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Giovedì, 25 Gennaio 2018 07:00

Osservare le cose. Su Ron Padgett

Scritto da Andrea Donaera
"Paterson" (2016), scritto e diretto da Jim Jarmusch "Paterson" (2016), scritto e diretto da Jim Jarmusch

Ron Padgett è nato nel 1942 a Tulsa in Oklahoma. Poeta, saggista, redattore e traduttore, fin da giovanissimo è stato attivo nel mondo della scrittura e dell’editoria fondando negli anni del liceo la rivista d’avanguardia «The White Dove Review» insieme a Joe Brainard e Dick Gallup. Nel 1960 si trasferisce a New York per gli studi universitari e nel 1965 vince una borsa di studio a Parigi, dove entra in contatto con poeti francesi e inizia l’attività di traduzione (ha tradotto Blaise Cendrars e Guillame Apollinaire). Ritornato a New York, diviene parte integrante della seconda generazione dei New York School Poets. È autore di oltre venti raccolte poetiche, tra cui Great Balls of Fire (1969), You Never Know(2001), How to be Perfect (2007), How Long (2011) e Collected Poems (2013), quest’ultima vincitrice del prestigioso L.A. Times Book Prize. Nel film Paterson (2016) di Jim Jarmusch vengono lette alcune sue poesie.

Le poesie qui presentate sono state tradotte da Riccardo Frolloni, Direttore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna.

Si ringrazia la casa editrice Coffe House Press di Minneapolis (http://www.coffeehousepress.org/) per aver concesso la pubblicazione dei testi di Ron Padgett. 

 

 

«Questi americani hanno inventato un nuovo modo di bere»[1], esordiva Pavese parlando di Sinclair Lewis nel suo primo saggio dedicato alla letteratura americana. Un incipit che non è casuale, poiché mimetico dello stile degli scrittori statunitensi del primo trentennio del Novecento: Pavese prova a far suo uno stile che dismette i panni degli scrittori e critici europei, appropriandosi di quel modo autentico e senza fronzoli di fare letteratura. E oggi, nel leggere molta poesia d’oltreoceano, si comprende bene l’intenzione del giovane Pavese e vengono ancora in mente le sue parole e la voglia di parafrasarle: se non si vuole ammettere che questi americani hanno inventato un nuovo modo di fare poesia, almeno bisognerebbe dire che hanno inventato un nuovo modo di osservare le cose. 

Nel leggere i testi di autori americani del secondo Novecento e contemporanei (non solo Padgett, ma anche Mark Strand o Louise Glück[2]) ci si sente come probabilmente Pavese si deve essere sentito nel leggere per la prima volta Walt Whitman, cioè colpiti da poesie che «rovesciano in continuazione il corpo nella mente e viceversa, che mettono in moto più soggetti»[3] – soggetti che popolano i versi con le loro vite intense, creando un orizzonte fatto di corporeità e fantasia. Un esempio proprio in Padgett: «non ho mai pensato a / come sarei morto, esattamente, / finché intorno ai trenta / feci una lista mentale [...]Ora che sono ufficialmente vecchio, / anche se dentro non ufficialmente / vecchio o in qualche altra maniera, / sono stranamente allietato / dal pensiero / che lo potrei scoprire / in un futuro non troppo distante. /Ora, a pranzo». 

La poesia di Padgett risulta affascinante perché dotata di una «splendida monotonia»[4]: questo poeta ha trovato un’identità di scrittore nel suo modo di osservare le cose. Questo americano ha inventato un nuovo modo di osservare le cose – pavesianamente: attraversandole[5]. O quantomeno un modo che non è tanto diffuso nella poesia italiana. Nel film Paterson[6] (di Jim Jarmusch, del 2016) le poesie che il protagonista scrive sono componimenti di Padgett, e rappresentano molto bene un aspetto della poetica dell’autore americano.

Si tratta di testi che, partendo dall’osservare una scatola di fiammiferi o un bicchiere di birra, si concludono in riflessioni esistenziali mai criptiche, o in constatazioni sulla realtà circostante e quotidiana, spesso riguardanti la sfera sentimentale. Molto simile a quello che in Italia succede con tanta poesia pop, che è differente da tutta l’altra poesia italiana non solo perché vende quasi quanto la narrativa di genere, ma anche perché autori come Vivian Lamarque, o il Michele Mari delle Cento poesie d’amore[7], incarnano con efficacia dinamiche condivise, quasi sempre d’amore, fondandosi su spunti semplici e quotidiani, facendo del linguaggio immediato, semplice e scarno la loro cifra stilistica.

Eppure la poesia di Padgett (e di molti altri americani contemporanei) ha qualcosa in più rispetto a tante poesie di Lamarque[8] o di Mari[9]. Quello svolto da certi autori italiani è più simile all’«immenso epitalamio»[10] di cui parlava Cristina Campo a proposito della poesia di William Carlos Williams (dichiarata fonte di ispirazione di Jarmusch per la realizzazione del film Paterson): una costante connessione (elegiaca) a figure affettive e amorose, nel tentativo di sciogliere gli enigmi esistenziali più intimi dell’autore (quasi sempre attorno alla dialettica uomo/donna), attraverso una poesiache prende vita da fatti e questioni private. Tentativo che a suo modo avviene anche in Padgett, ma svolgendosi in altro modo: un «epitalamio minimo» che «gioca sul rapporto tra luogo e persona, sull’osservazione delle piccole cose, dilatata sino a farne poesia»[11].

Nel poeta dell’Oklahoma c’è infatti un approccio alla scrittura poetica che si muove through, attraverso: attraverso il linguaggio e gli oggetti di un’America che sembra «una ragazza gentile, un po’ rotondetta [...] che forse era la ragazza giusta», attraverso luoghi e persone, attraverso un qualcuno che si aspetta mentre si è fermi «a guardare / la torta ai semi di papavero nella vetrina di Baczynsky sulla Second Avenue». Ma specialmente c’è quella monotonia splendida che connota il poeta, che porta il lettore ad avere dimestichezza con la sua poesia sin da subito; un disincanto radicato ma che ancora guarda il mondo in modo vorace, raccontato (anzi: ‘appuntato’, come il Paterson del film appunta i suoi versi durante la pausa pranzo) da un soggetto che sembra essere del tutto abituato al«sorriso indifferente di Dio»[12] – raccontato da quel Jack London che aleggia su tutta la poesia di Padgett. Esattamente come la tradizione whitmaniana ha insegnato (forse l’unica vera tradizione poetica statunitense, tradizione che Padgett accoglie pienamente): un vivere da pionieri, liberandosi di un mondo per cercane un altro – rimosso, antico, wild: «E qui / in montagna, di notte, / il mio marmocchio dice, / “Le mie dita tremano quando ho paura. / Ma non i piedi. / Sono più coraggiosi delle mani”».

 

da Poems I guess I wrote (2001)

 

Poem to John Berryman

 

I got that little frisson
you mentioned, and I’m from

Oklahoma, like you, went
to Columbia, like you, walked
over the bridge in
Minneapolis, the one
you waved good-bye from,
to me, I thought! I liked
your book on Stephen Crane,
saw you drunk in the Guggenheim,
left your reading at halftime:
you didn’t make it: flames
bursting against the ice,
and you went right down
into the ground, where you
are now. And here
in the mountains, at
night, my little boy says,
My fingers shiver when I’m scared.
Not my feet, though.
They’re braver than my hands.

 

 

Poesia per John Berryman

 

Ho compreso quel piccolo brivido
di cui parlavi, e io vengo
dall’Oklahoma, come te, trasferito
alla Columbia, come te, passeggiavo
lungo il ponte di
Minneapolis, quello
da cui hai lanciato un gesto addio,
a me, l’ho creduto! Mi piaceva
il tuo libro su Stephen Crane,
ti ho visto ubriaco al Guggenheim,
lasciasti il tuo reading a metà:
non ce l’hai fatta: fiamme
scoppiettanti contro il ghiaccio,
e sei andato giù dritto
dentro al suolo, dove ora
tu sei. E qui
in montagna, di notte,
il mio marmocchio dice,
Le mie dita tremano quando ho paura.
Ma non i piedi.
Sono più coraggiosi delle mani.

 


da How to be perfect (2007)

 

Nelly

 

Nelly was a girl I once knew in Brooklyn.
She was a nice girl, a bit on the heavy side,
but generous and with an easy laugh
when you tried to kiss her, which was pretty much
every minute you were with her, though
it was all in fun, there was no question
of the thing actually getting “serious,”
though when you lay in bed sweating
through the summer nights, you turned
your head toward the window and thought
about maybe she was the girl for you.

 

 

Nelly

 

Nelly era una ragazza che conobbi una volta a Brooklyn.
Era una ragazza gentile, un po’ rotondetta,
ma generosa e con la risata facile
quando provavi a baciarla, che era praticamente
ogni minuto in cui eri con lei, sebbene
fosse tutto un gioco, non c’era dubbio
sulla cosa che stava diventando “seria”,
sebbene quando steso sul letto a sudare
nelle notti d’estate, ti voltavi
verso la finestra e pensavi
che forse era la ragazza giusta.

 

 

 

Rialto

 

When my mother said Let’s go down to the Rialto
it never occurred to me that the name Rialto

was odd or from anywhere else or meant anything
other than Rialto the theater in my hometown

like the Orpheum, whose name was only a phoneme
with no trace of the god of Poetry, though

later I would learn about him and about the bridge
and realize that gods and bridges can fly invisibly

across the ocean and change their shapes and land
in one’s hometown and go on living there

until it’s time to fly again and start all over
as a perfectly clean phoneme in the heads

of the innocent and the open
on their way to the Ritz.

 

 

Rialto

 

Quando mi madre diceva Andiamo al Rialto
non mi veniva da pensare che il nome Rialto

fosse strano o venisse da qualche parte o significasse
altro da Rialto, il teatro nella mia città

come l’Orpheum, il quale nome era solo un fonema
senza alcuna traccia del dio della Poesia, sebbene

più tardi avrei saputo di lui e del ponte
e avrei capito che dèi e ponti possono volare invisibili

sull’oceano e cambiare forma e atterra
fino alla città natale di qualcuno e continua a vivere là

finché non è tempo di volare ancora e ricominciare d’accapo
come un fonema perfettamente chiaro nelle teste

degli innocenti e degli aperti
sulla strada per il Ritz.

 

 

 da How long (2011)

 

The Death Deal

Ever since that moment
when it first occurred
to me that I would die
(like everyone on earth!)
I struggled against
this eventuality, but
never thought of
how I’d die, exactly,
until around thirty
I made a mental list:
hit by car, shot
in head by random ricochet,
crushed beneath boulder,
victim of gas explosion,
head banged hard
in fall from ladder,
vaporized in plane crash
dwindling away with cancer,
and so on. I tried to think
of which I’d take
if given the choice,
and came up time
and again with He died
in his sleep.
Now that I’m officially old,
though deep inside not
old officially or otherwise,
I’m oddly almost cheered
by the thought
that I might find out
in the not too distant future.
Now for lunch.

 

 

La trattativa della morte

Mai dal primo momento
in cui mi venne
l’idea della morte
(come ognuno sulla terra!)
ho lottato contro
questa eventualità, ma
non ho mai pensato a
come sarei morto, esattamente,
finché intorno ai trenta
feci una lista mentale:
colpito da un’auto, sparato
in testa da un casuale rimbalzo,
schiacciato sotto un masso,
vittima di un’esplosione di gas,
testa sbattuta male
cadendo dalla scala,
vaporizzato in un incidente aereo,
consumato dal cancro,
e così via. Ho provato a pensare
a quale avrei scelto
se ne avessi avuto l’occasione,
e giungevo sempre
e poi sempre a E’ morto
mentre dormiva.
Ora che sono ufficialmente vecchio,
anche se dentro non ufficialmente
vecchio o in qualche altra maniera,
sono stranamente quasi allietato
dal pensiero
che lo potrei scoprire
in un futuro non troppo distante.
Ora, a pranzo.

 

 

Happy Birthday to Us

for Marcello Padgett

 

Seeing as it
is my birthday
I thought
I’d say something
cheerful
and true:
first thing
this morning
my grandson,
age now
90 days,
gave me smile
after smile
and I gave him one
for every one
he gave me.
That it’s the ninth
straight day
of rain
doesn’t matter
one whit
because
I’ve always felt
that June 17
is a special day,
a sunny,
blessèd day
I was lucky
to be born
on. And here
I am, a lucky
dog whose bark
means he’s glad
you’ve come.
It’s your birthday
too, Marcello,
because I give it
to you. Now
you have two.
I don’t
really need
one anymore.

 

 

Buon Compleanno a noi

per Marcello Padgett

 

Vederlo come
fosse il mio compleanno
pensai
di dire qualcosa
di allegro
e vero:
prima cosa
questa mattina
mio nipote,
oggi sono
90 giorni,
mi diede sorrisi
su sorrisi
e io gliene ho dato uno
per tutti quelli
che mi ha dato.
Che sia il nono
giorno di
pioggia continua
non importa
niente
perché
ho sempre sentito
che il 17 giugno
uno speciale,
soleggiato,
benedetto giorno
che ero fortunato
di esserci nato.
E qui
lo sono, un fortunato
cane il cui abbaiare
significa gratitudine
per essere venuto.
E’ anche il tuo
compleanno, Marcello,
perché lo dono
a te. Ora
ce ne hai due.
Non ho
davvero
più bisogno di uno.

 

 

da Alone and not alone (2015)

 

What Poem

 

What poem
were you thinking of,
my dear,
as you breezed out the door
in your long coat fur-tipped
at the top?
What animal
once wore that fur
and licked it
with a long, raspy tongue
that lolled to one side
in the afternoon shade?
If only you too
could lope across
the Serengeti Plain
and grab something
in your powerful jaws,
instead of pausing
at the door and saying,
as if in afterthought,
“Write a poem
while I’m out.”

 

 

A che poesia

 

A che poesia
stavi pensando,
mia cara,
quando ti volatizzasti fuori dalla porta
nel tuo cappotto lungo
col collo di pelliccia?
Che animale
un tempo vestiva quella pelliccia
e la leccava
con una ruvida lingua lunga
penzolante da un lato
nell’ombra pomeridiana?
Se solo anche tu
potessi affrettarti per
la Pianura di Serengeti
ed afferrare qualcosa
con le tue forti fauci,
invece di fermarti
alla porta e dire,
come fosse un ripensamento,
“Scrivi una poesia
mentre sono fuori”.

 


Syntactical Structures

 

It was as if
while I was driving down a one-lane dirt road
with tall pines on both sides
the landscape had a syntax
similar to that of our language
and as I moved along
a long sentence was being spoken
on the right and another on the left
and I thought
Maybe the landscape
can understand what I say too.
Ahead was a farmhouse
with children playing near the road
so I slowed down
and waved to them.
They were young enough
to smile and wave back.

 

 

Strutture sintattiche

 

Era come se
mentre stessi guidando giù per una strada stretta e bianca
con alti pini su entrambi i lati
il paesaggio avesse una sintassi
simile a quella del nostro linguaggio
e mentre mi spostavo
una lunga frase stava parlando
sulla destre ed un’altra sulla sinistra
e pensai
Forse il paesaggio
può capire anche quello che dico.
Di fronte c’era una fattoria
con bambini che giocavano vicino alla strada
così rallentai
e feci un cenno.
Erano giovani abbastanza
da sorridere e ricambiare il cenno.

 

 

The Street

 

The last time I came back to New York I didn’t know
that it would be the last time you’d be here
though you are still here in the form of you
who a block away walk toward me until it isn’t you,
it’s someone with a fine head and silver hair and blue eyes
and the suggestion of not being like anyone else
and it’s you I’m waiting for as I walk past Little Poland
or come out of New York Central Art Supply or stop to look
at the poppy seed cake in the window of Baczynsky’s on Second Avenue,
the cake I brought up to your place sometimes
when we were working together and you’d say “Tea?”
as if it were spelled with only the one letter.

Knowing you were there made me be more here too,
made New York be New York,
fueled my anger at the new buildings that ruined the old ones
and at the new people with their coarseness and self-involvement
you avoided by going out to buy the Times at 5 a.m.,
then came back and made yourself a pot of espresso
and read the paper as if you were in Tuscany
which is where you soon will be
in that niche in the wall all ten pounds of you
and I’ll leave the city that’s slipped a little further away no a lot.

 

 

La Via

  

L'ultima volta che tornai a New York non sapevo

che sarebbe stata l'ultima volta che tu saresti stato qui

sebbene tu sei ancora qui nella forma di te

che un isolato lontano cammini verso di me finché non è te,

e qualcuno con una testa fine e capelli d'argento e occhi blu

e la suggestione di non essere come nessun'altro

e sei tu che sto aspettando mentre cammino davanti a Piccola Polonia

o esco da New York Central Art Supply o mi fermo a guardare

alla torta ai semi di papavero nella vetrina di Baczynsky sulla Second Avenue,

la torta che ho portato al tuo posto a volte

quando lavoravamo insieme e dicevi "Tè?"

come se fosse una lettera sola.

 

Sapere che tu fossi là mi faceva essere più qui,

faceva New York essere New York,

alimentava la mia rabbia contro i palazzi nuovi che guastavano quelli vecchi

e contro le nuove persone e la loro grossolanità e l'auto-avvolgimento

tu sfuggivi andando a comprare il Times alle cinque del mattino,

poi tornavi a facevi una tazza di caffè

e leggevi il giornale come se fossi in Toscana

che è dove sarai presto

in quella nicchia nel muro con tutti i tuoi cinque chili scarsi

ed io lascerò la città che è scivolata un po' più avanti anzi molto.

 

 

 Una clip del film Paterson di Jim Jarmusch (2016): https://www.youtube.com/watch?v=O7loYI247GU 

 

 

[1] Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi (Einaudi, Torino, 1990).

[2] Un esaustivo sguardo sulla poesia americana contemporanea è in West of your cities (Minimum Fax, Roma, 2003), antologia contenente undici autori, curata da Mark Strand, con la traduzione di Damiano Abeni.

[3] Luigi Weber, dal corso Il viaggio nelle Americhe nella letteratura italiana del Novecento (Bologna, 2017).

[4] Cfr. Gabriella Remigi, Cesare Pavese e la letteratura americana. Una «splendida monotonia» (Olschki, Firenze, 2012).

[5] Cfr. Cesare Pavese, Il mestiere di vivere (Einaudi, Torino, 2000).

[6] Un importante intervento sul film è stato scritto da Silvia Albertazzi: http://www.leparoleelecose.it/?p=25709

[7] Si nominano questi due autori facendo riferimento al loro successo sui social (cfr. la presenza degli hashtag #vivianlamarque e #michelemari su Instagram:https://www.instagram.com/explore/tags/vivianlamarque/, https://www.instagram.com/explore/tags/michelemari/) e al numero di copie vendute in Italia: il volume Poesie 1972–2002 (Mondadori, Milano, 2002) di Lamarque già nel 2012 aveva venduto circa sedicimila copie (cfr: http://poesia.blog.rainews.it/2012/06/vivian-lamarque-video-intervista/); il libro Cento poesie d’amore per Ladyhawke (Einaudi, Torino, 2007) di Mari è, a dieci anni dall’uscita, ancora tra i primi cinque libri di poesia più venduti in Italia (cfr: http://www.illibraio.it/libri-di-poesia-piu-venduti-587742/). 

[8] Cfr. la poesia inedita che Vivian Lamarque ha donato al Centro di ricerca PENS:

https://www.centropens.eu/materiali/articoli/item/17-vivian-lamarque-una-poesia-inedita

[9] Un’interessante analisi del successo pop di Mari poeta è stata realizzata da Simone Giorgio: https://www.centropens.eu/materiali/recensioni/item/28-cento-poesie-amore-ladyhawke-michele-mari-poeta

[10] Williams Carlos Williams, cit. in Id., Poesie, a cura di Cristina Campo, Vittorio Sereni (Einaudi, Torino, 1961).

[11] Silvia Albertazzi, Poesia come vita: da Paterson a Paterson: http://www.leparoleelecose.it/?p=25709

[12] Cfr. Jack London, Quando Dio ride (Lindau, Torino, 2017).

 

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