei rapporti sociali e quindi esposto alla depressione, alla tristezza. Il protagonista del libro rappresenta alla perfezione il prototipo di un’intera generazione incapace di integrarsi nella società, un moderno inetto che non riesce a realizzarsi in nessun campo della vita. Alberto Ravasio, nella costruzione del suo personaggio, riprende il filone narrativo inaugurato da Le avventure di Don Chisciotte di Miguel Cervantes e rappresentato in Italia, nell’ultimo secolo, da autori come Italo Calvino, Gianni Celati ed Ermanno Cavazzoni. Come Don Chisciotte, Guglielmo subisce le vicende in cui incappa senza avere il potere di cambiarle. La sensazione di sconforto è accentuata dal linguaggio sferzante e irrisorio del narratore che sembra essere del tutto privo di empatia nei confronti di Sputacchiera e della sua sorte. Infatti, il processo di transessualizzazione – nonostante permetta a Sputacchiera di godere di ciò che fino a quel momento aveva unicamente sognato – sembra trascinare il protagonista in situazioni sempre più negative.

Un ruolo di rilievo è dato alla rappresentazione del contesto familiare. Appare fin da subito evidente il timore del giudizio da parte della figura paterna, presentata come sicura di sé, ipervirile e omofoba, della quale la stessa madre è in un certo senso vittima. La donna, invece, ha un carattere mite e condiscendente ma la sua opinione è irrilevante al confronto di quella delle altre figure femminili che risultano essere molto più emancipate. Per il protagonista, il contesto famigliare incarna una dimensione ostile, così come il luogo in cui vive, definito «paesello stercoso» (pag. 47), dove l’analfabetismo è assai diffuso e lo sviluppo industriale ed economico sembra essersi arrestato. La rappresentazione della società in La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera presenta molti rimandi a quella bergamasca, della quale l’autore è originario. La “cultura del fare” tipica della zona viene stigmatizzata come una maschera indossata per camuffare l’assenza di interrogativi. Maschera che Sputacchiera, però, sceglie di rifiutare.

Il rapporto è pessimo non solo con il territorio ma anche con gli individui che lo popolano. Uno dei primi personaggi femminili che appaiono nel romanzo è la dottoressa Casoncelli, medico di base della famiglia, alla quale il protagonista espone il problema dell’improvvisa mutazione. Viene presentata come «manipolatrice testicolare» (pag. 73) nonché donna di straordinaria presenza fisica e caratteriale. La dottoressa non ritiene possibile la mutazione di Sputacchiera e avviene uno scontro di idee che, come spesso accade nel romanzo, non trova una risoluzione. Il medesimo risultato si raggiunge anche in occasione della visita alla psicologa che, rifiutando di credere alla transessualizzazione del protagonista, attribuisce la causa del problema a una mancata fede nella psicanalisi.

Una figura femminile all’apparenza positiva è quella di Amelia, simbolo delle pene d’amore mai risolte di Sputacchiera a seguito delle quali è stato “costretto” a virare sul porno. Dopo la prima fase di conoscenza e la reciproca simpatia, arriva la fase dell’innamoramento che lo porta a compiere l’azione tanto odiata del corteggiamento, i pedinamenti che in seguito avrebbe definito “umiliamenti”. Ma anche in questo caso il risvolto è negativo; il rifiuto dell’amata, infatti, condanna Sputacchiera a consolarsi unicamente nelle proprie fantasie, mentre la ragazza vive le proprie esperienze erotiche.

L’unico personaggio che sembra riuscire a riconoscere il valore culturale del protagonista è l’amico Guido Coprofago. Sputacchiera lo incontra a seguito della mutazione e, senza svelare la propria identità, ascolta Guido attribuirgli il dono della scrittura, della cultura e della conoscenza. Da questo momento Sputacchiera intende la sua mutazione come un nuovo punto di partenza, come una sorta di segno del destino, ma, in accordo con l’atmosfera dell’intero romanzo, il finale si riconferma negativo.

L’ultimo capitolo è riservato all’incontro col Negro, personaggio con il quale il protagonista, una volta accettata la sua nuova condizione, intrattiene conversazioni erotiche attraverso i social. Questi non è altri che il padre di Sputacchiera, lo stesso dal quale voleva fuggire per evitare l’umiliazione a causa del suo nuovo aspetto. Tuttavia, come profetizzato in precedenza da un santone, «tuo padre sarà sempre con te perché è dentro di te» (pag. 153), i due sono destinati a ritrovarsi e questo avviene attraverso l’algoritmo del web. Quando l’incontro si concretizza anche nella realtà, Sputacchiera, con il nuovo nome di Carmela, consuma un rapporto sessuale con il padre, ignaro della sua reale identità e della sua nuova situazione. Carmela non ne ha riconosciuto la voce ma rimane colpita dalla gentilezza del tono e si rende conto che il padre non le aveva mai dimostrato affetto prima della mutazione. Quando l’uomo è assalito dal pensiero che, per età, la giovane donna potesse essere sua figlia si ritrae, pervaso dal senso di colpa.

Il finale acquisisce considerevole rilevanza: attraverso una lettera destinata al padre il protagonista parla in prima persona e denuncia apertamente la propria condizione di emarginazione sociale. Le riflessioni personali spaziano verso una più ampia riflessione sul malessere di un’intera generazione: il fallimento di tanti non può essere riscattato dal successo di pochi, il valore assegnato ai titoli di studio è superfluo e la generazione dei padri ha divorato quella dei figli che restano chiusi in casa, disoccupati, vittime della pigrizia, schiavi del web e del porno. È proprio attraverso questa riflessione sulla società contemporanea che Ravasio conclude il romanzo, carico di amarezza.