Yannick Gouchan, Ordinario di Letteratura italiana all’Università di Aix-Marseille in Francia, ha tenuto, lo scorso 12 maggio, presso la Sala Consiliare “M. Gorgoni” del Teatro Ducale di Cavallino, una conferenza sul tema “Il Risorgimento e i suoi protagonisti meridionali nel romanzo Noi credevamo di Anna Banti”. L’evento, che rientra in un ciclo di incontri culturali dedicati alla figura di Sigismondo Castromediano e al periodo delle lotte per l’unificazione d’Italia, è stato aperto dai saluti del sindaco di Cavallino, l’avvocato Bruno Ciccarese Gorgoni, e del Presidente del Centro di Studi “S. Castromediano e G. Rizzo”, il professore Antonio Lucio Giannone. Il sindaco ha messo in evidenza la trasparenza di ideali del patriota Castromediano, animato da nobili valori che possono essere riscontrati sia nel libro Noi credevamo, pubblicato per la prima volta nel 1967, che nell’omonimo film di Mario Martone, presentato in anteprima nel 2010 proprio presso il Tetro Ducale di Cavallino e liberamente ispirato alle vicende raccontate dalla Banti. Il prof. Giannone ha evidenziato come la figura di Castromediano si imponga nel romanzo come una sorta di deuteragonista dell’opera, per lo spazio dedicatogli e per il risalto che la sua coerenza di ideali assume nella narrazione, al punto che il protagonista Domenico Lopresti, democratico e repubblicano, cui la scrittrice attribuisce anacronisticamente idee vicine al socialismo, giunge a definirlo “il più leale fra noi”, una persona verso cui riversare il bisogno umano di affetto, nonostante i due fossero ideologicamente molto distanti, in quanto il duca di Cavallino era a favore della monarchia dei Savoia.
Nel corso della serata, sono stati letti dai membri della Compagnia Teatrale “La Busacca”, diretta da Francesco Piccolo, alcuni brani tratti da Noi credevamo e da Carceri e galere politiche. Memorie del duca S. Castromediano, riguardanti i momenti salienti delle vicissitudini affrontate in prigione dai patrioti: le loro reazioni di fronte alle catene cui erano legati, che li rendeva bruti, quasi al rango di bestie; l’“ora più perigliosa” della vita di Castromediano, quando gli fu proposto di chiedere la grazia al re, venendo considerato un traditore dai compagni di cella; gli spaventosi festeggiamenti pasquali, quando le guardie picchiarono e minacciarono i carcerati perché pensavano che stessero progettando una fuga, a causa di un rumore metallico che in realtà era stato provocato da Lopresti nel grattare il formaggio.
Il prof. Gouchan, dopo aver delineato un veloce ritratto di Anna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti, moglie del critico d’arte Roberto Longhi con cui fondò la rivista «Paragone», ha preso in prestito le parole dello storico francese Gilles Pécout, secondo il quale il Risorgimento dovrebbe essere letto su due livelli, ben visibili nel romanzo: quello degli ideali e dei fattori politici e quello delle realizzazioni e delle delusioni. La Banti, nell’ideare Noi credevamo, era animata dalla volontà di scrivere una storia familiare perché Domenico Lopresti era un suo avo, di cui legge alcuni ricordi e alcune lettere. Il protagonista del romanzo, scritto in prima persona, è un uomo anziano, originario della Calabria ma costretto a vivere in una Torino che disprezza, che decide di mettere su carta le sue “memorie disilluse che non serviranno ai posteri”, un flusso fra passato e presente, simile alle Confessioni di un ottuagenario di Nievo, raccontando le sue avventure nelle peggiori prigioni borboniche per aver partecipato ai moti insurrezionali per dar vita a un Paese unito. Dalla sua narrazione emerge un personaggio sfiduciato della vita, tradito dalla realtà politica dei suoi tempi, pessimista per aver assistito alla trasformazione dell’Italia da “popputa donna a smunta schiava”, un carattere spesso controcorrente che lo aveva caratterizzato anche da giovane, rendendolo a momenti scontroso, ma sempre sorretto da un’accanita speranza di giustizia. La Banti mette mano a quest’opera in un periodo, gli anni Sessanta, in cui si fa luce sulla storia risorgimentale, grazie anche alla pubblicazione de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e de La battaglia soda di Luciano Bianciardi, sicure letture dell’autrice. Sono state soprattutto le Memorie di Castromediano a essere tenute in grande considerazione dalla Banti – la cui prosa risente dell’influsso di uno dei suoi modelli preferiti, Virginia Woolf – per ricavare materiale per il suo romanzo e non è un caso, perciò, che il duca di Cavallino abbia molta più rilevanza sugli altri patrioti meridionali pur presenti, come Poerio, Musolino e Pisacane.
All’ottica maschile di Domenico si sovrappone quella prettamente femminile della Banti che dona la sua voce ai dimenticati della storia e fa terminare il romanzo con la visione di un presente lugubre per tutti che, secondo il professor Gouchan, diventa emblema non solo dello stato reale dell’Italia alla fine dell’Ottocento ma assume i caratteri di una vera e propria visione esistenziale.
Autore: Annalucia Cudazzo