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Giovedì, 08 Dicembre 2016 14:14

Il canone Barilli: recensione a "I narratori della generazione di mezzo"

Scritto da Simone Giorgino

È da poco uscito il nuovo lavoro di Renato Barilli, I narratori della generazione di mezzo. Fitzgerald, Sartre, Camus, Gombrowicz, Moravia (Mursia, 2016). In attesa di parlarne più diffusamente, pubblichiamo la recensione sui precedenti ‘capitoli’ della serie (La narrativa europea in età contemporanea, Mursia, 2014 e La narrativa dei «capitani coraggiosi», Mursia, 2015) già apparsa in «l’immaginazione», 293, maggio-giugno 2016.

 

Oltre a essere un testimone diretto della nostra recente storia artistica e letteraria, Renato Barilliè un militante «coraggioso» – prendo in prestito l’aggettivo da lui scelto per il titolo del suo ultimo libro, La narrativa dei «capitani coraggiosi». Conrad, Malraux, Saint-Exupéry, Hemingway, Silone, Malaparte (Mursia, 2015) –cioè un intellettuale da sempre in prima linea, attratto e incuriosito dalle espressioni artistiche più sperimentali: ha partecipato al Gruppo ’63, coté teorico-critico; ha dato la sua benedizione alla ‘Gioventù cannibale’ e al Gruppo ’93; i suoi laboratori di scrittura, RicercaRe e RicercaBo, sono stati una palestra per tanti talenti che si sono poi affermati nel panorama letterario non solo nazionale, ecc.Dai suoi numerosi interventi– compresa la rubrica “pollice recto / pollice verso” su questa rivista – traspare il piacere di esercitare il mestiere del critico, di confrontarsi, discutere e proporre, senza la paura di prendere, a volte,posizioni non allineate e in qualche modo eretiche nei confronti di alcuni mostri sacri (per esempio il suo Gadda troppo allettato dalle sirene dell’espressionismo, oppure il suo Pasolini ritenuto espressione di una letteratura ancora preindustriale). Allievo di Luciano Anceschi e formatosi sui libri di Marshall McLuhan e Lucien Goldmann, la sua ricerca è stata sempre attenta ai rapporti tra arte e cultura materiale, mutuando da quei maestri le nozioni fondamentali di ‘eteronomia’ e ‘omologia’: «I fatti letterari – scrive Barilli nella sua Neoavanguardia italiana. Dalla nascita del “Verri” alla fine di “Quindici” (Il Mulino, 1995; n.e. Manni, 2007) – non si giustificano mai da soli ma grazie a robusti collegamenti con i fatti portanti del mondo materiale, tecnologia, economia, processi sociali».

Barilli sta ora completando un progetto ambizioso: un suo personale canone letterario, il cui primo spunto, a ben vedere, era già nel suo fortunato libro d’esordio, La barriera del naturalismo (Mursia, 1964), in cui si studiavano gli scrittori italiani che quella barriera erano riusciti a oltrepassarla, predisponendo, attraverso le loro opere, «nuove possibilità di lettura del reale». Del 1972 è il saggio dedicato a Svevo e Pirandello (La linea Svevo-Pirandello, Mursia), due grandi scrittori che, anche attraverso l’apertura alla psicoanalisi, avevano praticato la prima breccia al muro della narrativa d’ispirazione positivista e che sono quindi considerati gli alfieri, in Italia, della cultura contemporanea. Più recentemente, Barilli ha ripreso le fila di quel discorso (Dal Boccaccio al Verga. La narrativa italiana in età moderna, Bompiani, 2003) e ha anche allargato il suo orizzonte alla narrativa europea: nel 2010 esce, appunto, La narrativa europea in età moderna. Da Defoe a Tolstoj (Bompiani), seguito, pochi anni dopo, da La narrativa europea in età contemporanea. Cechov, Joyce, Proust, Woolf, Musil (2014). Le fondamenta della contemporaneità letteraria vanno cercate, secondo Barilli, in una decisiva mutazione che non è solo di ordine estetico e filosofico, ma anche antropologico: il passaggio, cioè, dall’homo oeconomicus all’homo epistemologicus. Se, nel primo caso, il sistema di riferimento degli autori era la filosofia e la critica positivista (Sainte Beuve), e i personaggi venivano rappresentati sotto un profilo essenzialmente ‘economico’e utilitaristico (la lotta per il successo, i fallimenti, le miserie, ecc..), nel secondo si andavano insinuando le inquietudini del pensiero contemporaneo (e quindi James, Bergson, Bradley, Husserl, Mach e ovviamente Freud), e i personaggi venivano indagati nel profondo della loro soggettività, fin nei punti più oscuri del loro inconscio, e sulla base di criteri, per dir così, ‘antieconomici’ e fenomenologici. Partendo proprio da questi presupposti, Barilli guida il lettore in un tour fra le principali ‘cattedrali’ della letteratura europea contemporanea, senza badare alle riserve e ai sospetti della critica lukacsiana più intransigente che vedeva preannunciarsi in quei capolavori l’abdicazione della funzione civile della letteratura.

Nel suo ultimo lavoro, La narrativa dei «capitani coraggiosi», Barilli raggruppa sei scrittori che, pur ‘abitando’ a tutti gli effetti la contemporaneità, hanno però caratteristiche difficilmente accostabili a quelle degli autori di cui si era occupato nel libro precedente: non si soffermano su minuziose analisi della vita interiore dei loro eroi, e al concetto di Dasein o di Lebenswelt preferiscono piuttosto quello heideggeriano di «essere per la morte». Si tratta, cioè, di un’agguerrita pattuglia di scrittori che, a differenza dei “fab five” (Joyce & co.), non rifuggono l’impegno e il confronto con i grandi fatti della Storia, vivono di azione, perseguono la “bella morte”, sono avventurieri, aviatori e navigatori, reporter di guerra, rivoluzionari, insomma uomini inquieti che«non muoiono nel loro letto».L’ultimo capitolo del canone Barilli, si arricchisce dunque dei capolavori di sei grandi autori: Conrad, capostipite dei «capitani coraggiosi» nonché precursore della grande narrativa europea contemporanea; Marlaux, che nella Condizione umana racconta con indiscutibile fascino la rivoluzione cinese; Saint-Exupéry, già definito, per le sue spericolate imprese aviatorie di Pilota di guerra, il Conrad dei cieli; Hemingway, straordinario esempio di reporter di guerra; Silone e i suoi eroi che si battono per la causa dei cafoni e infine Malaparte –cronista di guerra forse un po’ meno temerario di Hemingway ma dotato comunque di una straordinaria consapevolezza storiografica – che in Viva Caporetto prende le parti dei fanti (i suoi santi maledetti) contro la codarda arroganza degli ufficiali che li mandarono al massacro.

 

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