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Mercoledì, 01 Novembre 2017 21:05

Intervista a Manni Editori

Scritto da Carolina Tundo

Intervista di Andrea Donaera e Carolina Tundo concessa da Manni Editori nel mese di agosto 2017.

 

Nata nel 1984, la casa editrice Manni ha alle spalle oltre trent’anni di attività. Piero Manni e Anna Grazia D’Oria sono i fondatori che tuttora la dirigono, coadiuvati dalle figlie – Agnese, direttore editoriale della “Varia”, e Grazia, direttore amministrativo –, da Giancarlo Greco, responsabile progetti, e da altri collaboratori.

La loro avventura inizia con la pubblicazione della rivista bimestrale «l’immaginazione» (sul cui trecentesimo numero, uscito lo scorso agosto, campeggia in copertina un’opera realizzata per l’occasione da Emilio Isgrò e al cui interno è presente un prezioso testo inedito di Edoardo Sanguineti), seguita, nel 1985, da un’antologia che raccoglieva poesie inedite di Caproni, Leonetti, Luzi, Malerba, Pagliarani, Volponi e Zanzotto, tutti autori che continueranno a pubblicare con la casa editrice. Nello stesso anno s’inaugura anche la prima collana di saggistica, diretta ancora adesso da Romano Luperini, “La scrittura e la storia”.

La Manni ha guadagnato, nel tempo, un’autorevole posizione nel panorama dell’editoria italiana: oggi il catalogo conta oltre venti collane, a «l’immaginazione» sono state affiancate altre tre riviste, e un suo libro, Un’educazione milanese di Alberto Rollo, era nella cinquina finalista dell’ultimo Strega.

 

Vorremmo partire con una domanda sulla fondazione della casa editrice. Che progettualità c’era alla base?

Piero Manni (P.M.): In quegli anni c’era qui, nel Salento, un forte interesse intorno alla poesia e alla sperimentazione artistica in generale. C’era lo scrittore e operatore culturale salentino Antonio Verri con la sua rivista «Pensionante de’ Saraceni», c’era Arrigo Colombo con il Laboratorio di poesia; c’era, soprattutto nell’arte visiva, il gruppo Ghen… Dodaro, Massari, Gelli… Il Laboratorio di poesia di Enzo Miglietta, a Novoli, che raccoglieva esperienze da tutta Italia; c’era Piccini…

Anna Grazia D’Oria (D'O.): …Piccini, Pignotti, Isgrò. Tutti venivano qui, in Salento.

P.M.: Proprio quest’anno, Pignotti è stato invitato a Campi Salentina, dove è venuto anche Enzo Miglietta e abbiamo assistito a un incontro bellissimo, non si vedevano da almeno trent’anni. Dicevo che c’era questo dibattito forte… Noi, Anna Grazia e io, veniamo dall’impegno politico nella Sinistra, allora detta “extra parlamentare”, e poi… c’erano stati gli anni del “riflusso”, dopo il ’70, e cominciare questa attività editoriale è stato un po’ un surrogato dell’impegno politico; l’abbiamo inteso, sin dall’inizio, come impegno civile. Innanzitutto, io facevo l’insegnante e contemporaneamente lavoravo per le Edizioni Milella. Anna Grazia continuava i suoi studi di letteratura, e poi… la vicinanza di Antonio Verri. E infine, ad un certo punto… Luperini a Lecce. È stato lui che ci ha incoraggiati a iniziare.

D'O.: Avevamo cominciato con la rivista «l’immaginazione» e intanto Luperini ci fece conoscere vari scrittori, a cominciare da Fortini, e disse che ci avrebbe dato volentieri una mano a farci pubblicare dei piccoli libri di questi autori.

P.M.: Il numero uno della collana “La scrittura e la storia” – così si chiamava e così si chiama – fu Novissimum testamentum di Sanguineti, poi Mario Lunetta, Pagliarani, Malerba, Leonetti, Volponi…

 

C’è un’antologia dell’85, Segni di poesia, lingua di pace... Compaiono anche Zanzotto, Caproni, Luzi…

D'O.: Sì, quello è stato il nostro primo libro, tutte poesie inedite sul tema della pace.

P.M.: L’abbiamo ripubblicata di recente, in occasione del trentesimo anniversario della casa editrice. Si tratta di una tiratura speciale, destinata ai librai e agli operatori, con aggiunta una piccola storia della casa editrice. Insomma, così è iniziato.

 

Vorremmo approfondire la questione della militanza, anche perché ci allacciamo all’altro tema che vorremmo affrontare, che è proprio la politica editoriale che ha adottato la vostra casa editrice. Come fa a sopravvivere una casa editrice indipendente?

D'O.: Abbiamo sempre fatto gli insegnanti…!

[ridiamo tutti]

P.M.: Eravamo insegnanti e quindi avevamo i nostri stipendi, che in parte se ne andavano per la casa editrice. E comunque iniziare è facile; agli inizi trovi tanti appoggi, tanti aiuti. Ad esempio, c’era una piccola banca locale, che sin dai primi titoli acquistava un certo numero di copie. Poi all’inizio c’è l’entusiasmo, trovi appoggio e aiuto dappertutto. E poi se ci rimetti un poco di stipendio, pazienza!

D'O.: E poi non c’era una distribuzione nazionale. Spedivamo noi i libri, da casa, alle varie librerie.

 

Insomma, avevate un circuito indipendente.

P.M.: Io avevo lavorato nel campo della distribuzione, per conto di Milella, e quindi avevo già selezionato per la casa editrice una settantina di librerie in tutta Italia, che erano quelle più significative per noi, quelle a cui mandavamo i libri. Ovviamente le librerie non pagavano, non restituivano i libri. A un certo punto, nonostante avessimo pubblicato libri molto belli – non solo a mio parere, ma oggettivamente (libri che erano recensitissimi, tanto che, sulla poesia che si leggeva e di cui si discuteva, si aprì un vero e proprio dibattito) – ci accorgemmo che i libri rimanevano in casa, e allora… lanciammo un appello, un S.O.S., poiché rischiavamo di chiudere. E l’appello fu accolto da una serie di intellettuali sui giornali. Ricordo Grazia Cherchi su «L’Unità»...

 

In che periodo succedeva tutto questo?

P.M.: Tutto questo avveniva nei primissimi anni Novanta-fine degli anni Ottanta. Ricordo anche Franco Loi su «Il Sole 24Ore», Maurizio Chierici sul «Corriere della Sera». E poi, a seguito di questo, Rosanna Cancellieri, una presentatrice RAI, noto volto del TG3, ci invitò a partecipare a una trasmissione da lei condotta, Dove sono i Pirenei?, per lanciare il nostro appello.
A proposito di esperienze televisive, mi viene in mente un aneddoto su Enrica Bonaccorti e una poesia di Sanguineti, verificatosi in occasione dell’uscita del nostro primo libro, l’antologia dell’’85. Il curatore del libro – che era in stretto contatto con la RAI – fece leggere a Enrica Bonaccorti, nell’ambito di una trasmissione da lei condotta, il giorno di Pasqua del 1985, una poesia di Sanguineti compresa nell’antologia. I versi finali della poesia recitavano «guerra alle guerre è una guerra da andare, / lotta di classe è la guerra da fare», ma alla Bonaccorti sembravano troppi spinti, e quindi censurò, tagliando gli ultimi due versi…!

 

La vostra casa editrice è attenta alla poesia e alla scrittura sperimentale, di ricerca. Avete una fetta di mercato, una nicchia, vi rivolgete a un pubblico preciso?

P.M.: Ormai il pubblico della poesia non c’è più. Esiste un pubblico dello spettacolo poetico, per cui le letture di poesia sono frequentatissime, affollatissime. Ma si tratta di più che altro di spettacolo, non di poesia. Per quanto ci riguarda, vendiamo un solo autore: Alda Merini, prevalentemente per ragioni mediatiche.

Giancarlo Greco (G.G.): E anche in questo caso, dopo la sua morte, l’interesse è durato un po’, per poi scemare.

P.M.: Recentemente abbiamo pubblicato Magrelli; è appena uscito Franco Buffoni.

 

Ecco, per un appassionato di poesia, vedere che l’ultimo libro di Buffoni è stato pubblicato da Manni è un segnale forte. Significa che Manni permane.

P.M.: Sì, noi continuiamo ad avere questo forte interesse; e anzi, esplicitamente ci diciamo che è opportuno continuare a pubblicare alcuni libri di questo genere, anche perché abbiamo un’immagine che non intendiamo seppellire.

 

Ci sono dei vantaggi nell’essere un editore indipendente, dal vostro punto di vista? Ad esempio, consente di avere maggiore libertà di scelta? Forse, chi non è indipendente, non può pubblicare così tanta poesia di qualità o letteratura sperimentale.

Agnese Manni (A.M.): Io capovolgerei la domanda: che vantaggi ci sono a non essere indipendente, se non – ovviamente – quelli economici, finanziari?

P.M.: In passato c’è stato qualche tentativo di acquisizione della casa editrice da parte di alcuni grandi editori. Ma si è trattato di episodi isolati e passeggeri, di tentativi che non si sono mai concretizzati. Mancava, da parte nostra, la volontà. Io credo che lo stato naturale di una casa editrice sia quello di essere indipendente.

 

Chi, come noi, ha intenzione di leggere poesia interessante, sa di dover cercare, tra gli altri, anche i libri di Manni. Insomma, sembra che l’indipendenza sia stata, di fatto, la vostra salvezza.

A.M.: Vi dirò, la poesia ha di per sé questo statuto di genere indipendente, quindi è come se fosse fuori dal mercato, perché non c’è un mercato vero, e quello che c’è non passa in libreria, passa pochissimo – e sempre meno – sui giornali. La poesia è un “genere sui generis” dell’editoria, proprio sul piano commerciale. Ed è questo che la salva, cioè le lascia uno statuto di indipendenza, che non spetta, invece, alla saggistica, alla narrativa. Quindi, se da una parte i numeri sono bassi, dall’altra resta uno dei pochi generi in crescita sul mercato. Recentemente è stato pubblicato uno studio sul Giornale della Libreria, network di canali informativi dell’AIE, Associazione Italiana degli Editori, in cui venivano riportati dei segni ‘più’ accanto alla voce “poesia”. È vero che, negli ultimi anni, ci sono stati i fenomeni della “poesia social”, ma ci sono stati anche la stessa Alda Merini, Michele Mari, Vivian Lamarque. Anche Guido Catalano, tornando ai social. Comunque, i numeri della poesia sono in crescita. Certo, stiamo parlando dello 0,7% del sell-out in Italia, sono numeri bassissimi, ma il suo mercato è in crescita. La poesia, insomma, è di per sé indipendente.
Uno dei problemi della non-indipendenza delle case editrici – ma lo stesso vale anche in altri settori, culturali e non – è quello di dover inseguire performance economiche che non sono sostenibili dall’editoria. Con la poesia, non ci si pone questo problema: i ‘numeri’ non si raggiungerebbero comunque, e quindi, forse, si può lasciare spazio alla sperimentazione, anche ai ‘colpi di testa’!

P.M.: La poesia tende a preservare una sua ‘purezza’; la narrativa, invece, anche nei casi di scrittori che partono dalla sperimentazione, finisce col cedere alle tentazioni del mercato e dei ‘numeri’. Un esempio è quello di Malerba: i primi due romanzi, Il serpente e Salto mortale, sono eccezionali; poi Malerba va avanti e comincia a vendere decine di migliaia di copie, e i libri cominciano a essere meno buoni…

 

A proposito di qualità, saremmo curiosi di comprendere come scegliete i libri da pubblicare, quali sono i vostri criteri di selezione, se avete dei comitati di lettura…

G.G.: Si verificano due situazioni: a volte ci vengono proposti dei manoscritti – ne arrivano, in media, due-trecento all’anno – che vengono letti, in prima battuta, da Anna Grazia D’Oria, e poi inizia un iter di valutazione, che prende in considerazione la rispondenza del libro al nostro progetto editoriale, da un lato, da un punto di vista qualitativo, dall’altro, in termini di convenienza puramente commerciale (tenuto conto del fatto che ogni casa editrice è, di fatto, un’azienda, e che pertanto bisogna valutare l’investimento). Parallelamente, c’è un lavoro redazionale: programmiamo degli incontri redazionali con cadenza fissa, in cui ragionare attorno a progetti editoriali, sia che si tratti della pubblicazione di un libro, sia che si tratti di curare la nostra rete di contatti. Per esempio, la rivista [«l’immaginazione»] è uno strumento importante per il mantenimento delle relazioni con l’esterno. Spesso, infatti, prima ancora che nascano i libri, è proprio attorno a essa che hanno origine le collaborazioni.

A.M.: Per quanto riguarda la rivista, c’è una rubrica, Gammmatica, che si occupa di poesia innovativa in Italia in questi anni; ma ci sono anche moltissime collaborazioni – ad esempio quella con Cucchi – di poesia più tradizionale.

D'O.: Non è una rivista di tendenza, vuole essere un osservatorio di quello che c’è… di meglio, ecco.

 

Tra i critici più assidui c’è Renato Barilli…

P.M.: Barilli, Luperini, Prete, La Porta…

 

Giovenale…

A.M.: Sì, Giovenale è nel gruppo di Gammmatica, insieme a Zaffarano, Teti, Mariangela Gualtieri…

 

Secondo voi esiste, oggi, nel panorama italiano, qualcuno che possa portare avanti una tradizione di grandi autori, tradizione – poetica e narrativa – di cui voi siete stati partecipi e testimoni? Insomma, dal vostro ‘osservatorio’, c’è qualche nome che può entrare a far parte del futuro canone della letteratura?

P.M.: Io non so fare nomi. So una cosa: che il dibattito culturale in generale – nella letteratura, ma in tutte le scienze – è molto decaduto. È decaduto perché viviamo in una società piatta, dove la conflittualità è vista come qualcosa di negativo, come una colpa, un peccato, così che anche il dibattito si è appiattito. E si è appiattito sotto il peso del potere, che non è quello politico, ma quello del denaro, della finanza internazionale, con le articolazioni e le ripercussioni a livello nazionale e locale. Non si fa più ricerca, non è un caso che i fondi per la ricerca – anche universitaria – siano stati ridotti, sono scelte politiche consapevoli. E i libri sono sempre stati visti come “oggetti del demonio”, qualche volta anche bruciati. Insomma, è difficile fare dei nomi prima che si modifichi la situazione sociale.

 

Qualitativamente c’è stato un abbassamento di livello. Siete d’accordo?

D'O.: Io penso che questa invasione di ‘paccottiglia’ straniera che ci arriva, che va tanto di moda e che si vende moltissimo, ha contribuito ad abbassare di molto il nostro livello culturale…

 

Subentra anche la volontà di emulazione…

D'O.: Certo, è quello che si vende, è quello che gli editori chiedono… quindi quello si scrive…

A.M.: Sì, però, io vedo delle “sacche di resistenza”. Mi sembrano sempre importanti le operazioni in campo letterario; anche nel mondo dell’editoria, per esempio, c’è un movimento che fa ben sperare. Ci sono persone che fanno dei lavori d’inchiesta politica, che parlano di immigrazione e di altre grandi questioni del nostro secolo. I testi del francese Tarkos, tradotti da Zaffarano, sono bellissime poesie in prosa, sul tema del denaro, in un discorso più generale di critica al capitalismo, di analisi del potere. Quindi, secondo me, esistono ancora degli spazi di riflessione.

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