La poesia di Gerardo Trisolino oscilla costantemente tra due poli: l’io e il mondo, la dimensione privata e quella pubblica, il ripiegamento interiore e la riflessione sul reale, sulla storia, sulla società. "Odio Ménière" ricalca questo schema bipolare nelle sezioni in cui è articolata: la sfera intima, privata dell’autore che, giunto a una certa fase della sua vita, fa una sorta di bilancio esistenziale; gli aspetti e i problemi della società odierna ma anche del recente passato. Infine, quasi come una pausa tra questi due momenti, si colloca Poesie alla macchia, una riflessione sulla poesia e sul posto che essa occupa nel mondo d’oggi.

Il neocapitalismo è come l'aria che ogni giorno respiriamo, quasi senza farci più caso; e pochi si soffermano a riflettere sulla qualità dell'ossigeno che immettono nei loro polmoni. Pasolini, invece, si ostina a ripetere che quest'aria è appestata; e, siccome non riesce a far sentire le proprie ragioni, finisce per urlare come un ossesso, forse anche per espellere tutte le tossine che ha in corpo, e correndo consapevolmente il rischio di rimanere asfissiato.

Pubblicata nel 2007, Cento poesie d’amore a Ladyhawke è la prima (e finora unica) raccolta poetica di Michele Mari (1955), narratore tra i più stimati del panorama italiano contemporaneo. Il libello, edito da Einaudi tra i suoi bianchi, ha riscosso un successo crescente nel corso degli anni, soprattutto in rete, dove ha cominciato a circolare tra i più giovani grazie anche alla natura stessa dell’opera, costituita da cento poesie più o meno brevi che si prestano bene al passaparola e alla mania citazionista che è tanto diffusa sui social network. Eppure, questo tipo di successo pop non rende giustizia alla raccolta, che presa nella sua interezza tradisce l’animo da narratore di Mari: la raccolta è infatti un canzoniere sul tema amoroso, o meglio, su una particolare storia d’amore che si evince essere sbocciata ai tempi del liceo e proseguita clandestinamente nel corso degli anni, sebbene il sentimento verso l’amata non fosse propriamente corrisposto.

Vangelo Elementare di Gianluca Furnari è un libro che sorprende per la maturità stilistica e contenutistica dimostrata da un ragazzo così giovane (classe 1993). Anche Giuseppe Conte, nella breve lettera che funge da prefazione all’opera, ha dovuto ammettere: «lei ha scritto versi bellissimi. Vista la sua età, sono versi miracolosi».

Furnari esplora un universo d’albori, luci fioche e penombre. Un universo, a tratti inquietante, in cui «il buio si addens[a] in forme ostili» e le giornate scorrono «senza evento», negando al vivere ogni significazione. Furnari si muove in questo spazio «nella speranza che la luce a un tratto si decodifichi», «che nel buio ci si apr[a] un varco» e che giunga così un significato a riempire il vuoto di una vita fatta di meri significanti. La sua ricerca pare, tuttavia, votata allo scacco: il poeta s’imbatte in una «luce non serena», che illumina un’umanità dirotta, crepitante e tormentata, senza neanche il conforto delle stigmate per «riaversi vivi».

È da poco uscito il nuovo lavoro di Renato Barilli, I narratori della generazione di mezzo. Fitzgerald, Sartre, Camus, Gombrowicz, Moravia (Mursia, 2016). In attesa di parlarne più diffusamente, pubblichiamo la recensione sui precedenti ‘capitoli’ della serie (La narrativa europea in età contemporanea, Mursia, 2014 e La narrativa dei «capitani coraggiosi», Mursia, 2015) già apparsa in «l’immaginazione», 293, maggio-giugno 2016.

Fantascienza? è uno studio ambizioso che coglie nel segno: Cassata ricostruisce, passo dopo passo, situazioni e background dell’officina delle short stories leviane, addentrandosi in una selva resa particolarmente insidiosa dai giudizi fuorvianti che hanno ricondotto la vena creativa del Levi alle sole esperienze del Lager.

Attraverso tali ricostruzioni Cassata recupera quel filo conduttore che lega Storie Naturali a Vizio di forma senza appellarsi insistentemente alla memoria del Lager. I quesiti affrontati sono numerosi: a partire da quelli più generici, legati alla definizione di una fantascienza italiana svincolata da quella americana, a quelli particolari, come la continuità o discontinuità fra i racconti delle diverse raccolte.

A oltre dieci anni di distanza dal precedente Del sangue occidentale (Lietocolle, 2005), Michelangelo Zizzi ha da poco pubblicato un poema programmaticamente inattuale e anti-moderno che ha al centro – cito dalla Nota d’autore – la sua «biografia non addizionale né minimale»: La resistenza dell’impero (Lietocolle, 2016) è un’opera coraggiosa perché deliberatamente anacronistica e Zizzi, ultimo alfiere di quella che lui stesso definisce, in maniera un po’ ribalda, linea orfico-borbonica, tiene ben saldo il timone verso il miraggio di Eleusi, anche se i venti soffiano in direzione contraria e anche se persino il suo riconosciuto maestro, Milo De Angelis, sembra prendere sempre più le distanze da un’etichetta, il neo-orfismo appunto, che si presta facilmente a equivoci e manomissioni e che, fra gli epigoni meno dotati, ha provocato delle derive imbarazzanti e un’inflazione, più che di devoti ‘innamorati’ della parola oracolare, di stalker pasticcioni.