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Sabato, 27 Maggio 2017 10:50

"Altri libertini" fra new wave e postmodernismo

Scritto da Livio Romano
Pier Vittorio Tondelli, ritratto di Graziano Origa per il mensile "Babilonia", 1992 Pier Vittorio Tondelli, ritratto di Graziano Origa per il mensile "Babilonia", 1992

Con quest'articolo concludiamo il ciclo dedicato alla figura di Pier Vittorio Tondelli, scrittore-cardine di quella "letteratura emotiva" che ha segnato la generazione postmoderna. Gli scritti di Tondelli - da Altri libertini a Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni '80 - respirano allo stesso ritmo della musica rock e new wave degli anni '70 e '80, divenendo così uno status culturale e sociale della generazione figlia della "mutazione antropologica" di cui parlava Pasolini. Raggiunta la maturità sia anagrafica che letteraria, Tondelli supera i paradigmi giovanili che avevano connotato i primi romanzi e si dedica a una personale e profonda ricerca di sé, abbandonandosi ai ricordi e alla malinconia, nel tentativo di attraversare il "tempo dell'attesa".

 

L’esordio impetuoso di Tondelli non è ascrivibile, fra le opere che in quell’anno e in quelli immediatamente successivi videro la luce, né alla letteratura generazionale-memorialistica, né totalmente al genere picaresco dei “realisti comico-grotteschi”, né alla “scrittura senza memoria”[1] già perfettamente incastrata nel mood ‘materialista’ del nuovo decennio. Non si può non appuntare, da subito, l’attenzione su quel che il libro stesso produsse nel costume italiano e su quanto in breve l’autore stesso si ritrovò a rappresentare un’icona mediatica al pari di una star musicale del pop. Si tratta di un fenomeno rintracciabile in altre epoche storiche e altre letterature – è il caso dei poeti beat americani degli anni Sessanta, o del seguito di fans ammaliati dal maledettismo di Bukowski – ma piuttosto nuovo nella storia della letteratura italiana. Al contrario dei finalisti del Calvino del 1989 nei quali Carlo Bo rinveniva l’assenza di uno “stato di necessità profonda e interiore”[2], fu subito evidente che la singolarità della scrittura di Tondelli risiedesse nell’essere, come annota Zancani, “uno scrittore amato dai giovani, che hanno risposto allo stile colloquiale dei suoi primi lavori, riconoscendovi molti degli elementi del loro linguaggio quotidiano, che comprende scurrilità, ironia, oscurità e frasi sospese.

Vi hanno inoltre riconosciuto un tentativo di sostituire le astrazioni, le ideologie e le teorizzazioni con emozioni schiette e immediate, espresse in modo diretto, quasi fisico e corporeo”[3]. Ma non solo. Possiamo affermare che Altri libertini rappresentò la prosecuzione in forma di narrativa del movimento culturale e, soprattutto, musicale che, nascendo in America alla fine degli anni Settanta e presto approdando in Inghilterra e, da lì, in tutt’Europa, è generalmente designato con l’etichetta di New wave. I lettori di Tondelli sono, insomma, gli stessi ragazzi che comprano i dischi dei Talking Heads e dei Culure Club, vanno a vedere le installazioni multimediali di Brian Eno, seguono i registi delle New Hollywood come Martin Scorsese, Brian De Palma, Robert Altman, Woody Allen, Steven Spielberg, George Lucas e Francis Ford Coppola in un immaginario comune che racchiudeva l’intero movimento in un’idea di arte totale, in cui le singole discipline vicendevolmente si influenzano. Si tratta di quella che Antonelli chiama “filologia dell’anfibio”[4], la quale “implica il risiedere di autore, lettore e interprete sullo stesso livello sincronico” e si muove con scioltezza “dentro e fuori dello specchio d’acqua che chiamiamo letteratura e, per giungere a un’adeguata interpretazione, deve indagare – accanto alle tradizioni che fanno parte del ramificato albero genealogico della narrativa – altre tradizioni, legate a forme d’espressione molto diverse e fino a poco tempo fa estranee alla scrittura letteraria”[5]Sulla mescidazione dei linguaggi, dichiara Tondelli nel libro-intervista a Picone e Panzeri:

 

Vorrei che un critico non solo facesse il giornalista o il fenomenologo, ma cercasse di capire l’orizzonte da cui nasce un testo, perché nasce in quel modo, quali sono le sue radici. Mi piace quando si scoprono degli aspetti che l’autore magari ha tralasciato o trascurato, sui quali non ha riflettuto. Mi piace quando si accostano film o canzoni ai testi, perché molto spesso molte scene nascono da lì[6].

 

Se per Giulio Mozzi, che pur spesso dichiara il suo debito nei confronti dello scrittore correggese (“Pier Vittorio Tondelli mi ha dato la parola”[7]), il problema della contaminazione dei linguaggi si risolve adottando una scrittura di stile classico, “una lingua ordinata e comprensibile nei suoi svolgimenti, nel lessico, nella scelta dei tempi verbali, nell’articolazione delle frasi […] prudente, giusta, forte e temperata”[8], Sinibaldi parte dal presupposto che l’ibridazione fra arti esista già e si chiede, semmai, se un risultato apprezzabile provenga dal tentativo di inglobare le diverse lingue nella scrittura letteraria o, al contrario, “enfatizzando il proprio linguaggio, la propria tradizione e qualità”[9].

Non vi è dubbio che di letteratura qui si argomenti e, nella fattispecie, di letteratura squisitamente italiana. I romanzi di Tondelli sono ambientati in Italia e se pure i personaggi sono in continuo movimento in una dialettica provincia/metropoli, periferia/centro, Italia/ Europa/Stati Uniti, “questo romanzo d’esordio”, scrive La Porta, “è però italianissimo, proprio nel suo voler esorcizzare e imbrigliare il Negativo attraverso l’enfasi, la cantabilità, gli effetti teatrali”[10].

L’obiettivo del Tondelli dell’esordio è, insomma, quello di convogliare le influenze che momentaneamente deformano lo stile “colla ricreazione del parlato, permettendo una doppia fruizione, dalla leggibilità direttamente emotiva, che segue il ritmo delle catene foniche, a un’analisi dei più livelli di scomposizione e ricomposizione della lingua o della, più frequente, inclusione esagitata di elementi di accumulo che riporta al piano del ‘laborio’”[11] sì da tenere il lettore in un continuo stato di choc derivante dall’amalgama di rime e assonanze, sincopi e flussi, gergo e tensione a “rubar matite a tutti”[12] che mette sullo stesso piano autore, narratore e lettore, tutti coinvolti nello “scarabocchiare” e nel “mescolarsi nei mille rivoli di un parlato in creazione, costantemente relazionato con elementi colti, in un impasto che non perde mai la sua carica aggressiva, comica e ludica”[13].

È una scrittura squisitamente postmoderna la quale, secondo Antonelli, “antepone la retorica alla semantica e il significante al significato, e – in un quadro di sostanziale degerarchizzazione tra i generi e i registri – è soggetta a un arricchimento caotico (anarchia, combinazione), orientato soprattutto in direzione orizzontale (metonimia, sintagmaticità, paratassi), ovvero sviluppato in superficie più che in profondità (con conseguente prevalere del gioco e dell’ironia)”[14]. Cionondimeno, il saccheggio dell’oralità, dei dialetti, delle lingue del passato e del presente non si tramuta, come suggerirebbe Barilli, in una “presa diretta della realtà”[15], in una “registrazione col magnetofono”[16]. È una prosa, quella inaugurata da Altri libertini, originalissima, lavorata con grandissima consapevolezza linguistica in modo da raggiungere, dopo tagli, tentativi e riscritture operate con cura da castoro (“qualità faticosissime e per niente spontanee”[17]), questo libertinismo linguistico che, pur dotato “di una certa dose di populismo”[18] scandalizzò i contemporanei e resta efficace a distanza di trentasette anni. Nel libro-intervista di Picone e Panzeri, Tondelli minimizza questa propensione a una sorta di pastiche musicale che privilegia l’uso delle coordinate e dell’asindeto a discapito delle subordinate, di onomatopee fumettistiche così come univerbazioni di espressioni del parlato (“primaoppoi”), latinismi e aulicismi che, accrescendo il tono beffardo della narrazione, ne aumentano la sfrontatezza ma anche la complessità linguistica:

 

Altri libertini è scaturito così da un forte desiderio, quasi feroce, di una persona abbastanza giovane che cercava di comunicare con gli altri non avendo altro modo per poterlo fare. O, più profondamente, l’espressione di una volontà di potenza imbrigliata da sempre. […] i timidi per parlare al mondo hanno bisogno di passare attraverso lo scandalo o un grande clamore[19].

 

È tuttavia di palmare evidenza quanto qui lavori la ‘funzione-Gadda’ che a fasi alterne riemerge nella storia della letteratura italiana, la quale fa citare a Carnero il passo di Barthes che pare perfettamente adattarsi alla lingua di Altri libertini: “E veramente un testo paradisiaco, utopico (senza luogo), un’eterologia per pienezza: tutti i significati ci sono e fanno centro; l’autore (il lettore) sembra loro dire: vi amo tutti (parole, modi, frasi, aggettivi, rotture: alla rinfusa: i segni e i miraggi di oggetti che questi rappresentano); una sorta di francescanesimo chiama tutte le parole a posarsi, accalcarsi, ripartire: testo marezzato, screziato; siamo colmati dal linguaggio come bambini a cui non venga mai rifiutato nulla, né rimproverato, o, peggio ancora, ‘permesso’. È la scommessa di un’esultanza continua, l’istante in cui, per l’eccesso, il piacere verbale soffoca e vacilla nel godimento”[20].

In questa tensione di desiderio e verità il tono, alternando momenti svagati, ameni, irriverenti, ad altri dolenti, melanconici, sperduti, si inserisce all’interno di un periodare costellato di anacoluti, modellato su livelli gergali, neologismi e parole straniere con grafie italianizzate in una coltissima mimesi lessicale e sintattica del parlato che era già stata esposta programmaticamente, nel 1979, da Palandri nel suo Boccalone:

 

Devo riuscire a rompere la catena grammaticale legata alla prima persona e ai tempi passati […] mi servono modi e costrutti sintattici di movimento, che mostrino la confusione dalla parte della confusione […] credo sia utile evitare le decisioni, trovare i buchi nell’ordine del discorso e di là far scappare il senso, la costruzione della frase; la lingua ha dei punti deboli nel gusto, come la ripetizione ad esempio, in cui musicalità e senso divergono fino a trovarsi su due fronti antitetici[21].

 

Il lavoro linguistico in Altri libertini è così determinante che Giuseppe Bonura scrive che i “personaggi [sono] una conseguenza della scelta del linguaggio, e non viceversa (ammesso che si possano separare le due cose)”[22].
Le caratteristiche tematiche e linguistiche di Altri libertini (l’attenzione della narrazione sulle cose quotidiane, il linguaggio parlato, la descrizione degli avvenimenti minimi, privati, di ogni giorno) ci permettono, inoltre, entro certi limiti, di mettere in relazione questo romanzo anche con un’altra tendenza del Novecento: quella del minimalismo o, per la precisione, del “post o neominimalismo”, come lo definisce Fernanda Pivano[23], ossia quell’ondata di scrittori che appaiono e pubblicano le loro prime opere negli anni Ottanta e appartengono, dunque, a una generazione successiva a quella di Raymond Carver, Ann Beattie, Mary Robison. Infatti, come nelle opere (neo)minimaliste –quelle di Bret Easton Ellis, David Leavitt, Jay Mcinerney, uscite però solo parecchi anni più tardi del romanzo d’esordio tondelliano– anche in Altri libertini c’è una preponderanza dei fatti minimi, anche qui “[i] personaggi sono quello che fanno e la morale è implicita nell’azione e nel gesto”[24], mentre le “unità di base della narrativa [sono] i framment[i] esistenzial[i] [...] assunti come degli assoluti”[25]. Rifacendoci a queste caratteristiche potremmo perciò asserire che Tondelli è stato, in un certo senso, colui il quale “ha anticipato la moda [...] del cosiddetto minimalismo americano”[26], ma solo da un punto di vista strettamente tematico, se è vero che caratteristica degli scrittori minimalisti americani è l’adozione di un punto di vista iperoggettivo, a focalizzazione totalmente esterna, poverissimo di aggettivi e avverbi ma acutissimo nel rilevare dettagli visivi delle ambientazioni e dei personaggi.

 

 

[1] S. Tani, Il romanzo di ritorno. Dal romanzo medio degli anni Sessanta alla giovane narrativa degli anni Ottanta, Milano, Mursia, 1990, pp. 197-279.

[2] A. D’Agostino, Raccontare cultura: l'avventura intellettuale di "Tuttolibri". 1975-2011, Roma, Donzelli editore, 2011, p. 67.

[3] D. Zancani, Pier Vittorio Tondelli. The Calm After the Storm in Zygmunt B. Baranski & Lino Pertile, The New Italian Novel. Edinburgh, Edinburgh U. P., 1993, p. 221.

[4] G. Antonelli, Lingua ipermedia. Le parole di scrittore oggi in Italia, Lecce, Manni 2006, p. 80.

[5] Ibidem.

[6] F. Panzeri - G. Picone, Tondelli, il mestiere di scrivere, Bompiani, Milano 2001, p.75.

[7] G. Mozzi, Parole private dette in pubblico. Conversazioni e racconti sullo scrivere, Ravenna Fernandel, 2002, p. 12.

[8] Ivi, p. 46.

[9] M. Sinibaldi, So glad to grow older, in Panta n° 9, Bompiani, Milano 1992, p. 90.

[10] F. La Porta, La nuova letteratura italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, Bollati Boringhieri, Milano 1995 , p. 265.

[11] E. Santangelo, Il comico del confine in Comico Viaggio Identità Limite, Guaraldi, Reggio Emilia 2013, p. 50.

[12] P.V. Tondelli, Altri libertini, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 57.

[13] E. Santangelo, Il comico…, cit., p. 53.

[14] G. Antonelli, Lingua ipermedia…, cit., p. 60.

[15] R. Barilli (a cura di), È arrivata la nuova ondata: dalla neo alla neo-neoavanguardia, Narrative Invaders: Narratori di Ricercare 1993-1999, Torino: Testo & immagine, 2000, p. 137.

[16] Ibidem.

[17] Panzeri - Picone, Tondelli, il mestiere di scrivere, cit., p. 178.

[18] Antonelli, Lingua ipermedia, cit., p.71.

[19] Panzeri - Picone, Tondelli, il mestiere di scrivere, cit., p. 181.

[20] R. Barthes, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975, p. 8, citato da R. Carnero, Lo spazio emozionale, Novara, Interlinea, 1998, p. 43.

[21] E. Palandri, Boccalone. Storia vera piena di bugie, Feltrinelli, Milano 1988, p. 19.

[22] G. Bonura, Tondelli tra stile e prosa, in «Panta», n. 9, Milano, Bompiani, 1992, p. 33.

[23] F. Pivano, Minimalisti e postminimalisti hemingwayani, Postfazione a B.E. Ellis, Meno di zero, Napoli, Tullio Pironti, 1986, pp. 219.

[24] G. Bonura, Tondelli tra stile e prosa, cit., p.31.

[25] Ivi, p. 34.

[26] Ivi, p. 31.

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