I “Quaderni del Pens” si presentano come una “officina”, uno spazio o un contenitore nel quale raccogliere i risultati del lavoro critico che ogni anno il Centro di ricerca realizza intorno a momenti e figure della letteratura italiana del Novecento e contemporanea. In questo primo numero della collana si pubblicano i contributi che sono stati presentati in occasione di un Ciclo di seminari, tenuti presso l’Università del Salento nel corso del 2017, dal titolo “Con testo a fronte.  Poeti e testi del Novecento a confronto”, ai quali hanno partecipato studiosi e docenti dell’Università del Salento e di altre Università europee.

Dieci materiali per un bastone. Un'idea di letteratura. 

Seminario di Giorgio Vasta - 13 aprile 2018, ore 10 - aula 7, Studium 6, via di Valesio - Università del Salento

Il seminario consiste in un itinerario (che prende spunto da una frase di Kafka e da un dipinto di Bruegel) attraverso pagine, immagini, sequenze di film, canzoni e vecchie pubblicità, provando a descrivere un'idea di letteratura. Una specie di autoritratto, in un certo senso, ma ottenuto usando frammenti di narrazioni (così come Arcimboldo costruiva un volto con gli ortaggi o con i fiori). 

Giorgio Vasta (Palermo, 1970) ha pubblicato il romanzo Il tempo materiale (minimum fax 2008, Premio Città di Viagrande 2010, Prix Ulysse du Premier Roman 2011, pubblicato in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Spagna, Ungheria, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Inghilterra e Grecia, selezionato al Premio Strega 2009, finalista al Premio Dessì, al Premio Berto e al Premio Dedalus), Spaesamento (Laterza 2010, finalista Premio Bergamo, pubblicato in Francia), Presente (Einaudi 2012, con Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori). Con Emma Dante, e con la collaborazione di Licia Eminenti, ha scritto la sceneggiatura del film Via Castellana Bandiera (2013), in concorso alla 70° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Collabora con la Repubblica, Il Venerdì, il Sole 24 ore e il manifesto, e scrive sul blog letterario minima&moralia. Nel 2010 ha vinto il premio Lo Straniero e il premio Dal testo allo schermo del Salina Doc Festival, nel 2014 è stato Italian Affiliated Fellow in Letteratura presso l’American Academy in Rome. Il suo ultimo libro è Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt/Quodlibet 2016). Ha diretto l'ultima edizione del Book Pride, Fiera Nazionale dell'Editoria Indipendente.

 

Uscito tre anni dopo il viaggio di cui racconta, Absolutely nothing di Giorgio Vasta si pone decisamente al di là dei territori del semplice reportage, e fa subito sospettare che il triennio di lavorazione e meditazione retrospettiva sull’esperienza statunitense sia servito a Vasta per rielaborarla in senso narrativo. Ne è un primo, forte indizio la natura non lineare del tempo del racconto, che pure a prima vista rimane di stampo diaristico: la narrazione procede per giornate, ma le giornate non sono disposte in ordine cronologico. Il tempo del racconto risulta quindi alterato, anche se la datazione che viene riportata permette comunque al lettore più meticoloso di ricostruire l’ordine temporale degli avvenimenti.

A un mese dalla chiusura del Salone Internazionale del Libro di Torino, proponiamo un reportage sulle novità dell'ultima edizione diretta da Nicola Lagioia e in particolare su uno dei libri 'oltre confine' presentato per l'occasione da Giorgio Vasta.

«Penso sia una circostanza narrativa molto classica: il personaggio si addestra, si attrezza, si arma, va in battaglia e nonostante sia così apparentemente perfetto e invulnerabile la battaglia lo metterà di fronte alla sua vulnerabilità, i conti non torneranno, i progetti faranno naufragio. L'armatura di Nimbo – che presume e pretende di essere una specie di eroe della parola – è proprio il linguaggio; per lui lessico e sintassi sono in grado di catturare il mondo in ogni sua più microscopica sfumatura costringendolo a farsi parola. Se la sua ambizione – la sua allucinazione – è questa, allora è pressoché inevitabile che la sua storia abbia come esito constatare, amaramente e con sollievo, che il mondo non si fa prendere tutto nel linguaggio (al limite finge di farsi prendere ma è così strutturalmente esuberante da risultare incontenibile) e che c'è sempre qualcosa, tantissimo, che rimane fuori, non semplicemente non detto ma più esattamente indicibile. Credo che in fondo l'ossessione di Nimbo sia proprio l'indicibile, un'impossibilità che affronta con l'unico strumento che ha a disposizione, appunto la lingua. Per tutto il romanzo è come se Nimbo cercasse di mangiare il brodo con la forchetta: qualcosa tira su, ma la sua azione è sostanzialmente infondata».