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Lunedì, 23 Aprile 2018 11:23

Il corpo politico. Su "Esposizioni. Pasolini, Foucault e l’esercizio della verità" di Marco A. Bazzocchi

Scritto da Davide De Rei
"Pasolini", P. McCarthy, 2002 "Pasolini", P. McCarthy, 2002

A galleggiare nella mente, una volta terminata la lettura di Esposizioni (edito lo scorso 2017 da Il Mulino), è uno dei poster affissi sui muri di Casarsa della Delizia nel 2002. L’artista Paul McCarthy riproduce sulla carta del suo Pasolini il corpo assassinato del poeta in una nuvola rossa di sangue che si scaglia contro il bianco dello sfondo.  Quello a terra è un corpo sfigurato e parlante, che non cessa di interrogare chi si espone alla sua rappresentazione: è un corpo politico.

Riprendendo le fila di un discorso nodale nella produzione del suo autore (basti citare Pier Paolo Pasolini e I burattini filosofi, entrambi editi da Bruno Mondadori), il testo in questione indaga in particolare la produzione dell’ultimo Pasolini, interrogando di continuo quella precedente e sovrapponendola tutta alle numerose intuizioni che in quegli stessi anni stava maturando filosoficamente  Michel Foucault, soprattutto riguardo all’esposizione dei corpi come strumento privilegiato per l’accesso alla verità sul presente.

Con la consueta chiarezza, dall’analisi problematica della produzione pasoliniana degli Anni Settanta Bazzocchi riesce a far emergere il ritratto di un autore profondamente consapevole del rischio che corre (insieme alle sue opere) nell’esposizione di quel bio-potere non più (solo) disciplinare e repressivo, ma ormai in grado, in modo pervasivo, di costruire i corpi e i modi fondamentali della stessa vita: il Nuovo Potere sta inesorabilmente assorbendo e regolarizzando anche l’intellettuale friulano. Il Pasolini di Petrolio e di Salò non è più dunque esclusivamente “corsaro”, ma assume le caratteristiche di un vero e proprio sabotatore insofferente, alla ricerca di nuove forme espressive:

Se queste opere [con riferimento particolare a Petrolio e Salò, ndr] sono scritte secondo una logica che le rende indefinibili, lui stesso sembra ormai imprendibile, aereo, sfuggente. Sempre da un’altra parte rispetto al luogo in cui lo cerchiamo, tutte le gabbie che costruisce intorno a se stesso non riescono a tenerlo fermo.[1]

Mutuando ancora dal filosofo francese, Pasolini diviene, insieme alle sue opere magmatiche, un architetto di eterotopie, un organizzatore di spazi-altri, cioè di zone vuote all’interno delle quali sono sospese tutte le regole del Potere ufficiale e, potremmo aggiungere, della tradizione trascorsa (Bazzocchi li definisce appunto controspazi): all’interno di ciascuno di questi non-luoghi ogni invenzione stilistica diventa trasgressione, contestazione vivente.

Alla luce di tutto ciò, la lettura di Esposizioni rafforza decisamente, dove ce ne fosse bisogno ancora, la totale inesistenza di confini tra Pasolini-uomo e la sua produzione artistica: egli stesso ne emerge quasi come “opera d’arte vivente” e, contemporaneamente, imitazione della realtà stessa. Non a caso, infatti, il fuoco centrale del lavoro di Bazzocchi è proprio il concetto foucaultiano di parresia, inteso come modo del tutto particolare di dire la verità e intrecciato, inevitabilmente, alla vita stessa di chi conduce questo esercizio:

La parresia comprende un dire tutto, un dire diverso, un dire all’altro. Un dire tutto: la sessualità senza censure. Un dire diverso: le forme espressive sempre più irregolari, slabbrate e precarie. Un dire all’altro: la ricerca di un interlocutore privilegiato che possa accogliere un lascito intellettuale ormai inusuale. […] Dal legame con questo interlocutore nasce la parola estranea al potere, la parola che non vuole piegare agli altri la sua volontà.[2]

Tutta l’opera di Pasolini viene ordinata e filtrata da Bazzocchi, con Foucault al proprio fianco, alla luce di tre essenziali momenti di verità: la conversione, lo slancio improvviso in una nuova realtà che costringe inevitabilmente l’individuo a modificare se stesso. È il momento delle sue opere giovanili, del salto tra gli Anni Cinquanta e i Sessanta, con il conseguente interesse verso figure problematiche quali San Paolo e Medea. Segue poi il fondamentale momento dell’abiura, all’interno del quale il poeta rinnega le proprie posizioni precedenti, sospende il proprio giudizio e si offre a quello degli altri. A tale proposito, Bazzocchi descrive sapientemente questa delicata fase della poetica pasoliniana che trova l’acme nell’Abiura della Trilogia della vita, la quale viene, forse finalmente, analizzata come elemento di continuità necessaria sia con la produzione precedente che con quella immediatamente successiva dell’autore, piuttosto che come punto di rottura pronto a rinnegare e cassare tutto il lavoro degli anni Sessanta: non si tratta solo di una confessione, ma anche, al contempo, di un atto accusatorio contro il proprio tempo e (quindi) contro se stesso. Infine, come i peccatori cristiani raccontavano pubblicamente la loro vita mostrandosi disponibili a un cambiamento radicale, allo stesso modo Pasolini vive il momento terminale della exomologesis, liberandosi finalmente del proprio passato per consegnarlo a delle mani impreparate e totalmente diverse dalle sue: il “fascista giovane” de La nuova Gioventù è, nel medesimo tempo e senza alcuna possibilità dialettica risolutiva, realizzazione di una pedagogia impossibile e possibile punto di ri-partenza per generare una nuova comunità “materna” e orizzontale, contrapposta a quella verticalizzata e virile del Potere, e nella quale la fraternità spodesta finalmente la paternità:

La Repubblica – afferma Pasolini – deve stare dentro, nel corpo della madre. Da questo luogo santo deve nascere una nuova idea di comunità, una comunità che non sia più borghese […] ma materna, cioè comprensiva di tutto quello che i borghesi tendono a lasciar fuori: «ama i poveri, ama la loro diversità». Il corpo della madre è la Tradizione, e dentro la tradizione si collocano gli esclusi con i loro corpi e le loro voci […].[3]

Ed è proprio questa indagine sull’ultimissimo Pasolini, autore di un testamento alla ricerca disperata di una leggerezza che possa liberarlo da sé, uno dei tratti più interessanti del libro. Bazzocchi ci lascia immaginare un uomo che rifugge ogni potere, che si sottrae al suo ruolo di autore, alla ricerca di pace: dalla sua Torre di Chia, il poeta espone il proprio corpo nudo all’obiettivo di Dino Pedriali come Edipo che si colloca fuori la polis e che si rinnova, in un limen di passaggio grazie al quale spera di svuotarsi di ogni paternità.            

Con questa organica struttura sullo sfondo, Esposizioni è un testo dotato di diversi accessi, come la materia increspata che prende in esame, all’interno del quale ogni concetto si rafforza e chiarisce annodandosi direttamente agli altri snodi analizzati nelle pagine precedenti: come un polittico i cui tasselli si rincorrono e sovrappongono tra loro, viene progressivamente alla luce lo sviluppo parresiastico di Pier Paolo Pasolini. I corpi diventano diverse immagini espressionistiche della realtà, come il volto stanco di Epifanio, protagonista della favola incompiuta Porno-Teo-Kolossal e deluso dalla sua fallimentare ricerca di un nuovo messia e di un qualche Paradiso. Sono raccontati i corpi mercificati dei ragazzi di Salò, manipolati fino alle conseguenze più estreme dai Signori rappresentanti del Potere. Oppure, ancora, quello festante di Ninetto, che resta sempre tale anche indossando diversi abiti di scena, e che si fa messaggero ogni volta di repentini cambiamenti in grado di mettere in crisi il flusso costante della vita. O, infine, il doppio volto dell’ingegner Carlo Valletti di Petrolio, corpo compresente della dimensione pubblica e razionale (Polis) e di quella pulsionale e anarchica (Tetis), e immagine a specchio della «mutazione antropologica della società italiana che fa della sessualità l’oggetto principale attraverso cui passa l’esercizio del potere».

Denso di questi e altri stimoli, Esposizioni è una conferma rigorosa del valore politico che assume il corpo oltraggiato di Pasolini: il libro di Bazzocchi non smette di attivare preziose domande più che risposte granitiche, vale come accesso al mondo complesso del poeta delle Ceneri, e, di riflesso, all’interpretazione del nostro contemporaneo.

 

[1] Marco A. Bazzocchi, Esposizioni, Bologna, Il Mulino, 2017, pag. 9.

[2] Ivi, pag. 11.

[3] Ivi, pag. 135.

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