Domenica, 02 Luglio 2023 18:21

«Nella semiosfera del tu». Su "Le estreme conseguenze" di Andrea Donaera

Scritto da Stella Schito

Accade, a volte, di imbattersi inaspettatamente nel proprio riflesso, di registrare con la coda dell’occhio un’ombra del tutto uguale, per aspetto e movenze, al ricordo che abbiamo di noi, un’ombra talmente ridotta alla sua dimensione di oggetto da rendere impossibile il riconoscimento. Tale impressione non dura più di qualche istante e, attribuendo significato all’immagine, il soggetto da frammentario torna unitario: «a partire dallo specchio scopro di essere assente dal posto in cui sono, poiché è là che mi vedo. A partire da questo sguardo che, in qualche modo, si posa su di me […] ritorno verso di me e ricomincio […] a ricostituirmi là dove sono»[1]. Queste parole, usate da Foucault per spiegare il concetto di eterotopia, sembrano riassumere il nucleo fondante dell’ultima raccolta di Andrea Donaera, Le estreme conseguenze (Le Lettere, 2023), in cui solo lo spostamento di sguardo derivato dall'osservare il proprio sé riflesso riesce a mitigare l’ingerenza di un soggetto che diventa il protagonista assoluto della scena.

Partendo da alcuni componimenti in cui il rapporto tra voce narrante e Io-riflesso è esplicitato («trovi (come eri già sicuro) solo / te nello specchio a muro» p. 14, «vedi / in ogni specchio un te sempre più astratto:» p. 22, «ti intercetti poi però nello specchio: / sei poco, fioco, vecchio:» p. 60), si può provare a spiegare il meccanismo di dislocazione o, in questo caso, di vera e propria dissociazione dell'Io presente nell’intera raccolta. L’autore, infatti, attraverso il costante utilizzo della seconda persona prende le distanze dal proprio vissuto autobiografico scongiurando il rischio di ricadere in un’eccessiva autoreferenzialità lirica: «Ti chiedi, per un attimo, / cosa o come ti sono / le camere: ti sono stanche e vuote: / ti ci trascineresti» (p. 31). Anche in questo caso il rapporto resta invariato: il soggetto riempie la scena ma, come se lo specchio fosse ancora presente, viene guardato dall'esterno. Se, di norma, l’acquisizione di un punto di vista esterno tende a garantire una visione integrale e oggettiva di un fenomeno, in Le estreme conseguenze tale assioma non è rispettato: ogni impressione appare priva di senso e l’intera raccolta è attraversata dal pensiero ossessivo di non sapere, dall’impossibilità di attribuire significato all’immagine di sé. Il tentativo di «attraversarti tutto […], fare ricognizione, riparare» (p. 48) si traduce in un processo di dissezione dell'esperienza che, sebbene non porti mai a una risposta soddisfacente, rappresenta il vero punto focale della raccolta: «perché, adesso, pensi ai morti ovunque davanti e dietro?; / non lo sai, non sai niente: ti stanca, il non sapere, sei stanco;» (p. 28).

La raccolta segue il percorso di un soggetto che tenta di ricostituirsi in un’unità dotata di senso, ma il continuo scandaglio della dimensione psichica, oltre ad eliminare la maggior parte dei referenti concreti e di ambientazioni reali, non produce altro che una sensazione di smarrimento in cui resistono solo due elementi di stabilità: la memoria e il corpo. Come dichiarato esplicitamente in un componimento («C’era: il senso: c’era: in tutti quei suoi / occhi chiari che ancora ora ti ricordi: stagliati nei corridoi gialli e grigi / di quel vostro talamo ginnasiale», p. 43), la sfera del passato sembra rappresentare quella dimensione unitaria che nel presente è andata perduta. Eppure, i ricordi e, come vedremo in seguito, il corpo non riescono a garantire una sicura acquisizione di significato, ma producono una distensione nella «catabasi vorticosa»[2] del sé. Essi sono dei punti fermi che, come una fotografia o l’immagine del proprio corpo allo specchio, riportano sulla scena la stabilità di un oggetto concreto ma perduto, ormai privo di significato: «Non sai, ma sai che sei» (p. 20).

Nella dimensione del presente, il labirintico susseguirsi di impressioni, riflessioni e suggestioni viene interrotto dall’affiorare improvviso di riferimenti corporei. Il cambio di passo del dettato poetico è sottolineato da una variazione nella sintassi e dalla presenza di un tono più assertivo: «L’hai fatto, oggi: sei riuscito a contarle: / sono state diciotto, / le pisciate:» (p. 27) e, più avanti: «hai letto che nel cervello non sono presenti i ricettori / del dolore; ti hanno detto che le cellule del cervello / crescono con il passare del tempo; pare che il cervello abbia una memoria tra i tre e i mille terabyte […]» (p. 53). Al di là dei passaggi in cui la sfera psichica e quella fisica sono giustapposte, nell’intera raccolta è costante la presenza di rimandi alla dimensione corporea spesso ridotta a singoli elementi come le mani o le «labbra annerite». In una sorta di processo di somatizzazione, il malessere esistenziale, non trovando spiegazione all’interno della psiche, riemerge in superficie e il corpo, nella sua solidità di oggetto, diventa il paesaggio del malessere psicologico: «se qualcosa sei lo sei solo in superfice: / sei solo la tua mano: tocchi la tazza: è fredda, / la scuoti per sentirne lo spazio dentro, il vuoto» (p. 62).

Se il tema della perdita d’identità è sempre stato familiare alla poesia, la scelta di mettere al centro l’indagine del proprio Io si pone in controtendenza rispetto alle istanze di annullamento del soggetto proprie della cosiddetta era post-lirica. Tuttavia, la ripresa di centralità del soggetto non implica un ritorno allo statuto lirico: la dissociazione tra Io-narrante e Io-percipiente e gli stessi caratteri interni alla tipologia di soggetto (frammentarietà, incomprensibilità e dissociazione) impediscono qualsivoglia affermazione di verità smorzando ogni tensione retorica o patetica presente nella verticalità dell’Io lirico tradizionalmente inteso.

Donaera scommette sulla possibilità di sperimentare una nuova forma di comunicabilità che, anziché annullare il soggetto, punti sulla messa in comune della propria esperienza personale riuscendo, anche attraverso l’uso di toni forti dal colorito espressionistico, a indurre un processo di riconoscimento nel lettore.

 


 

[1] M. FOUCAULT, Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli, 2006, pag. 14.

[2] Si fa riferimento al testo presente nel risvolto di sinistra di Le estreme conseguenze..