Il Centro di ricerca Pens - Poesia contemporanea e Nuove Scritture è un progetto ideato e sviluppato da studenti, ricercatori indipendenti e docenti dell’Università del Salento. Il Centro, istituito nel 2016 presso il Dipartimento di Studi Umanistici, ha avviato una serie di attività che comprendono: i "Quaderni del Pens", collana open access di studi letterari pubblicata in collaborazione con ESE- Salento University Publishing; una raccolta di interventi, articoli e recensioni pubblicati sul sito del Centro; iniziative per la promozione e la diffusione della lettura (seminari, workshop, incontri con gli autori).
Call for papers
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CFP «Quaderni del PENS» vol. 7 (2024) Testi trasparenti. Metodi e prospettive della nuova narratologia
- Stato della call: chiusa.
- Termine per l’invio delle proposte: 15 maggio 2024
- Termine per l’invio degli articoli: 15 ottobre 2024
Il numero 7 (2024) della collana «Quaderni del PENS» – Centro di ricerca Poesia contemporanea e Nuove scritture intende mappare le prospettive teoriche e gli orizzonti applicativi della nuova narratologia in prosa e in poesia, con riguardo, in particolare, alla riflessione intorno ai modi di raccontare, al punto di vista autoriale, alle modalità enunciative, alla costruzione del personaggio, al nesso narratologia-cultural studies. Il fascicolo ospiterà contributi di taglio teorico, metodologico o storiografico, insieme ad altri più analitici su opere, segmenti testuali, casi di studio esemplari.
Quaderni del PENS
I Quaderni del Pens si presentano come una “officina”, uno spazio o un contenitore nel quale si raccolgono i risultati del lavoro critico svolto ogni anno dal Centro di ricerca. In particolare, la collana open access pubblica i contributi degli Atti dei seminari, dei Convegni e delle Giornate di studio promossi annualmente dal Centro; ricerche su materiale inedito, carte d’autore e scritti dispersi provenienti dagli Archivi letterari e dai Fondi di autori del Novecento; una selezione (peer review) di saggi e contributi vari. La collana è pubblicata da ESE Salento University Publishing.
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Quaderni del PENS, 6, 2023. L'esercizio dello sguardo. Poesia e immagini
È online il sesto numero dei «Quaderni del PENS», disponibile a questo link. Dopo la Premessa di Fabio Moliterni, i due saggi che aprono il fascicolo, di Francesco Muzzioli e Andrea Inglese, permettono di fissare provvisoriamente le coordinate teoriche e storico-letterarie del dialogo (o del conflitto) tra poesia e immagini nella modernità e nel sistema culturale contemporaneo. Seguono alcuni contributi sull’immagine (pittorica, fotografica e non solo) come “agente” o “innesco” poetico; sull’intreccio interartistico che si determina in un discorso “fuori formato” che punta non più, o non soltanto, alla demistificazione, alla parodia o al riuso citazionistico e straniante dei linguaggi…
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Quaderni del PENS, 5, 2022. Spettri, assenze, memorie. Il fantasma nella letteratura contemporanea
È online il quinto numero dei «Quaderni del PENS», disponibile a questo link. Il volume raccoglie numerosi contributi sul tema del fantastico e delle "presenze" fantasmatiche nella letteratura italiana moderna e contemporanea. Gli interventi, che coprono un arco temporale che va dall'Ottocento ai nostri giorni, presentano diversi approcci al tema alternando interventi di natura teorica a scritti di carattere storiografico o militante relativi a singoli casi di studio, o gruppi di autori. Dopo la premessa di Simone Giorgio, il numero si apre con una serie di saggi incentrati su autori vissuti a cavallo tra Otto e Novecento. Alberto Carli firma…
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Quaderni del PENS, 4, 2021. Archivi letterari del Novecento. Ricerche in corso
È online il quarto numero dei «Quaderni del PENS», disponibile a questo link. Il volume è dedicato alle ricerche in corso negli Archivi letterari del Novecento con particolare attenzione allo studio delle carte d'autore partendo da un’idea allargata di testualità (di fonti) e di archivio letterario inteso come «zona di transito». Dopo la premessa di Fabio Moliterni, è presente l'intervento di Luca Lenzini (Direttore della Biblioteca Umanistica dell'Università di Siena dal 1989 al 2021) sulle principali acquisizioni e attività dell’Archivio Franco Fortini. Seguono, nel seguente ordine, i saggi di Caterina Miracle sull'Archivio fotografico di Emilio Cecchi; di Maria Villano sulle …
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La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è il romanzo d’esordio dello scrittore bergamasco Alberto Ravasio, finalista della XXXIV edizione del Premio Calvino.
Il racconto prende avvio con il risveglio del protagonista che, analogamente all’incipit delle Metamorfosi di Kafka, scopre di aver subito un’assurda trasformazione. Anche in quest’occasione la mutazione è l’espediente narrativo utile a incanalare la vicenda, ma ciò che attende il protagonista è un inatteso processo di transessualizzazione. Guglielmo Sputacchiera vive il paradosso della trasformazione degli organi, acquisendo la vulva da lui tanto divinizzata e agognata fino all’ossessione, ma mai posseduta. La causa della mutazione rimane oscura anche per lo stesso protagonista che, per l’intero romanzo, è incapace di trovare una spiegazione convincente all’accaduto.
A cinque anni di distanza dall’uscita di Parigi è un desiderio, Inglese torna con il suo nuovo romanzo a sperimentare attraverso le forme narrative l’ipotesi di un congegno testuale che un tempo si sarebbe potuto definire “opera mondo”. La struttura della Vita adulta appare a prima vista più salda e convenzionale rispetto a quella volutamente sconnessa e funambolica del romanzo precedente, in quanto qui Inglese sceglie di impiegare la terza persona insieme alla tecnica del montaggio alternato nel dipanare dall’esterno il racconto delle vicende dei due protagonisti del romanzo, Tommaso e Nina. Ma è invece simmetrico e speculare il progetto di scombinare, mescolare e sovrapporre registri e direzioni delle trame, ben al di là di ogni concessione al “romanzo ben fatto” premiato o premiabile in termini di mercato: Inglese oggi è uno dei migliori scrittori in Italia capace di intrecciare il racconto del vissuto individuale con l’astrazione del pensiero critico, e dà vita, come in Parigi è un desiderio, a una forma di narrazione aperta, digressiva e centrifuga che ha l’ambizione di restituire, attraverso le forme letterarie, la totalità della nostra esperienza del mondo, la cifra del nostro contemporaneo. Le due parti nelle quali è diviso il romanzo, ad esempio, sono consacrate agli estremi temporali che cadenzano lo sviluppo dei percorsi esistenziali di Nina e Tommaso, e partono dalla primavera del 2013 per arrivare all’autunno del 2015, fino all’epilogo occupato dallo scambio epistolare tra i due protagonisti; ma questo continuum lineare è solo apparente, perché viene smentito non solo dagli andirivieni, dalle frequenti analessi e retroversioni della trama, ma anche dai titoli (riuscitissimi) dei paragrafi, sovraccarichi di massime o motti (pseudo)filosofici, stranianti ed ellittici, ambigui e allusivi, che ricordano il romanzo-saggio, umoristico e allegorico-morale del modernismo europeo o il filone picaresco con i suoi spericolati epigoni novecenteschi come il Gombrowicz di Ferdydurke (citato in epigrafe).
Con questa quinta opera Losavio si conferma poeta riconoscibile e limpido nel nostro panorama contemporaneo. Perché esiste un progress di maturazione confermato da La marmorea apparenza residua (Fallone Editore, 2019, collana ‘Il Leone Alato’) che, a nostro parere, è la sua migliore testimonianza.
Con Apri gli occhi e resisti. L’opera in versi e in prosa di Antonella Anedda (Carocci, 2020, pp. 118), Riccardo Donati riesce nel compito non semplice di restituire, con grande minuzia e avvertita acribia, il mondo letterario e speculativo della poetessa romana. Lo fa tracciando, alla stregua di una mappa ideale, le parole-sentiero di un’opera in corso che si definisce, del resto, proprio a partire dalla transitività dei suoi interrogativi, dal rapporto critico e attivo con la contingenza storica, dal tentativo di esprimere un punto di vista sulle cose mai pago di se stesso, senza tuttavia rinunciare alla ricostruzione di un significato che possa dirsi utopisticamente condiviso. Si apprezzano del lavoro di Donati l’arguzia e la cura con cui si offre al lettore un itinerario poetico ricco di sollecitazioni e aperture diverse, eppure caratterizzato da un’organicità di nessi e di problemi che disegna una coerenza non scontata per i tempi odierni.
Antonio Prete è oggi un autore, critico, comparatista che gode di stima internazionale e a cui la mia generazione deve molto: la sua appassionata curiosità ha indagato con acribia alcune delle più affascinanti firme della letteratura mondiale, Jabés, Leopardi, Baudelaire per citarne alcuni, ma si è anche generosamente riversata sull’esplorazione del sentimento (Nostalgia, 1992; Trattato della lontananza, 2008) e sull’immaginario poetico legato agli elementi naturali (Prosodia della natura, 1993). Due aspetti, questi, che sembrano avere come spontaneo approdo il suo ultimo lavoro, Torre saracena. Viaggio sentimentale nel Salento (Manni, 2018).
A galleggiare nella mente, una volta terminata la lettura di Esposizioni (edito lo scorso 2017 da Il Mulino), è uno dei poster affissi sui muri di Casarsa della Delizia nel 2002. L’artista Paul McCarthy riproduce sulla carta del suo Pasolini il corpo assassinato del poeta in una nuvola rossa di sangue che si scaglia contro il bianco dello sfondo. Quello a terra è un corpo sfigurato e parlante, che non cessa di interrogare chi si espone alla sua rappresentazione: è un corpo politico.
Tra la scrittura in versi e quella in prosa di Giovanni Bernardini c’è sempre stato uno stretto rapporto, sia per la presenza di alcuni temi in comune sia per il carattere discorsivo, prosastico della poesia che non è mai venuto meno nel corso degli anni. Anche quest’ultima raccolta, Nel buio la Parola (Monteroni di Lecce, Edizioni Esperidi, 2016) divisa in cinque sezioni, si ricollega, per evidenti affinità tematiche e ideologiche, al volumetto in prosa immediatamente precedente, Il Vecchio e l’Ombra (Dialoghetti) (2016). Qui, in venti capitoletti in forma di dialogo, Bernardini aveva esposto la sua “visione negativa” dell’esistenza umana, ispirata, come confessa egli stesso, a certi libri dell’Antico Testamento, ai tragici greci, all’amato Leopardi e ad altri pensatori più recenti, come il filosofo romeno E. M. Cioran. In un dialoghetto si definisce un “agnostico” che non possiede certezze “né di credente, né di ateo”, preferendo non pronunciarsi “dinanzi al mistero che avvolge tutto l’esistente”.
Luigi Scorrano ha svolto una lunga e apprezzata attività come critico letterario, nel corso della quale ha pubblicato numerosi studi, ben noti agli specialisti, su Dante e il dantismo novecentesco, Ariosto, d’Annunzio e su vari scrittori contemporanei, tra i quali ricordiamo almeno Alberto Bevilacqua e Cesare Giulio Viola, fatti oggetto di due monografie. Nel 2013 ha esordito come narratore con un libro di racconti, "L’uomo che guarda le stelle e altre storie di Natale", apparso presso l’Editrice Salentina di Galatina. Ora si presenta al pubblico dei lettori anche come poeta con "Scritture feriali. Poesia 2015-2016," pubblicato nel 2017 presso le Edizioni Grifo di Lecce nella collana “Prosa poesia” diretta da Antonio Resta.
Sin dal Prologo "L’ultima sillaba del verso" segna una svolta e insieme attesta una continuità con i romanzi precedenti di Luperini: una continuità perché anche in questo, attraverso la vicissitudine radicalmente individuale e privata del protagonista dell’autofiction – un professore famoso, anziano, imprigionato nella morsa di una devastante malattia – viene rappresentata, ma qui come per metonimia, la realtà di questi anni opachi e senza forma, deprivati di ogni orizzonte storico e ideale.
Nella raccolta poetica "Incontri e agguati", pubblicata nel 2015 da Mondadori, Milo De Angelis sembra calare il lettore, più volte invocato come amico, in una dimensione intima e familiare, come se volesse prenderlo per mano e condurlo in un viaggio fra ricordi e sentimenti, mettendo a nudo un io lirico che prova a riavvolgere il nastro della sua esistenza, confrontandosi col passato e preparandosi ad un impatto inevitabile con la morte.