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Martedì, 29 Novembre 2016 23:31

"Madre d'Inverno": Intervista a Vivian Lamarque

Scritto da Chiara Casaburi
Vivian Lamarque Vivian Lamarque

Intervista a cura di Chiara Casaburi e Andrea Donaera, realizzata in occasione della serata conclusiva della IV Edizione del "Premio Vittorio Bodini Poesia e Traduzione", svoltasi il 15 ottobre 2016 a Lecce. Vivian Lamarque ha vinto il primo premio nella sezione Poesia, con la sua ultima raccolta Madre d'inverno (Mondadori, 2016).

 

1 - Quando è stata pubblicata la sua prima raccolta aveva vent’anni, e raccontava il primo incontro con la sua madre “biologica”. Cinquant’anni dopo, in questo suo Madre d’inverno, racconta di nuovo quell’incontro, utilizzando quasi le stesse immagini, richiamando spesso i testi presenti nella prima raccolta. Questo vuol dire che, nel suo vivere questa dinamica madre-figlia, quasi nulla è cambiato? Oppure qualcosa, in questi anni, è mutato, nonostante il continuo agganciarsi con le sue prime poesie? L’essere madre a sua volta, e poi nonna, ha illuminato in qualche modo la strada per l’elaborazione del suo trauma?

 

Molto, molto  è cambiato in quel rapporto negli anni. Solo il primo incontro, di breve durata, forse una ventina di minuti, è rimasto pietrificato nella mia memoria così, immutabile, non ritoccabile.
Nell’insieme la mia storia segue un’aritmetica tutta sua, piena di errori numerici: due madri, padri volati via, nonni per sette ottavi inesistenti e per un ottavo  gravemente determinante presente (quello che decise lo stacco, l’adozione).

 

 

2 - Il suo Oscar Mondadori, del 2002, viene dedicato alla madre adottiva che compiva 90 anni. L’ultimo Madre d’inverno viene invece dedicato a sua figlia Myriam. Quanto è importante, nella sua poesia, la presenza delle donne della sua vita?

 

Nel primo tempo della mia vita sono stati dominanti i personaggi assenti, hanno divorato come nelle prime pagine delle fiabe, o almeno messo in ombra, i personaggi reali . Poi per fortuna, grazie all’analisi, ho rimesso al centro le figure che meritavano i primi piani, per prime la madre che mi ha cresciuta e la figlia Miryam, unica e prediletta.

 

 

3 - In Madre d’inverno è presente anche un testo scritto per sua nipote Micol, in cui le augura «che l’infanzia duri più che neve», e un testo per suo nipote Davide: la poesia è un qualcosa da donare, per lei? La poesia supera la dimensione del poeta?

 

È un verso che mi è caro, riesce a rappresentare  a me stessa il lento svanire  dell’infanzia; neve al sole nella poesia per Micol, linea di confine per terra e nell’aria nella poesia per Davide («con quale piede la varcherai?/ con quale spalla taglierai quell’aria?»); sì la poesia è anche un dono (vedi i versi di Testamento, nell’Oscar Poesie 1972-2002).

 

 

4 - L’ultima sezione di Madre d’inverno si chiama “Coinquilina poesia”: com’è stata la sua convivenza con la poesia? È stato – ed è – un rapporto pacifico o conflittuale?

 

Come dico nella poesia, è una coinquilina «poco prevedibile / quando lei decide (più se piove / che se non piove) io corro / a prendere gomma e matita / e il duetto ha inizio.» L’anno 1972 fu l’anno in cui ne scrissi di più, 245. Se scrivere può essere terapeutico, scrivere troppo può ammalare. Può far perdere il contatto con la realtà, «la realtà era abdicata / splendidissima regnava la vita immaginata.» Ci vollero lunghi anni di analisi con lo junghiano Dott. B.M. per ristabilire «l’inutile linea di confine.» Il mio rapporto con la coinquilina è buono. Quando non mi invia poesie sta comunque in silenzio facendo scorta di parole. Dopo l’uscita, ad aprile, di Madre d’inverno, si è scatenata quasi come ai vecchi tempi, quasi come nel ’72, poesie d’amore (“da vecchia”) una dietro l’altra.

 

 

5 - Un tema molto sentito in Madre d’inverno è quello della dimenticanza, dell’oblio. La memoria diventa nebbia, si cominciano a dimenticare i nomi delle persone, poi i nomi delle cose, fino a ritornare come bambini, senza essere più in grado di pronunciare le parole. La spaventa, questa nebbia? Cosa tema possa offuscare?

 

Al contrario mi spaventa la fine della nebbia! Vedere le cose come stanno e non come me le invento. Vedere le pecche della casa di fronte e dell’amore di fronte. Ricordare troppo lucidamente. Sono così belli i ricordi un po’... sbagliati.

 

 

6 - «Le persone non muoiono/rimangono incantate»: è la poesia che può questo incantesimo?

 

Chissà, certo ci prova e a volte ci riesce, giriamo una pagina e di là ci aspettano i cari volati via eppure ancora lì, tutti in fila, proprio come allora, come prima.

 

 

7 - In quasi tutte le sue raccolte i tuoi testi partono da un «banale quotidiano» fino ad ampliarsi, nel corso del componimento, in aperture taglienti, spesso dolorose. In Madre d’inverno tutto ciò è quasi norma: la madre viene ricordata nei bottoni, nelle perle che cadono dalle collane, nella burocrazia, nella urina «d’oro» in ospedale, nella calligrafia... fino a scivolare in un riflettersi spiazzante e semplicemente dolenti. Crede sia necessario, per la poesia di oggi, attingere maggiormente a questo «banale quotidiano»?

 

No, le stazioni di partenza meglio siano tante e lontane tra loro. La mia spesso, non sempre, è quella; per fortuna molto diverse quelle di altri. Come ho scritto: «siamo piccole voci / per un coro grande» .

 

 

8 - Il finale di Madre d’inverno è molto positivo, con un testo in cui si augura che le poesie cambino, un poco, il mondo, «come un nevicare lento lento lento»: è anche un modo per chiedere alle persone di leggere più poesia?

 

Sì, la penultima poesia apre alla speranza, nonostante io senta molto presente il «forse» del primo verso, e anzi, nelle molte varianti che sto preparando per le prossime ristampe, di «forse» ne sono previsti di più; (già che ci sono ti dico che tengo molto alla correzione della poesia Le Posizioni del dolore (pag. 13); cioè per sottolineare la bellezza degli anagrammi “vene” “neve”, nel secondo e terzo verso li ho ravvicinati uno sotto l’altro, spostando il “così” dopo “macchiarti”); tornando all’apertura della  penultima poesia, è un po’ frenata dal «litigare» dell’ultima.
Sì, leggere più poesia, più prosa, più prati e cieli, e litigare di meno, (e giocare meno alla guerra, signori governanti – scusa, Andrea, la semplificazione).

 

 

 

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