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Sabato, 29 Luglio 2017 07:00

"Sulla strada", una lezione di guida con Dean Moriarty

Scritto da Roberto Santoro

 

 

Gonna ramble on, sing my song.
Led Zeppelin

 

 

Sono passati sessant’anni dall’uscita di On the Road, la leggenda del “rotolo” interminabile e della scrittura che viaggiava rapida ai ritmi del Bebop, esattamente come le varie macchine o autocarri di fortuna impiegati nei viaggi di Neal Cassady e compagni[1]. Quando leggi Sulla strada, il bestseller di Jack Kerouac uscito negli anni Cinquanta ma che racconta l’America degli anni Quaranta, non farlo in modo scolastico, non stare a sentire i parrucconi della letteratura da salotto. Non credere a chi dice che On the road è solo un romanzo anticonformista, il simbolo di una ribellione giovanilistica, di quella gioventù bruciata alla James Dean che apre le porte ai radicalismi dei decenni successivi, un libro nichilista che ha minato le radici dello ‘standard americano’, i valori su cui si è fondata la cultura occidentale.[2]

Non è così. Non aver paura quando Dean schiaccia l’acceleratore a tavoletta, lui riesce a controllare la macchina in qualsiasi circostanza, del resto c’è nato sulla strada[3]. Non temere se il tachimetro si rompe quando Dean tira il suo bolide a centosettanta all’ora sull’interstatale, vuole soltanto metterti alla prova – riuscirete a correre fino alla fine dell’America tornando indietro sani e salvi? E non tremare se gareggia con quell’altro pazzo al volante della Buick nuova di zecca, sorpassando tre camion di fila neanche fosse sulla pista di Indianapolis; Dean Moriarty è uno spericolato, ha un codice della strada tutto suo, ma guardalo, è come il capitano Achab al timone della Pequod, il volto fisso in avanti, gli occhi nervosi che saltano indietro per controllare lo specchietto retrovisore, un continuo scalar di marce in cerca di quella “COSA”, l’anima del mondo, che si srotola come un serpente per tutto il continente e ha dentro il ritmo dolce e indiavolato del bop.[4]

Fidati del vecchio Dean. Ti ha insegnato a prendere le curve strette per uscire lunghi sul rettilineo, senza frenare. Attraverso il deserto ti ha dato dimostrazioni assolute su come guidare un gioiellino fiammante, sgommare, sterzare e inchiodare. Una volta, siete addirittura finiti in un fosso.

Ascolta la sua voce dentro di te ora che lui non c’è più: hai scoperto qualcosa di quello che eri? Chi sei diventato? Ricordi cosa c’era scritto su quei segnali che scorrevano ai lati della strada? Ricordi quando da ragazzino nella macchina di papà guardavi fuori dal finestrino e immaginavi di correre accanto all’automobile, saltando come Superman tutti gli ostacoli? Eravate persi tra l’oriente della giovinezza e l’occidente della maturità, sospesi come tutti fra la città della luce e il mondo delle ombre. Cos’è quella “COSA” che avete inseguito per così tanto tempo?

Senti la strada, sentila mentre scorre sotto di te, guardala allungarsi come un foglio dattiloscritto, tic tac, tic tac, lungo migliaia di chilometri. Guidare è come scrivere, premi sulla tastiera come fa lui sull’acceleratore, percepisci quelle lettere veloci, la ruota sinistra della Plymouth incollata alle strisce bianche, i venti centimetri di spazio che ti dividono dall’asfalto.

La purezza della strada. A bordo di una spaziosa Hudson del ’49, dentro quella magnifica Cadillac berlina da trasportare a Denver, oppure nella Ford Sedan da rottamare che ci ha portato fin giù nel Messico.

Lo sentirai imprecare come un bastardo e lo odierai, Dean Moriarty è insopportabile alla guida, ma quando ha il volante tra le mani e quattro ruote sotto i piedi è felice, ha tutto quello di cui un uomo può aver bisogno.

Senti la strada che canta, i muscoli, i nervi che si tendono per l’eccitazione della corsa. Guida, parla e scrivi.

Sulla strada non è soltanto un libro che parla di gente ‘spostata’, immatura e irresponsabile, ma un testimonianza sul valore della amicizia e della fratellanza umana. Kerouac ha impiegato anni a scrivere questa storia – serve tempo per fare i conti con l’autobiografia – e alla fine del viaggio ha capito quella COSA, che grazie a un amico, il suo grande amico Dean, poteva completare la sua educazione letteraria e sentimentale.

Cos’altro è stato questo viaggio se non «una storia poetica, triste e piena di consapevolezza, sulla solitudine, l’insicurezza e il fallimento. Una storia su dei tipi che vogliono stare con degli altri tipi»[5]. Dean ti ha insegnato che devi muoverti e andare se vuoi imparare a scrivere, che lo scopo del viaggio non è la destinazione ma attraversare la propria anima. Lo scopo del viaggio è la letteratura: scrittura come esperienza.

Scoprirai che viaggiando gli uomini diventano amici per la pelle e che l’amicizia vale più dell’amore, dura più dell’amore: quando un’amicizia è davvero virtuosa e libera da ogni vincolo passionale o utilitaristico, quando è completamente disinteressata, diventa qualcosa di eterno, mentre l’amore, quasi sempre, finisce, è passeggero, oppure alla fine di un amore resta solo una bella amicizia – almeno così dicono.[6]

Guarda Dean mentre guida, è nel suo habitat naturale, esausto idiota spiantato e beato[7], con lui ti sei spinto ai confini del mondo per comprendere che la quest era soltanto la ricerca spasmodica di un’identità, viaggio nella tua coscienza e nella storia del Paese in cui vivi, un percorso più bello se lo fai con un amico, compagno, fratello. Fratelli nel senso più esteso della parola fratellanza, la fratellanza umana, gli amici cari a Dio e in Dio, come scriveva Sant’Agostino. Una “COSA” più profonda dei legami di sangue; il legame della strada, branco, casa.

Così un giorno fermerai la macchina e la nostalgia per quello che hai visto, fatto e provato con Dean si mischierà al sogno che avevate coltivato insieme, fermarsi, trovare il posto giusto, le persone giuste, e vivere felici diventando vecchi, mentre i figli crescono e le famiglie si allargano, nella stessa strada, nella casa accanto, fratelli. Di lui ti resterà il ricordo, la memoria di quella folle rincorsa che è stata la nostra vita, prima che Dean si allontanasse per sempre, guidando verso l’orizzonte.

 

Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline
e disperdersi? – è il mondo che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.[8]

 

 

 

[1] Sulla strada è un resoconto autobiografico di quattro viaggi compiuti da Jack Kerouac in America dal 1947 al 1950. Il primo nella estate del 1947, da solo, in autostop e sui bus della Greyhound, le autolinee attive negli Usa fino agli anni Cinquanta. Kerouac parte da New York diretto a San Francisco, via Denver, tornando indietro. Il secondo viaggio comincia nel Natale del 1948, da Rocky Mount nel Nord Carolina a San Francisco, via New Orleans, su una Hudson comprata da Dean (Dean Moriarty è lo pseudonimo usato nel romanzo per indicare Neal Cassady, ‘eroe’ americano e nume tutelare del ‘movimento beat’) per quattrocento dollari («Un giorno, all’improvviso, mentre camminava per la strada, aveva perso la testa. Aveva visto la Hudson del ’49 in vendita ed era corso a ritirare tutti i suoi risparmi. Aveva comprato la macchina senza pensarci su un momento», Sulla strada, Mondadori 2015, pag. 128). Il terzo viaggio, nell’estate del ’49, porta Kerouac da Denver a New York, di ritorno da San Francisco. Nel corso del viaggio, Dean accetta di portare a Chicago una Cadillac Limousine di un buon padre di famiglia («Dean si era messo a saltare su e giù per l’eccitazione alla sola vista dell’automobile», pag. 261, «Era una macchina molto bella e grande, l’ultima delle berline vecchio stile, nera, con una grande carrozzeria oblunga, i copertoni con la riga bianca e probabilmente i finestrini antiproiettile», pag. 263), ma la macchina arriverà semidistrutta a destinazione. Il quarto viaggio, nella primavera del 1950, da New York a Città del Messico, sempre via Denver, a bordo di una Ford Sedan della fine degli anni Trenta («Quindi forza, ragazzi, dateci dentro e all’alba baceremo le senoritas perché questa vecchia Ford può volare se si sa come prenderla a parole e a gesti… solo che il baule sta per staccarsi ma non preoccupatevi finché non succede», pag. 318).

[2] M.D. Aeschliman, Podhoretz v. the Nihilists, National Review, 18 gennaio 2014

[3] «Dean è il compagno perfetto per mettersi sulla strada, perché c’è addirittura nato, sulla strada, nel 1926, mentre i suoi genitori si trovavano a passare per Salt Lake City a bordo di una vecchia automobile sfiancata, diretti a Los Angeles.» Jack Kerouac, Sulla strada, p. 5.  

[4] “Bop” è l’abbreviazione di bebop, uno stile del jazz che si sviluppò a New York negli anni Quaranta. «Io volevo sapere cosa fosse la COSA. “Ah, beh” Dean rise “ora mi chiedi l’im-pon-de-ra-bi-le… ehm! C’è quel tizio e ci sono tutti gli altri, giusto? Tocca a lui tirar fuori quello che hanno in mente tutti gli altri. Attacca col primo tema, poi riorganizza le idee, le gente, sì, sì, ma forza, vai avanti, e allora affronta il suo destino ma deve suonare in modo adeguato. All’improvviso nel bel mezzo della ripetizione del tema gli viene… tutti alzano gli occhi e lui sa; lo ascoltano; e lui parte in quarta e tiene, riesce a tenere. Il tempo si ferma. Riempie lo spazio vuoto con la sostanza della vita, con le confessioni del suo basso ventre eccitato, come ricordi di idee, come ripetizioni di vecchie esibizioni. Deve suonare oltre i ponti e tornare indietro ed esplorare l’anima alla ricerca del motivo del momento, e con tanta intensità che tutti capiscano che non è il motivo che conta ma quella COSA…”. Dean non riuscì a continuare, sudava mentre parlava». Sulla strada, p. 241

[5] Luis Menand, Drive, He Wrote. What the Beats were about, The New Yorker, primo ottobre 2007. Vedi anche Matt Weiland, You Don’t Know, Jack, New York Times, 19 agosto 2007. La recensione di Weiland è un buon abbrivio al saggio di John Leland, Why Kerouac Matters. The Lessons of On the Road (They’re Not What You Think), Viking 2007.

[6] L’Etica a Nicomaco di Aristotele, il De amicitia di Cicerone, Montaigne.

[7] «Gli occupanti del sedile posteriore della macchina sospirarono di sollievo. Li sentii complottare a bassa voce: “Non possiamo più lasciarlo guidare, è assolutamente pazzo, deve essere uscito da un manicomio o qualcosa del genere”. Presi le difese di Dean e mi sporsi all’indietro per parlare con loro: “Non è pazzo, sta benissimo, e non preoccupatevi per come guida, è il miglior autista del mondo”. “Non lo sopporto”, disse la ragazza in un sussurro represso e isterico». Sulla strada, p. 245.

[8] Sulla strada, pag. 180.

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