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Mercoledì, 04 Ottobre 2017 18:04

Manganelli parallelo: “poeta del nulla” e “interprete del suo tempo”

Scritto da Davide Sportillo
Giorgio Manganelli Giorgio Manganelli

Giorgio Manganelli “precipitò come un meteorite nei cieli poco nuvolosi della nostra letteratura”. Così scriveva Calvino nel risvolto alla ristampa Feltrinelli di Hilarotragoedia, il romanzo d'esordio di Manganelli, edito per la prima volta nel '64.  L'opera, uno pseudo-trattato sulla natura “discenditiva” dell'uomo, ci descrive con tono ironicamente dotto le modalità e le forme di questa nostra ininterrotta discesa verso l'Ade, con tanto di chiose, postille e testimonianze documentarie. Durante la discesa l'autore  discetta di problemi e angosce esistenziali, ma sempre liquidandole con sarcasmo, come fossero sberleffi poco seri, puri accidenti in quello che è l'unico e inevitabile destino di noi adediretti: la caduta. Segue nel '69 per Einaudi Nuovo commento: libro astratto, costruito sul vuoto assoluto, è un elaborato e dettagliato susseguirsi di note a margine di un testo però inesistente.

Manganelli, dunque, come Minerva dal cervello di Giove, nasce già maturo, scrittore dalle caratteristiche già ben definite, e del resto nel 1964 all'epoca del primo romanzo ha già quarantadue anni. Con la sua sintassi elaborata e le fantasticherie visionarie affonda le sue radici nella letteratura italiana del secolo diciassettesimo, tra Rinascimento e Barocco. Forte di tutta la carica innovatrice e sovversiva del suo manierismo letterario, demolisce senza pietà, sia nell'attività di scrittore che in quella di critico e teorico letterario, tutta la letteratura dell'Ottocento e del Novecento dalle intenzioni educative o virtuosamente didascaliche e ideologiche, con le sue pretese di realismo. Demolisce la figura dello scrittore come intellettuale impegnato, la pretesa di contare qualcosa nella storia e nella società e il romanzo come tradizionale narrazione di fatti. Nonostante si possa tentare di accostarlo a Gadda e a Landolfi per l'uso fantasioso e ricercato della lingua, a Borges per alcune scelte metaletterarie o ancora al Calvino più disimpegnato dalle Cosmicomiche in poi, egli si distingue per un oltranzismo tutto suo: il suo piglio inconfondibile, il suo tono umoristico  inimitabile lo rendono un “personaggio unico nella letteratura nostra e altrui, somigliante solo e unicamente a se stesso”.

Tuttavia questo scrittore dalle scelte formali ardue e provocatorie, inventore inesauribile che gioca con il linguaggio e con le idee, è anche un commentatore paradossale dei fatti del giorno, dalle pagine dei più importanti giornali e settimanali, e come “riesca (…) a esercitare una vera e propria funzione di ‘moralista’ e perfino di ‘interprete del proprio tempo’, è un exploit che non si può concepire se non vedendolo attuare in pratica”[1]. È dunque interessante provare a coniugare il “poeta del nulla” all'“interprete del proprio tempo”, unire questi due aspetti apparentemente inconiugabili eppure così  sostanziali dell'opera manganelliana: i romanzi antirealistici e l'attività giornalistica.

Da una parte abbiamo un Manganelli narratore, o meglio prosatore, quello cioè degli antiromanzi come Dall'inferno o Amore; della pseudo-trattatistica di Hilarotragoedia o Nuovo Commento; degli esperimenti metaletterari come Centuria e dei self-conscious novel alla Encomio del tiranno, nei quali si rileva una serie di “assenze”. Si può notare infatti come in tutta la sua opera sia assente qualsiasi forma di mimesi o autobiografia, e come essa miri a svuotare di senso e significato la figura dello scrittore inteso come direttore di coscienze. Al suo posto troveremo il buffone, una figura di autore cinico e autoironico, che gioca con la lingua, con la trama e i suoi personaggi. Anche la trama, la narrazione vera e propria o la “storia” che racconta dei “fatti” sarà assente, sostituita da una sontuosa impalcatura di divagazioni continue e invenzioni visionarie e allucinatorie, tenute insieme dalla grande perizia linguistica, dal suo “magistero stilistico”[2], “perché per lui l'unico oggetto dello scrivere è il proprio linguaggio”[3]. Strettamente connessa all'eclissi dell'autore e della trama sarà l'eclissi del personaggio, che in Manganelli non avrà mai connotati certi e definiti, ma sarà anzi un'entità astratta e indistinta.

Tra l’instaurarsi dello scrittore-buffone, il romanzo senza trama e i personaggi inesistenti non trova certo posto l'impegno politico. Da buon antistoricista, infatti, Manganelli non fa mai  accenni al reale nei suoi romanzi, che sono quindi completamente slegati dal loro tempo. Tuttavia la carica sovversiva delle sue scelte estetiche, il carattere provocatorio delle sue assenze possono implicare una valenza politica profondamente meditata. Dall'altra parte invece abbiamo un Manganelli corsivista, che dalle colonne dei principali quotidiani e settimanali si fa ironico e acuto osservatore della società e dei costumi italiani. Manganelli giornalista, pur non facendo cronaca né raccontando fatti, alludendovi solamente con il consueto ironico distacco, riesce a essere un attento osservatore della realtà, un “cronista” originale e in un certo senso impegnato. Leggendo i suoi articoli noteremmo le sue posizioni paradossali e inattese sui temi più vari, quali il divorzio e l'aborto; le sue idee e soluzioni provocatorie sull'Università, la scuola o la cultura italiana. Si vedrà insomma come il suo bersaglio preferito siano le assurdità e la stupidità e come si diverta a prendere di mira i luoghi comuni e i caratteri dell'italianità negli articoli dedicati sulla famiglia e sulla patria.

Le due facce dell'opera manganelliana, quella puramente letteraria e quella giornalistica, messe a confronto rivelano che la sua narrativa nelle scelte formali e nelle sue rinunce sottende già un carattere ideologico, polemico, una carica profondamente politica; e che la sua attività di corsivista è perfettamente in linea con quella dello “scrittore del nulla”, che mantiene il suo stile e le sue idee, non offrendo né soluzioni, né un impegno diretto (ma forse, così come il gioco è l'unica forma di tragedia consentitaci, questa è l'unica forma di impegno possibile di questi tempi).

Esiste dunque un Manganelli parallelo, quello giornalista. Colpito da questo “altro” Manganelli, fu Calvino il primo a proporre di raccogliere e pubblicare gli articoli in volume. Il 25 ottobre del '72 gli scrive:

 

Pensando alla straordinaria verve delle tue collaborazioni giornalistiche nell'ultimo periodo, che spesso non sono meno ricche di invenzioni fantastiche e linguistiche delle tue prose dotte, mi sono detto che sarebbe tempo che tu pensassi a metterne insieme una silloge. Un Manganelli descrittore di metropoli e costumi, («interprete del suo tempo»!) da affiancare al Manganelli poeta del nulla, creerebbe proficui disorientamenti nei critici e festosi assembramenti di pubblico.

Pensaci e fammi sapere[4].

 

Manganelli accetta subito il consiglio e raccoglie alcuni dei suoi articoli pubblicati via via su «L'Espresso» e «Il Giorno». Esce così per Einaudi il Lunario dell'orfano sannita del '73, che include oltre a un inedito i pezzi da «Aut» e da «Quindici». Questa e Improvvisi per macchina da scrivere dell'89 sono le due raccolte del Manganelli giornalista pubblicate in vita. Più recentemente, nel 2007, Marco Belpoliti ha curato per Adelphi Mammifero italiano, una preziosa antologia di articoli, mai raccolti in volume, apparsi tra il '72 e l'89 su «Corriere della Sera», «Il Messaggero», «L'Espresso», «La Stampa», «Il Mondo» e «L'Europeo». A queste opere occorre rifarsi per conoscere il Manganelli “parallelo”, il corsivista per il quale ogni pretesto è adatto alle sue ironiche invettive, dal fatto minimo di cronaca ad una polemica frivola o un provvedimento ministeriale bizzarro.

Ne deriva una grande varietà di temi e di linguaggi, un'irresistibile vena umoristica, fatta di continue inversioni e capovolgimenti del senso comune. A volte possiamo trovare la quotidianità più opaca che assurge a una dimensione fantastica e metafisica; altre volte, quando si parla di massimi sistemi, ecco che si scivola in una dimensione sempre grottesca e prosaica. Da queste opere bisogna partire per comprendere come “lo scrittore che negli anni Sessanta ha teorizzato il disimpegno è in realtà un impegnato. Il suo sarà – supremo ossimoro – il disimpegno dell'impegno oppure l'impegno del disimpegno?”[5]. E si badi che questo di Belpoliti non è un mero gioco di parole, dal momento che siamo di fronte a interventi giornalistici che da un punto di vista letterario sono sintomo di indiscutibile impegno, ma sono anche opere letterarie che da un punto di vista giornalistico si avvicinano al disimpegno, non interessando a Manganelli addentrarsi troppo nei fatti o offrire soluzioni, ma piuttosto e soltanto alludere: “poche righe rapide e mortali”, questo infatti è per lui un corsivo: “il corsivo deve nascere e muoversi come un centometrista”.

La lettura degli interventi di attualità e di costume sono utili per cogliere e attribuire una certa rilevanza politica all'opera di Manganelli ed esentarlo così dalle accuse di presunto conservatorismo o moderatismo, in cui è facile incorrere viste le sue scelte formali di scrittore. La sua attività giornalistica ci rivela “un autore alieno da qualsiasi conformismo irenico e sconfessa quell'immagine da prudente e distaccato letterato d'altri tempi con la quale il nostro amava sardonicamente vezzeggiarsi”[6]. Questi “no” ideologici, la valenza del non detto, valgono più di mille manifesti ideologici, come scriveva lo stesso Calvino sul «Menabò»:

 

Insomma io sospetto dell'etichetta rivoluzionaria sovrapposta a materiali culturali che non si ha il coraggio di manifestare per quel che sono […], e quindi perdono anche il loro originario valore di contestazione e non servono che a far fumo. Invece chi, come Manganelli, si guarda bene dal dirsi...[7]

 

[1]I. Calvino, Introduzione, in G. Manganelli, Centuria, Milano, Adelphi, 1995, p. 11.

[2]G. Manganelli, Encomio del tiranno, Milano, Adelphi, 1990, p. 10.

[3]I. Calvino, Notizia su Giorgio Manganelli, in «Il Menabò», n. 8, 1965.

[4]I. Calvino, Lettere 1940-1985, Milano, Mondadori, 2000, p. 1177.

[5]M. Belpoliti, Mamma, mammifero, in G. Manganelli, Mammifero italiano, a cura di M. Belpoliti, Milano, Adelphi, 2007, p. 146.

[6]M. Di Gesù, La tradizione del postmoderno, Milano, Franco Angeli ed., 2003, p. 78.

[7]I. Calvino, Notizia su Giorgio Manganelli, «Il Menabò», n. 8, 1965.

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